IL PRETORE
    Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza  nel  processo  di cui in
 epigrafe a carico di Manini Arnaldo.
                             O S S E R V A
    All'odierno processo l'avv. Quinto De Santis, quale  difensore  di
 Manini Arnaldo, chiedeva emettersi sentenza di assoluzione perche' il
 fatto  non e' preveduto dalla legge come reato, in ordine ai reati di
 cui ai capi b) e c) dell'imputazione, ai sensi e per gli  effetti  di
 cui all'art. 12 del d.-l. 7 gennaio 1995, n. 3.
    Ritiene  il  giudicante  che  la decisione sul punto, che non puo'
 essere scissa dall'analisi del  reato  di  cui  al  capo  a),  merita
 preliminarmente    l'esame    della    questione    di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 12 del d.-l. 7 gennaio 1995, n. 3.
                           R i l e v a n z a
    Dalle  emergenze  processuali   sembra   risultare,   salva   ogni
 successiva   determinazione,  la  presenza  nell'odierna  vicenda  di
 rifiuti  classificabili   come   residui   anche   in   forza   delle
 determinazioni   amministrative  di  cui  al  decreto  del  Ministero
 dell'ambiente datato 5 settembre 1994.
    In  forza  di  queste  attuali  emergenze  processuali  rileva  il
 giudicante  come  l'ipotesi accusatoria in esame attiene ad attivita'
 riguardanti sostanze classificabili, ex art. 1 del  d.-l.  n.  3  del
 1995,  come  "residui".  Per l'effetto sembra applicabile all'odierna
 fattispecie l'art. 12, sesto comma, del d.-l.  n.  3  del  1995,  che
 realizza  una  abrogazione  della  normativa  penale  dell'originario
 impianto sanzionatorio di cui al d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915.
                      Non manifesta infondatezza
    Cio'  premesso  si  nota,  conformemente  a  quanto   testualmente
 ritenuto  dalla  Corte  costituzionale  9 marzo 198810 marzo 1988, n.
 302, che "in via  di  principio  la  reiterazione  dei  decreti-legge
 suscita  gravi  dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai
 principi costituzionali, tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti
 in base al decreto reiterato sono praticamente  irreversibili  (come,
 ad esempio, quando incidono sulla liberta' personale dei cittadini) o
 allorche'   gli   stessi   effetti   sono   fatti  salvi,  nonostante
 l'intervenuta  decadenza,  ad  opera  dei   decreti   successivamente
 riprodotti".
    Tali  dubbi  appaiono particolarmente fondati nell'odierna vicenda
 in cui il d.-l. n.  3  del  1995  fa  seguito  ai  decretilegge,  non
 convertiti nei termini e ripresentati anche con modifiche, di seguito
 indicati, d.-l. 9 novembre 1993, n. 443, d.-l. 7 gennaio 1994, n. 12,
 d.-l.  10  marzo  1994,  n. 169, d.-l. 6 maggio 1994, n. 279, d.-l. 8
 luglio 1994, n. 438, d.-l.  7  settembre  1994,  n.  530  e  d.-l.  7
 novembre 1994, n. 619.
    Sorge  il  fondato  sospetto che la reiterazione cosi' ostinata di
 decreti-legge non convertiti nei termini e talvolta contenenti  anche
 profonde  modifiche l'uno dall'altro con rilevanti effetti in tema di
 abrogazione  o  meno  delle  norme  contenenti  fattispecie   penali,
 costituisca  una palese violazione del combinato disposto degli artt.
