IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Luciani Cesare, nato a Comacchio il 15 settembre 1949 e residente a S. Giuseppe, via Trieste n. 22, imputato: A) del reato p. e p. dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976 perche', in qualita' di sindaco del comune di Comacchio, responsabile dello scarico del depuratore comunale di Comacchio, effettuava scarico di fanghi provenienti dal depuratore nella Valle Molino, con superamento dei parametri di cui alla tabella a) della legge citata quanto a: azoto nitroso. In Comacchio il 20 agosto 1991; B) del reato p. e p. dall'art. 21, primo comma, della legge n. 319/1976 per avere, in qualita' di sindaco del comune di Comacchio, esercitato lo scarico della pubblica fognatura di lido di Volano con recapito finale nel Po di Volano senza avere richiesto la prescritta autorizzazione; C) del reato p. e p. dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/76 per avere esercitato uno scarico non autorizzato nel Po di Volano, meglio specificato al capo che precede, con parametri superiori ai limiti consentiti quanto a: azoto ammoniacale, coliformi totali, coliformi fecali, streptococchi fecali. Accertato in Lido di Volano il 12 agosto 1991; D) del reato p. e p. dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976 perche', quale titolare dell'impianto di depurazione, scaricava nella Valle Molino acque con superamento dei parametri di cui alla tab. a) della legge quanto a: materiali in sospensione. In Comacchio il 25 febbraio 1992. O S S E R V A Che il p.m. d'udienza dott. Pierguido Soprani ha richiesto la pronuncia di questo pretore in ordine all'ipotesi di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' del d.-l. 16 gennaio 1995 n. 9, nell'intero suo testo, per violazione degli artt. 25 e 77 della Costituzione, con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Osserva il pretore che la richiesta e' fondata e ritiene, pertanto, di dover dichiarare rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 25 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale del d.-l. 16 gennaio 1995 n. 9, nell'intero suo testo, in particolare in relazione all'art. 3 dello stesso. A tale proposito, si rileva quanto segue: Nella fattispecie concreta e' applicabile il d.-l. 16 gennaio 1995, n. 9, in particolare l'art. 3, "Modifiche alla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 1995. Esso reitera, nella sostanza, precedenti decreti-legge non convertiti, l'ultimo dei quali e' il d.-l. 16 novembre 1994, n. 629. L'art. 25 c.p.v. della Costituzione fissa, tra gli altri, il principio della riserva di legge in materia penale. E' implicito in tale principio il fatto che tutte le scelte di politica criminale siano monopolio esclusivo del Parlamento, cio' in quanto la rappresentativita' del medesimo si impone quale garanzia contro la commissione di arbitrii. Il potere legislativo e', infatti, un centro dialettico della maggioranza e delle minoranze le decisioni prese si fondano sul dibattito parlamentare dopo var/' vagli critici. L'ammissibilita' che nuove norme di diritto penale siano introdotte attraverso decreti legislativi o decreti-legge e' connessa alla circostanza che, in entrambi i casi, si realizzi e sia assicurato l'intervento del Parlamento in posizione sovraordinata. Rispetto ai decreti legislativi, il Parlamento conserva, attraverso la delegazione la prerogativa della iniziativa e delle fondamentali scelte politiche, con controllo della Corte costituzionale anche sulla conformita' di tali atti normativi ai criteri della delegazione. I decreti-legge sono, invece, provvedimenti provvisori, destinati, entro il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, ad essere convertiti in legge o a perdere efficacia ex tune. In materia penale, cio' significa che ai reati commessi anteriormente alla data di entrata in vigore di un decreto-legge non convertito, si applica la normativa precedente, in quanto un d.-l. non convertito e' privo di effetto fin dall'inizio. La Corte costituzionale, con sentenza 19 febbraio 1985 n. 51, ha, infatti, dichiarato l'illegittimita' costituzionale, del quinto come dell'art. 2 del c.p., nella parte in cui rendeva applicabili alle ipotesi da esso previste (e cioe' al caso di mancata conversione di un d.-l. recante norme piu' favorevoli) le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma di tale articolo. Tale questione rileva poiche' il d.-l. in oggetto potrebbe non essere convertito. Pertanto, alla luce di quanto sopra, il ricorso al decreto-legge in materia penale, oltre che talora inopportuno in relazione alla complessita' e alla delicatezza delle questioni trattate, presenta dei profili di incostituzionalita' per violazione del principio della riserva di legge, se e' fatto al di fuori dei rigorosi e straordinari estremi della necessita' ed urgenza. Lo stesso, inoltre, essendo in una posizione precaria, puo' far venir meno le garanzie della certezza del diritto. Si osserva che, nella materia in questione, invece, i decreti- legge, con contenuto parzialmente diverso, si sono reiterati a catena per circa un danno, evidenziando, in modo palese, soprattutto con specifico riferimento all'ultimo dei decreti emanati, la carenza dei requisiti della "necessita' ed urgenza". Ora, se puo' essere opinabile il fatto che tali requisiti sussistessero rispetto al primo dei decreti emanati in subiecta materia, certamente essi sono venuti meno ad un anno di distanza e cioe' dopo un periodo di tempo tale da consentire la normale legiferazione del Parlamento in via ordinaria. Inoltre, con la continua ed ininterrotta reiterazione di vari decreti-legge mai convertiti, si e' realizzata, di fatto, la sottrazione al Parlamento della sua esclusiva competenza a disporre in materia penale, con l'inammissibile assunzione da parte dell'esecutivo del relativo potere di bilanciamento e di valutazione degli interessi che, in materia penale, e' di esclusiva competenza dell'organo assembleare rappresentativo della sovranita' popolare. Ancora, la prassi della reiterazione dei decreti-legge in materia penale, ha, come nella specie, la conseguenza di sottrarre al Parlamento la possibilita' prevista dall'art. 77, ultimo comma, della Costituzione "di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti". E' evidente che, se la reiterazione dei decreti nella stessa materia si protrae per un anno, si potranno determinare effetti definitivi quale il giudicato, non modificabili in sede giudiziaria, con la conseguente gravissima compressione dei diritti dei singoli, resa ancora piu' incisiva dalla disparita' di trattamento che potrebbe verificarsi ove due fattispecie identiche, ma commesse e/oz giudicate sotto la vigenza di un diverso decreto- legge, vengono diversamente giudicate. Dalle considerazioni esposte si desume che il presente giudizio non puo' essere definito, allo stato e vigenti i principi del d.-l. n. 9/1995 in esame, in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.