IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Visti gli atti del sopracitato procedimento contro:
      1) Romeo Vittoria nata in Africo il 29  settembre  1913  ed  ivi
 residente, via E. Toti n. 36;
      2)  Versace  Giuseppe  nato  in  Africo il 25 aprile 1950 ed ivi
 residente, via E. Toti n. 36;
      3) Romeo Giuseppe nato a Brancaleone  il  25  settembre  1958  e
 residente, a Bruzzano Zeffirio, via Moro n. 22, imputati del reato di
 cui agli artt.:
        A)  Art.  20, lett. B) della legge 28 febbraio 1985, n. 47 per
 avere, in concorso tra loro, eseguito i lavori di costruzione  di  un
 manufatto  a  2  piani  f.t.  esteso mq 25 circa per piano in assenza
 della concessione edilizia;
        B) Artt. 17 e 20 della legge 2 febbraio 1974, n. 64 per avere,
 in concorso tra loro, iniziato la costruzione di cui al capo A) senza
 nulla osta del Genio civile;
        C) Artt. 18 e 20 della legge 2 febbraio 1974, n. 64 e 110  del
 c.p.,  per  avere, in concorso tra loro, effettuato la costruzione di
 cui  al  capo  A)  senza  direzione  tecnica  di  un   professionista
 autorizzato.
    Acc. in Africo il 25 febbraio 1993.
    Vista  la  legge 11 marzo 1953, n. 87 ed in particolare l'art. 23,
 primo e secondo comma; preso atto dell'istanza del  p.m.  a  che  sia
 sollevata  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 39
 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, in relazione agli artt. 79 e  3
 della Costituzione;
    Ritenuto  che  le prospettate questioni appaiono tutte rilevanti e
 non manifestamente infondate per i seguenti motivi:
                          MOTIVI DI RILEVANZA
    La  questione  sollevata  si  presenta  di  evidente  rilevanza in
 quanto, dall'applicazione del combinato disposto degli artt. 39 della
 legge 23 dicembre 1994, n. 724 e 44 della legge n. 47/1985,  discende
 la  obbligatoria sospensione del procedimento, anche a prescindere da
 una richiesta di parte, qualora, come nel caso di  specie,  il  reato
 sia stato commesso entro il 31 dicembre 1993, termine ultimo previsto
 dall'art.  39  della  legge citata, per l'operativita' del meccanismo
 del condono per i reati di cui all'art. 20 della legge n. 47/1985.
    Poiche' inoltre la norma di cui  si  eccepisce  la  illegittimita'
 costituzionale  deve  venire applicata dal giudice, nella valutazione
 della sussistenza dei presupposti per l'inizio della procedura  della
 sanatoria, ne discende, logicamente la indubbia rilevanza della norma
 sopra citata nel presente processo.
    Sul  punto  vale  richiamare  quanto  gia'  statuito  dalla  Corte
 costituzionale con sentenza n. 369 del 23/31 marzo 1988  in  identica
 fattispecie,   e  cioe'  che  divengono  rilevanti  le  questioni  di
 costituzionalita' relative a tutte le disposizioni di  legge  (adesso
 integralmente  fatte  rivivere  dalla  legge  citata)  che  risultano
 intimamente collegate fra loro nell'unico fine  di  regolamentare  il
 meccanismo procedimentale della sanatoria.
                 MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    A) Violazione dell'art. 79 della Costituzione.
    Ritiene  questo  pretore  che  il  condono  edilizio  possa essere
 qualificato giuridicamente come una misura clemenziale con  la  quale
 lo  Stato  rinuncia,  in  presenza di particolari presupposti (tempus
 commissi delitti, determinate caratteristiche dell'opera abusiva)  ad
 esercitare  la  propria  pretesa  punitiva  nei confronti dell'autore
 dell'abuso, condizionando tale rinuncia al versamento di  determinati
 importi  da  parte  di  colui  che intenda valersi della procedura di
 sanatoria, con conseguente declaratoria di estinzione del reato.
    Orbene, un istituto che presenta siffatte caratteristiche  pare  a
 questo  pretore assimilabile all'amnistia: anch'essa infatti, a norma
 dell'art. 151 del c.p.,  ha  un'operativita'  circoscritta  ai  reati
 commessi in un determinato periodo di tempo; essa puo' inoltre essere
 condizionata  ad  obblighi;  infine, ha come conseguenza l'estinzione
 del reato.