 25 e  77  della  Costituzione  in  materia  penale,  infatti  non  si
 comprende  come la necessita' ed urgenza della decretazione normativa
 e la connessa provvisorieta' della normativa nonostante  la  naturale
 vocazione del decreto-legge a disporre anche in via definitiva, possa
 conciliarsi,  in  materia  penale, con la mancanza di alcuna scadenza
 temporale o di limite al legislatore in  sede  di  conversione.  Tale
 contrasto   si   acuisce  allorche'  la  precarieta'  legislativa  si
 protragga, come nel caso di specie, per  l'arco  di  oltre  un  anno,
 sempre  che  l'attuale  decreto-legge  venga  finalmente convertito o
 defitivamente  abbandonato.  In  pratica  questo   pretore   potrebbe
 emettere  una  sentenza  assolutoria per un fatto che, pur essendo in
 ipotesi offensivo di un bene, quale la salute pubblica,  tutelato  al
 massimo  rango  costituzionale  viene  depenalizzato  in forza di una
 normativa  non  solo   provvisoria,   ma   costantemente   reiterata,
 addirittura  con  modifiche,  nel  tempo  in  mancanza di conversione
 legislativa.
    A prescindere dall'eventuale contrasto tra la normativa interna in
 esame e quella comunitaria, segnatamente con le direttive CEE  156/91
 e  689/91,  il  dettato  dell'art.  12  del  d.-l.  n.  3  del  1995,
 astrattamente applicabile al caso di specie, sembra in conflitto  con
 i principi costituzionali che statuiscono il principio di legalita' e
 la riserva di legge in materia penale.
    Sul  punto  del rispetto del principio di legalita', la situazione
 di incertezza legislativa  cagiona  perniciosi  effetti  in  tema  di
 prevedibilita'  delle  decisioni  giudiziarie  in quanto gli imputati
 sottoposti a processo penale per un medesimo fatto vengono  giudicati
 in forza di una normativa precaria e mutevole nel tempo.
    Cio'  e'  tanto piu' grave in materia ove e' doveroso stabilire un
 discrimine certo tra condotta lecita e comportamento  illecito,  come
 ricordato  in generale anche dalla giurisprudenza costituzionale (per
 tutte v. Corte cost. 24 marzo 1988 n. 364).
    Per quanto riguarda il secondo profilo, la ratio della riserva  di
 legge  consiste  nell'attribuire  al  potere legislativo il monopolio
 penale col duplice scopo di evitare l'arbitrio del potere giudiziario
 e di quello del potere esecutivo.
    Non si contesta certo la natura di  fonte  legale  di  diritto  al
 decreto-legge,  sancita  dall'art. 77 della Costituzione, ma si vuole
 ricordare come l'appartenenza di una propria potesta' legislativa  al
 Governo presupponga la sussistenza di casi straordinari di necessita'
 ed  urgenza.  In  effetti  per  il  decreto-legge  si  tratta  - come
 riconosciuto dalla dottrina la cui citazione nominativa degli  autori
 e'  preclusa  da  un'opportuna  applicazione  analogica  del disposto
 dell'art. 118, terzo domma, r.d. 18 dicembre 1941 n. 1368  contenente
 le  disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile - di
 una fonte assolutamente unica nel suo genere  in  quanto  subordinata
 alla conversione legislativa. Si pensi ai problemi che puo' suscitare
 il  passaggio  in  giudicato, per mancata impugnazione nei termini di
 rito, di una sentenza penale del giudice di  primo  grado  che  abbia
 applicato  la  norma  abrogata da un decreto-legge non convertito nei
 termini di sessanta giorni.
    Sebbene   la  prassi  della  rinnovazione  dei  decreti-legge  sia
 divenuta pressoche' costante,  al  punto  che  decreti-legge  vengono
 modificati  nelle  more  del procedimento di conversione con separato
 decreto-legge (v. d.-l. 15  dicembre  1994  n.  684  il  cui  art.  1
 modifica l'art. 1 del d.-l. 25 novembre 1994 n. 649 in una materia la
 cui attuale disciplina va individuata nel dettato dell'art. 39, legge
 23  dicembre  1994  n.  724),  questo pretore non ritiene che l'unico
 strumento di garanzia per il cittadino sia costituito da un'eventuale
 revisione costituzionale sul punto che riformuli  i  presupposti  per
 l'esercizio della decretazione d'urgenza.
