IL TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 335 del  1993,
 proposto  dal  comune  di  Tuenno,  in persona del sindaco in carica,
 rappresentato  e  difeso  dal  dir.  proc.  Roberta  de  Pretis,  con
 domicilio  eletto  presso  la  stessa  in Trento, via Paradisi, 15/5;
 contro la provincia autonoma di  Trento  in  persona  del  presidente
 della  Giunta  provinciale in carica, non costituito in giudizio; per
 l'annullamento del provvedimento della Giunta provinciale  di  Trento
 dd.  18  giugno  1993,  n.  4760/28-A, con il quale e' stato disposto
 l'annullamento della deliberazione del consiglio comunale  di  Tuenno
 dd. 29 marzo 1993, n. 7;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Vista   la   sentenza   istruttoria   n.  331/94  ed  i  documenti
 conseguentemente acquisiti;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito il relatore consigliere Delio Pace, ed udito, altresi', alla
 pubblica udienza del 25  novembre  1994,  la  dottoressa  Roberta  de
 Pretis   per   il   ricorrente,   mentre   nessuno  e'  comparso  per
 l'amministrazione intimata;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con ricorso notificato in data 1 ottobre 1993, il comune di Tuenno
 impugnava,  chiedendone l'annullamento, il provvedimento della Giunta
 provinciale di Trento n. 4760/28-A di data 18 giugno  1993,  che,  in
 sede  tutoria,  aveva disposto l'annullamento della deliberazione del
 consiglio comunale di Tuenno di data 29 marzo 1993, n. 7.
    A sostegno del ricorso deduceva i seguenti motivi:
    1. - Violazione di legge (art. 52, legge regionale 4 gennaio 1993,
 n. 1); eccesso di potere per carenza dello stesso.
    L'annullamento infatti e' avvenuto tardivamente e cioe'  trascorso
 il  termine  di  20  giorni  dalla  ricezione,  termine che era stato
 sospeso ed aveva ripreso a decorrere a  seguito  della  presentazione
 degli elementi integrativi di giudizio forniti dal comune.
    2.  -  Violazione  di  legge per erronea applicazione dell'art. 1,
 comma secondo e dell'art. 4, comma secondo, della legge  regionale  3
 marzo 1993, n. 4; eccesso di potere per carenza di presupposti.
    L'annullamento della deliberazione consiliare e' stato tra l'altro
 disposto   per  violazione  degli  accordi  sindacali  del  1990  che
 contrasterebbero con una norma  di  legge  approvata  posteriormente.
 Sarebbe evidente che gli accordi indicati nella legge non sono quelli
 del 1990, ma quelli successivi all'entrata in vigore della legge.
    3.  -  Violazione  di legge per errata interpretazione delle norme
 contenute  nell'accordo  sindacale  1  agosto   1990   e   protocollo
 aggiuntivo   11  giugno  1992;  eccesso  di  potere  per  carenza  di
 motivazione.
    I livelli di  inquadramento  sono  stati  erroneamente  calcolati,
 secondo  l'organo  tutorio,  avendo  il  consiglio  comunale  preso a
 riferimento la fascia dei comuni  con  oltre  3000  abitanti,  mentre
 Tuenno  ha  una  popolazione  lievemente  inferiore. Ma il consiglio,
 afferma il  ricorrente,  ha  giustificato  il  provvedimento  con  la
 complessita'  dei servizi, mentra la Giunta provinciale a omessa ogni
 motivazione sul punto, con richiamo improprio alle norme invocate.
    4. - Eccesso di potere per carenza di motivazione e violazione del
 principio di conservazione del provvedimento amministrativo.
    A tutto concedere l'annullamento avrebbe  potuto  esser  parziale,
 mentre  nulla  si  e'  detto  in ordine all'inquadramento nei profili
 professionali diversi da quelli ritenuti  illegittimi,  del  restante
 personale.
    L'Amministrazione intimata non si e' costituita in giudizio.
    Alla pubblica udienza del 10 giugno 1994, con sentenza istruttoria
 n.  331,  venne  disposta  l'acquisizione dell'accordo sindacale e di
 quello integrativo, tutti gli atti  di  controllo  con  le  date  dei
 singoli  provvedimenti  e  relazione  del  servizio enti locali della
 Provincia attestante le  date  dei  controlli  e  degli  accertamenti
 connessi.
    La  provincia  autonoma  di  Trento  provvide  a  far pervenire la
 documentazione richiesta.
    Alla pubblica udienza del 25  novembre  1994,  la  vertenza  venne
 trattenuta in decisione.
                             D I R I T T O
    Ritiene il Collegio che prelimare ad ogni altra questione si ponga
 la   soluzione   del   dubbio  di  costituzionalita',  da  sollevarsi
 d'ufficio, della norma invocata dal ricorrente con il primo motivo di
 ricorso, e' cioe' dell'art. 52, comma quarto, della  legge  regionale
 del  Trentino  Alto-Adige  4  gennaio  1993,  n.  1,  ora  riprodotta
 nell'art. 96, quarto  comma,  del  t.u.  approvato  con  d.P.G.R.  14
 ottobre  1993,  n.  19/L  in  rapporto  agli  articoli  5 e 130 della
 Costituzione.
