IL PRETORE
    Visti  gli  atti  del procedimento n. 5249/93 R.G.N.R., n. 4116/94
 reg. pret. contro Benedetto Santa, imputata:
       A) del reato p. e. p. dall'art. 20, lett.  B,  della  legge  28
 febbraio 1985 n. 47, per avere realizzato un piano su una porzione di
 lastrico  solare in difformita' dalla concessione edilizia n. 9156/88
 del 23 gennaio 1992, che prevedeva  la  copertura  dell'edificio  con
 tetto  spiovente  in  tegole  e  coppi.  Il  vano  oggetto  ha  forma
 triangolare  con  lato  di mt 2,50 circa e altezza di mt 2 circa, con
 copertura in lamiera;
       B) del reato p. e p. dagli artt. 17 e 20 della legge 2 febbraio
 1974 n. 64, per avere iniziato la costruzione di cui al capo A  senza
 nulla osta del Genio Civile;
       C) del reato p. e p. dagli artt. 18 e 20 della legge 2 febbraio
 1974  n.  64,  per  avere  effettuato la costruzione di cui al capo A
 senza la direzione tecnica di un professionista autorizzato;
    In Scilla, il 14 luglio 1993;
    Visto l'art. 23, terzo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Solleva questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1,  2
 e 3 del d.-l. 27 settembre 1994 n. 551 in relazione agli artt. 79 e 3
 della Costituzione per i motivi che seguono:
                          MOTIVI DI RILEVANZA
    La  questione va dichiarata rilevante poiche' deve essere disposta
 la sospensione del presente procedimento. Tale  sospensione  discende
 obbligatoriamente  dall'applicazione del combinato disposto dell'art.
 1 del d.-l. n. 551/1994 e dell'art. 44 della legge n. 47/1985,  posto
 che il reato risulta essere stato commesso entro il 31 dicembre 1993,
 termine  ultimo  previsto  dall'art.  1,  primo  comma,  del d.-l. n.
 551/1994 cit. La sospensione opera e deve essere disposta in tutti  i
 procedimenti  aventi  ad  oggetto  i  reati  richiamati  all'art. 38,
 secondo comma, della legge n. 47/1985, anche indipendentemente da una
 richiesta di parte, e costituisce il primo atto dell'intera procedura
 prevista per addivenire alla declaratoria di estinzione del  reato  a
 seguito  del  pagamento  della somma stabilita. Ne consegue che, come
 gia' statuito dalla Corte costituzionale in caso identico,  afferente
 la  disciplina  di  cui alla legge n. 47/1985, divengono rilevanti le
 questioni di costituzionalita' relative a tutte le disposizioni della
 legge (adesso integralmente fatte  rivivere  dal  d.-l.  citato)  che
 risultano   intimamente   collegate   tra  loro  nell'unico  fine  di
 regolamentare il meccanismo procedimentale di sanatoria (sent.  Corte
 costituzionale n. 369 del 23-31 marzo 1988).
    Si  vuole aggiungere che l'obbligatorieta' della sospensione trova
 fondamento  nelle  esigenze  di  "economia"   sottostanti   qualsiasi
 istituto  processuale:  non sembra dubitabile, infatti, che persino a
 fronte di un'espressa  istanza  in  senso  opposto  dell'imputato  il
 giudice  sia  tenuto  a  sospendere  il procedimento, onde evitare di
 addivenire ad una pronuncia suscettibile, ab origine e  sino  al  suo
 passaggio   in   giudicato,  di  essere  inficiata  dalla  successiva
 sanatoria  ottenuta  dall'imputato  medesimo,  cui  la  richiesta  di
 "condono"  non e' certo preclusa dalla sentenza penale, sanatoria che
 comporterebbe, ai sensi del citato art. 38, secondo comma della legge
 n. 47/1985, la necessaria declaratoria di estinzione del reato.
                 MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    Occorre muovere dal raffronto tra il provvedimento normativo  oggi
 impugnato  e  quello precedente, cui il medesimo fa integrale rinvio:
 e' proprio dalla "reviviscenza" dell'istituto contenuto nei capi IV e
 V della legge n. 47/1985,  determinata  dal  citato  rinvio,  che  si
 desumono  ed  evidenziano  i  contorni  ed  i  contenuti  del recente
 "condono  edilizio";  contenuti  cui  deve   essere   necessariamente
 attribuita   natura   "clemenziale".  Tanto  deriva,  infatti,  dalla
 rinnovata attualita' dell'analisi gia' compiuta, in  merito,  proprio
 dalla Suprema Corte nella citata sentenza 369/88, ove si legge che la
 legge n. 47/1985 "pur non potendosi ritenere ..  implicante la tipica
 figura  dell'amnistia,  di  cui all'art. 151 c.p., costituisce, senza
 dubbio, 'specie' d'una generale nozione  di  'misura  di  clemenza'".