    Infatti,  e' pacifico, in primo luogo, che i decreti-legge possono
 essere sindacati sotto il profilo dei vizi propri che ne inficiano la
 legittimita', ancor prima  dell'intervento  dell'eventuale  legge  di
 conversione;  per  tale  motivo  e'  ammesso, qualora ne sussistono i
 presupposti, sollevare una questione di  legittimita'  costituzionale
 avverso un decreto-legge non ancora convertito.
    Ma  oltre  a  cio'  si  ricorda che ai sensi dell'art. 77, secondo
 comma, della Costituzione il Governo  si  assume  la  responsabilita'
 dell'adozione  del  decreto-legge.  Le  sanzioni  a  cui  l'esecutivo
 soggiace  in  caso  di  mancata  conversione  del  decreto-legge  non
 consistono  esclusivamente in quelle di natura politica, che per loro
 natura ovviamente esulano dall'odierno esame, ma si riflettono  anche
 nell'ambito  strettamente  giuridico.  Infatti  va considerato che la
 facolta', di cui all'art. 77, terzo  comma,  della  Costituzione,  di
 regolare  con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti
 non convertiti e' meramente  eventuale  e  non  obbligatoria.  Sembra
 percio'  logico  ritenere che, qualora il decreto-legge venga emanato
 in  assenza  dei  presupposti  giustificativi,  non   e'   necessario
 attendere l'intervento del legislatore, ma il giudice puo' dichiarare
 l'illegittimita'  della  norma,  contenuta  nel  decreto-legge.  Tale
 pronuncia, che non spetta naturalmente al  giudice  di  merito,  deve
 essere  eventualmente pronunciata dalla Corte costituzionale, qualora
 ritenga, come sostiene  questo  pretore,  che  il  decreto-legge  non
 poteva  essere  presentato o, come nel caso di specie, reiteratamente
 presentato, con o senza modifiche, essendo venuto meno il presupposto
 giustificativo della decretazione d'urgenza.
    Nel caso di  specie,  dunque,  sussistendo  i  presupposti  questo
 giudice  puo'  sollevare  la  questione con riferimento al menzionato
 dettato costituzionale.
    In ogni caso il disposto dell'art. 12 del  d.-l.  n.  3  del  1995
 sembra  confliggere  con  il dettato costituzionale anche sotto altri
 parametri,  che  qui  per  brevita'  espositiva  possono   intendersi
 sostanzialmente indicati nei seguenti:
      con   il   combinato  disposto  degli  articoli  3  e  25  della
 Costituzione, in quanto il decreto in esame, che sembra  reintrodurre
 il  contenuto  del  d.m. 26 gennaio 1990 gia' parzialmente dichiarato
 illegittimo costituzionalmente (Corte cost. 25 ottobre 1990 n.  512),
 sottrae  la disciplina dei rifiuti a quelle sostanze che la camera di
 commercio inserisce  nei  listini  ufficiali,  con  cio'  creando  un
 contrasto   di  fatto  coi  principi  costituzionali  di  parita'  di
 trattamento  e  riserva  di  legge  penale  (cfr.  decreto  Ministero
 dell'ambiente  5  settembre  1994 pubblicato in Gazzetta Ufficiale 10
 settembre 1994 n. 212, supplemento ordinario);
      con  l'art. 10 per il contrasto di fondo fra il decreto-legge in
 esame e la normativa comunitaria, segnatamente direttive CEE  n.  156
 del  18  marzo 1991, n. 689 del 12 dicembre 1991 e regolamento n. 259
 del 1 febbraio 1993, ancora da recepire;
      con  il  combinato  disposto  degli  articoli  9  e   32   della
 Costituzione  che  tutelano  l'ambiente  e  la  salute  come ambiente
 naturale in senso lato.
    Per queste considerazioni la questione nel  presente  processo  e'
 rilevante   e  non  manifestamente  infondata  per  cui  deve  essere
 sollevata anche d'ufficio.