    Per  quanto attiene alla rilevanza della questione sul contenzioso
 in esame, si osserva quanto segue:
    1. - L'accoglimento o il rigetto del primo mezzo di censura appare
 pregiudiziale alla decisione del ricorso,  anche  prescindendo  dalla
 grande importanza della questione sul piano generale.
    Dagli  atti  del  processo  risulta  che la deliberazione 29 marzo
 1993, n. 7, venne trasmessa per il  controllo  di  legittimita'  alla
 Giunta  provinciale,  alla  quale  pervenne  in  data 21 aprile 1993.
 L'assessore agli enti locali chiese elementi di giudizio con  lettera
 26 aprile, spedita il 3 maggio e pervenuta al comune il 7 maggio.
    Dal  21  aprile  al  3  maggio si calcolano 12 giorni, che vengono
 imputati allo spatium deliberandi di 20 giorni riservato dalla  legge
 al controllo tutorio, con uno spazio residuo di giorni 8.
    Gli  elementi  di giudizio vennero forniti il giorno 4 giugno e il
 telegramma di annullamento reca la data del 18 giugno,  dopo  ben  14
 giorni, quindi oltre il termine previsto dalla norma.
    2.  -  Quanto  agli  altri motivi di ricorso non appare fondata la
 seconda censura, che deduce violazione di legge ed eccesso di  potere
 per carenza dei presupposti. Basti considerare che la norma applicata
 (l'art.  1, comma secondo, della legge regionale 5 marzo 1993, n. 4),
 che fa riferimento  alla  violazione  di  precisi  accordi  sindacali
 provinciali, riproduce sostanzialmente l'art. 31 del t.u. sullo stato
 giuridico  ed  economico  dei  dipendenti  dei  comuni  approvato con
 d.P.G.R. 10 maggio 1983, n. 3/L, che  gia'  imponeva  di  graduare  i
 trattamenti  economici  del  personale  in  conformita'  agli accordi
 sindacali provinciali.
    Appaiono invece fondati il terzo ed il quarto motivo di ricorso in
 quanto, annullando la  deliberazine  consiliare  sui  punti  ritenuti
 illegittimi,  la  Giunta  provinciale  ha semplicemente richiamata la
 norma dell'accordo sindacale che  lega  le  qualifiche,  o  meglio  i
 livelli   retributivi,   alla  consistenza  demografica  del  comune,
 affermando che il comune di Tuenno doveva esser parificato  a  quelli
 con  popolazione inferiore ai 3000 abitanti, senza darsi carico della
 prospettata situazione, che a detta del  consiglio  comunale  esigeva
 una riqualificazione dei posti disponendo di strutture e servizi tali
 da  integrare  quella  dimensione  minima  operativa  individuata nel
 protocollo aggiuntivo all'accordo sindacale, che induce  a  scostarsi
 dal rigido aggancio al livello demografico.
    Anche  la  motivazione  del  provvedimento  non  appare  adeguata,
 dovendo necessariamente il servizio tutela darsi carico di  una  piu'
 incisiva  ed  esaustiva  motivazione,  che  dimostrasse  infondate le
 ragioni addotte dal comune.
    Il quarto motivo di ricorso puo' essere parimenti  accolto,  nulla
 essendo   stato   detto   in   ordine   agli  altri  contenuti  della
 deliberazione, anche se intuitivamente essi si ritiene che  avrebbero
 potuto  esser  riprodotti  nel  nuovo  provvedimento  che,  a seguito
 dell'annullamento, il consiglio comunale avrebbe dovuto assumere.
    Da quanto osservato appare  chiaro  che  l'esito  del  ricorso  e'
 legato  alla  applicazione  della  norma contenuta nell'art. 52 della
 legge regionale 4 gennaio 1993, n. 1, concernente i  controlli  sulle
 deliberazioni  comunali, ora trasfuso nel t.u. approvato con d.P.G.R.
 14 ottobre 1992, n. 19/L.
    Recita  infatti  il  quarto comma di tale articolo: "Il termine e'
 sospeso per una sola volta se prima della sua scadenza il  presidente
 della  Giunta provinciale o l'assessore competente chieda chiarimenti
 o elementi integrativi di giudizio all'ente deliberante. In tal  caso
 il  termine per l'annullamento riprende a decorrere dal momento della
 ricezione degli atti richiesti".
    Giova ricordare che in passato questo tribunale aveva esaminata la
 questione  sotto  la  vigenza  della   precedente   legge   regionale
 sull'ordinamento  dei  comuni  (art.  62  t.u., approvato con decreto
 Presidente Giunta Regionale 19 gennaio  1984,  n.  6/L),  che  invece
 prevedeva  esplicitamente che la richiesta di elementi integrativi di
 giudizio interrompesse i termini del  controllo  che  riprendevano  a
 decorrere   ex   novo   dalla  data  dell'effettivo  ricevimento  dei
 chiarimenti richiesti (sent. TRGA Trento, 20 febbraio  1989,  n.  33,
 annullata dal Consiglio di Stato, sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154).