    Pare comunque a questo pretore che, avendo il  condono  natura  di
 provvedimento   clemenziale,  debba  essere  assimilato  all'amnistia
 almeno  sotto   il   profilo   della   conformita'   con   la   Carta
 costituzionale.
    Posto  dunque  tale  inquadramento  giuridico  per  l'istituto del
 condono  edilizio,  ne  consegue  che  lo  stesso  non  puo'   essere
 introdotto nell'ordinamento che con legge approvata a maggioranza dei
 due  terzi dei componenti di ciascuna Camera, e non, come e' avvenuto
 nel caso del condono del 1994, con lo  strumento  della  legislazione
 ordinaria.
    E'  ben  vero  che  la  Corte  costituzionale, con la sopra citata
 sentenza n. 369 del 23/31 marzo 1988, esaminando la  questione  della
 natura  giuridica  del  condono  edilizio  previsto  dalla  legge  n.
 47/1985, lo ha qualificato "provvedimento di clemenza  atipico",  non
 riconducibile all'istituto dell'amnistia ne' a quello dell'oblazione:
 pur  tuttavia,  la Corte, in tale occasione si e' espressa con grande
 chiarezza sulla natura clemenziale dell'istituto in oggetto.
    Va rilevato a questo proposito che l'art. 79  della  Costituzione,
 successivamente  alle  modifiche  apportate  dall'art.  1 della legge
 costituzionale  6  marzo  1992,  n.  1,  prevede  che  "l'amnistia  e
 l'indulto  sono  concessi  con legge deliberata a maggioranza dei due
 terzi  dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella
 votazione finale".  La  norma  costituzionale  enuncia  dunque  nella
 maniera  piu'  chiara  che  i  provvedimenti  clemenziali (quali sono
 appunto   l'amnistia   e   l'indulto)   possono   essere   introdotti
 nell'ordinamento  solo con la particolare procedura in essa prevista;
 e poiche' la stessa Corte costituzionale ha  qualificato  il  condono
 edilizio  come  un provvedimento clemenziale atipico, ne discende che
 il legislatore del 1994, ricorrendo allo strumento della legislazione
 ordinaria per introdurre  il  condono,  ha  disatteso  la  previsione
 dell'art. 79 della Costituzione.
    B) Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Ritiene  questo  pretore  che  proprio  dalla  lettura  del citato
 precedente  della   Corte   costituzionale   possano   ricavarsi   le
 argomentazioni  piu'  pregnanti  a  sostegno  della non conformita' a
 costituzione della normativa di cui alla legge n. 724/1994; sotto  il
 duplice   profilo  della  irragionevolezza  e  della  violazione  del
 principio di uguaglianza, anche in relazione agli  artt.  9,  secondo
 comma,   41,   secondo   e  terzo  comma,  42,  secondo  comma  della
 Costituzione.
    E infatti la Corte costituzionale ha statuito, nella pronuncia  n.
 369  del  1988,  che,  ogni  qualvolta  lo Stato rinunci alla propria
 pretesa punitiva, e la punibilita' venga utilizzata per fini estranei
 a  quelli  relativi  alla  difesa  dei   beni   tutelati   attraverso
 l'incriminazione  penale,  tale  rinuncia,  venendo  ad  incidere sul
 principio di uguaglianza affermato dall'art.  3  della  Costituzione,
 "deve  trovare  la  sua giustificazione nel quadro costituzionale che
 determina il fondamento nei limiti dell'intervento dello Stato": cio'
 al fine di non incorrere appunto nella violazione  del  principio  di
 uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
    In  allora,  la  Corte  costituzionale  ritenne  di  "salvare"  la
 disciplina del condono edilizio, che  era  stata  sottoposta  al  suo
 vaglio,   respingendo   le   sollevate   questioni   di  legittimita'
 costituzionale,  in  considerazione  del  fatto  che  era   all'epoca
 vivamente  sentita  ed urgente l'esigenza di "chiudere con un passato
 di illegalita' di massa" in occasione dell'entrata in vigore  di  una
 nuova ed articolata disciplina in materia di controllo dell'attivita'
 urbanistico-edilizia.
    La suddetta esigenza, evidenziata dalla Corte costituzionale nella
 pronunzia sopra citata, non pare viceversa possa essere sottesa ad un
 intervento  legislativo, quale la legge 23 dicembre 1994, n. 724, che
 ha semplicemente riaperto i termini del condono di cui alla legge  n.