 Ebbene,  non  v'e' dubbio neppure che le considerazioni che indussero
 la Corte a pervenire, allora, ad una tale conclusione,  possano  oggi
 essere  integralmente  applicate  al nuovo "condono", che, si ripete,
 recepisce pienamente la precedente normativa.
    Tanto premesso,  sembra  possibile  ravvisare  la  violazione  del
 dettato  dell'art. 79 della Costituzione, come modificato dalla legge
 costituzionale n. 1/1992,  che  prevede  gli  istituti  di  clemenza,
 quegli  istituti,  cioe',  che rompono "il nesso costante tra reato e
 punibilita'" (sent. Corte cost. cit.). Il presente condono,  infatti,
 verrebbe  a  determinare  detta  "rottura"  al  di  fuori  dei limiti
 procedimentali costituzionalmente sanciti per lo scopo, che prevedono
 l'adozione  di  un  tale  provvedimento  con   legge   deliberata   a
 maggioranza  dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni
 suo articolo e nella votazione finale.
    Ne'  sembrano  poter  rivivere  le  ragioni  che,  a  suo   tempo,
 "giustificarono"  la  rinuncia  dello  Stato  alla  propria  potesta'
 punitiva, ravvisandosi, per  contro,  la  confliggenza  del  presente
 "condono" con il dettato fondamentale dell'art. 3 della Costituzione.
    Infatti  il  supremo  organo  di giustizia, nella sentenza citata,
 ritenne opportuno tracciare,  ribadendoli,  i  limiti  costituzionali
 "esterni"  al  potere  di  emanare provvedimenti di clemenza da parte
 dello Stato, statuendo che tutte le volte in cui si  rompe  il  nesso
 costante  tra reato e punibilita' e quest'ultima viene utilizzata per
 fini estranei  a  quelli  relativi  alla  difesa  dei  beni  tutelati
 attraverso   l'incriminazione   penale,   tale   uso,   nell'incidere
 negativamente  sul  principio  di  eguaglianza  ex   art.   3   della
 Costituzione,   deve   trovare  la  sua  giustificazione  nel  quadro
 costituzionale che determina il fondamento ed  i  limiti  del  potere
 punitivo   dello   Stato.   Ritenne,   quindi,   di   individuare  la
 "giustificazione"  di  tale  dirompente  provvedimento  di   clemenza
 nell'esigenza  di  "chiudere con un passato di illegalita' di massa",
 si' da porre, per il  futuro,  "sicure  basi  normative  (discendenti
 dalla  disciplina  organica  di  cui  alla  legge  n. 47/1985) per la
 repressione futura di fatti che violano fondamentali esigenze sottese
 al  governo  del  territorio,  come   la   sicurezza   dell'esercizio
 dell'iniziativa  economica  privata,  il  suo  coordinamento  a  fini
 sociali,  la  funzione  sociale  della  proprieta',  la  tutela   del
 paesaggio  e  del  patrimonio storico ed artistico ecc. E questi beni
 non potevano  essere  validamente  difesi,  per  il  futuro,  se  non
 attraverso  la  'cancellazione'  del  notevole,  ingombrante,  carico
 pendente relativo alle passate illegalita'" (cfr. sent.  Corte  cost.
 cit.  in  Gazzetta  Ufficiale,  1a  serie speciale, p. 24). Non vi e'
 dubbio, dunque, che la  sola,  vera  ragione  che  indusse  la  Corte
 costituzionale  a  respingere  le  censure  di  costituzionalita' del
 condono edilizio di cui alla legge n. 47/1985  fu  la  eccezionalita'
 del  provvedimento  e  l'esigenza  di  chiudere  con  il  passato  in
 occasione dell'emanazione di nuova, organica, disciplina  legislativa
 in materia di repressione di illeciti urbanistici ed edilizi.
    Alla  luce  di  quanto  sopra, sembra evidente a questo pretore la
 confliggenza del provvedimento rimesso oggi al vaglio  della  Suprema
 Corte  con  quei  principi  che  la  Corte  stessa  ritenne opportuno
 enunciare, e sottolineare con fermezza, per chiarire le ragioni della
 propria mancata censura al precedente condono. E' precisamente quella
 gerarchia  di  valori che giustifico' l'atto di clemenza di allora ad
 essere oggi  minacciata:  allora  lo  Stato  rinuncio'  alla  propria
 potesta' punitiva nel nome dei citati valori di tutela dell'ambiente,
 del  patrimonio  storico  ed  artistico, della funzione sociale della
 proprieta'; la reiterazione del  provvedimento,  oggi,  disattende  e
 sovverte  radicalmente  le limpide indicazioni fornite gia' all'epoca
 dall'organo di suprema giustizia.