    La questione allora posta era conseguente alla norma regolamentare
 regionale  che  imponeva  di  congiungere  il periodo trascorso prima
 della richiesta di chiarimenti a quello residuo, limitando a soli  20
 giorni effettivi lo spazio temporale complessivo del controllo.
    La  nuova  norma approvata dalla regione Trentino Alto-Adige vuole
 ripescare quella  regolamentare  che  il  Consiglio  di  Stato  aveva
 sottesa,  dichiarandola  contrastante  con  la  legge ed imponendo di
 disattenderla.
    Ritiene il Collegio evidente la irrazionalita' della  disposizione
 contenuta  nell'art.  52  della legge regionale 4 gennaio 1993, n. 1,
 ora tradotta nell'art. 96 del t.u. approvato con d.P.G.R. 14  ottobre
 1993, n. 19/L.
    Nella  dizione legislativa lo spazio complessivo per l'esame delle
 deliberazioni comunali e' stabilito in venti giorni effettivi, ma  in
 caso di richiesta di elementi integrativi di giudizio, che ovviamente
 sono  richiesti  dopo  un  primo  esame del provvedimento, il tempo a
 disposizione si comprime in modo eccessivo, tanto  da  vanificare  il
 corretto   potere   di   controllo,  giacche'  il  doppio  esame  del
 provvedimento eseguito in due distinti  momenti,  richiede  parecchio
 tempo,   specie   se  trattasi  di  atto  complesso  o  di  difficile
 interpretazione, per il quale si devono impiegare alcuni  giorni  per
 l'esame  preliminare  che  accerti  la carenza di documentazione o di
 elementi di giudizio, e che  poi  e'  seguito  dalla  allegazione  di
 documenti complessi che esigono pure studio consulenze o pareri.
    A  ricevimento  degli  atti,  che  talora  son  piu' complessi del
 provvedimento stesso, resta  spesso  all'organo  tutorio  uno  spazio
 assolutamente  insufficiente,  rendendo vano, o solamente rituale, il
 controllo di legittimita', con il pericolo  che  divengano  esecutivi
 provvedimenti inficiati da gravi vizi.
    Si  corre  altresi'  il  pericolo  (absit  iniuria  verbis)  che i
 provvedimenti  siano  volutamente  trasmessi  all'autorita'   tutoria
 incompleti,  per  rubare  spazio  ed  efficacia  al controllo, e cio'
 particolarmente quando si tratta di decisioni che investono interessi
 del personale o degli amministratori stessi.
    La norma si manifesta in contrasto con i  principi  costituzionali
 sul controllo di legittimita' degli atti amministrativi.
    Appare  infatti  indispensabile che tale controllo venga espletato
 nella sua interezza, riservando all'organo tutorio  adeguato  spazio,
 che  consenta  un  esame  completo degli atti. E' pure necessario che
 l'esame attenga  a  tutti  gli  atti  che  ad  esso  sono  collegati,
 disponendo,  come  fa  la legge, che, ove essi manchino, o qualora il
 provvedimento contenga  espressioni  ambigue,  ermetiche  o  elusive,
 l'organo  tutorio  possa  acquisire  tutti  gli  atti  o gli elementi
 necessari ad una esatta disamina del  provvedimento,  e  disponga  di
 adeguato spazio temporale.
    Appare logico che i venti giorni che la legge riserva al controllo
 del  primo  atto  siano  parimenti  riservati  anche  all'esame degli
 elementi integrativi acquisiti, e che tale compito non sia  compresso
 nello spazio di pochissimi giorni.
    A  tale  principio  e'  ispirata  la legge nazionale sul controllo
 degli atti comunali e cioe' l'art. 59 della legge 10  febbraio  1953,
 n.  62,  che  esplicitamente  afferma  che il termine di venti giorni
 "rimane sospeso se, prima della sua scadenza, l'organo  di  controllo
 chieda  chiarimenti o elementi integrativi di giudizio alla provincia
 o al comune: In  tal  caso  la  deliberazione  diviene  esecutiva  se
 l'organo di controllo non ne pronuncia l'annullamento entro 20 giorni
 dal ricevimento delle controdeduzioni" (quarto comma, art. 59).
    Gia'  il  Consiglio  di  Stato  (sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154)
 aveva precisato che il potere di  controllo  costituisce  un  diritto
 soggettivo  di  una  persona  giuridica  di  diritto  pubblico, ed e'
 manifestazione di quella  particolare  posizione  di  supremazia  nei
 confronti  delle  comunita'  locali  e  del corrispondente territorio
 propria in via generale degli enti territoriali a carattere locale.
    Aggiunge il supremo organo  che  tale  supremazia  costituisce  un
 diritto  soggettivo  a  carattere  costituzionale,  il  che  basta  a
 giustificare  la  decisione  di  questo  Collegio  di  ritenere   non
 manifestatamente  infondata la questione, e di sottoporla al giudizio
 della suprema Corte costituzionale, sospendendo il presente giudizio.