 47/1985,  limitandosi  in  pratica  a  reiterare  una  procedura  per
 l'introduzione della quale, tuttavia, non sussistono  giustificazioni
 analoghe  a  quelle  individuate  dalla  sentenza sopra citata per il
 condono del 1985.
    La stessa Corte costituzionale, infatti,  ha  precisato  che,  ove
 l'estinzione della punibilita' venga irrazionalmente in contrasto con
 la  finalita'  della  sanzione penale, risultando cosi' una "variante
 arbitraria", non potrebbe considerarsi costituzionalmente  legittima.
 La   Corte   ha  altresi'  ribadito  che  la  non  punibilita'  o  la
 procedibilita'  dei  moderni  condoni  penali,  "specie  quando  essi
 concellano  reati  lesivi  di  beni  fondamentali della comunita', va
 usata negli stretti limiti consentiti  dal  sistema  costituzionale";
 viceversa, un esercizio arbitrario della non punibilita' equivarrebbe
 addirittura  "ad  alterare,  con il principio d'obbligatorieta' della
 pena, l'intero volto del sistema costituzionale in materia penale".
    Richiamandosi ancora al "rispetto dei vincoli esterni" posti dalla
 Costituzione al potere  di  clemenza,  la  Corte  costituzionale  ha,
 sempre  nella  succitata pronuncia, ritenuto che, nel caso di condono
 di cui alla legge n. 47/1985,  tali  vincoli  esterni  fossero  stati
 rispettati,  considerando  che si era inteso porre basi normative per
 la futura tutela di fondamentali  esigenze  sottese  al  governo  del
 territorio,   quali   la   sicurezza  dell'esercizio  dell'iniziativa
 economica privata, il suo coordinamento ai  fini  sociali  (art.  41,
 secondo  e terzo comma della Costituzione), la funzione sociale della
 proprieta' (art. 42, secondo comma) e la tutela del paesaggio  e  del
 patrimonio   storico  ed  artistico  (art.  9,  secondo  comma  della
 Costituzione).
    Viceversa, le ragioni poste dal legislatore del 1994 a  fondamento
 dell'introduzione   del   nuovo   condono  edilizio  (rectius,  della
 riapertura dei termini del vecchio condono  edilizio)  e  individuate
 nel  "rilancio  economico  ed  occupazionale  dei  lavori  pubblici e
 dell'edilizia   privata"   nonche'   "nella    semplificazione    dei
 procedimenti  in  materia urbanistica-edilizia" non sembrano in alcun
 modo  riconducibili  al  "quadro  costituzionale  che  determina   il
 fondamento  ed  i  limiti  dell'intervento  punitivo dello Stato": al
 contrario  si  deve  rilevare  che  la   normativa   introdotta   dal
 legislatore  del 1994 viene ad incidere pesantemente su alcuni valori
 primari contenuti in postulati costituzionali  quali  la  tutela  del
 paesaggio,   dell'ambiente,  del  patrimonio  storico  ed  artistico,
 nonche'  la  funzione  sociale  della  proprieta'  e  dell'iniziativa
 economica privata.
    E'  inoltre  di  palmare evidenza che provvedimenti clemenziali di
 questo genere, ciclicamente riproposti, non possono  che  perdere  la
 loro  natura  di  provvedimenti  eccezionali emanati per far fronte a
 particolari situazioni e per  rispondere  a  specifiche  esigenze  di
 natura   sociale,  producendo  pericolosi  effetti  sul  piano  della
 certezza del diritto.
    In  particolare,  per  meglio  evidenziare   la   sussistenza   di
 molteplici  possibili casi di violazione del principio di uguaglianza
 e di compromissione, del principio della  certezza  del  diritto  che
 possono  derivare  dall'applicazione della legge 23 dicembre 1994, n.
 724, basti pensare, a titolo di esempio, al caso del  cittadino  che,
 per  il  fatto  di  aver  commesso un abuso edilizio in territorio di
 comune retto da amministratori osservanti la legge,  abbia  visto  la
 propria  opera demolita in applicazione delle sanzioni previste dalla
 legge n. 47/1985 e,  per  contro,  ad  altro  cittadino  che,  avendo
 abusivamente  costruito  in  centro  non amministrato con altrettanto
 zelo, puo' oggi sanare il proprio illecito  fruendo  della  procedura
 del condono.