IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza. Visti gli atti del procedimento penale n. 1/1991 r.g.n.r. contro: Ferrigno Antonio, nato a Gela il 15 gennaio 1961; Scerra Orazio, nato a Gela il 19 gennaio 1955; Curva' Ignazio, nato a Gela il 1 agosto 1995, imputati. Il primo del reato p. e p. dall'art. 416-bis del c.p. per avere fatto parte con altri dell'associazione di tipo mafioso capeggiata da Madonia Giuseppe, essendosi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta' che ne deriva per commettere delitti e per realizzare profitti e vantaggi ingiusti; con le aggravanti d'avere disponibilita' di armi e materie esplodenti per il conseguimento delle finalita' illecite dell'associazione e di avere finanziato le attivita' di cui intendevano assumere il controllo con il prodotto e il profitto di delitti. In Gela e altrove fino alla data odierna. Con l'aggravante di avere, in concorso con altri, assunto nell'organizzazione di cui trattasi, un ruolo direttivo e organizzativo, recidiva reiterata infraquinquennale. Il secondo e il terzo del reato p. e p. dall'art. 416-bis del c.p. per avere fatto parte dell'associazione di tipo mafioso capeggiata da Iocolano Salvatore e Ianni' Gaetano, essendosi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omerta' che ne deriva per commettere delitti e per realizzare profitti o vantaggi ingiusti: con le aggravanti di avere la disponibilita' di armi e materie esplodenti per il conseguimento delle finalita' illecite dell'associazione e di avere finanziato le attivita' di cui intendevano assicurare il controllo con il prodotto e il profitto di delitti. In Gela e altrove fino alla data odierna. Per Curva' Ignazio con la recidiva reiterata infraquinquennale; Vista la legge 11 marzo 1953 n. 87, ed in particolare l'art. 23, terzo comma; Ritenuto, sulla base delle argometazioni che di seguito saranno esposte, di dover sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 441, primo comma, del c.p.p. ravvisando violazione dell'art. 3 della Costituzione sia con riguardo al principio di ragionevolezza, sia sotto il profilo della violazione dei principi di uguaglianza, nonche', violazione dell'art. 25 e 76 della Costituzione, per eccesso di delega, in relazione al punto 53) della legge delega del 16 febbraio 1987 n. 81; Ritenuto che le questioni rappresentate si pongono come rilevanti e non manifestamente infondate per i seguenti motivi: MOTIVI DI RILEVANZA All'udienza preliminare del 13 dicembre 1993, nel procedimento penale n. 1/1991 r.g.n.r., nei confronti di Iaglietti Diego + 116, in ordine a reati contestati in 41 capi d'imputazione, gli imputati Curva' Ignazio, Ferrigno Antonio e Scerra Orazio, imputati dei reati sopra descritti, avanzavano richiesta di rito abbreviato. Il p.m. prestava il proprio consenso e il g.u.p. ammetteva con ordinanza il rito, ritenendo il procedimento definibile allo stato degli atti. Veniva quindi disposto lo stralcio delle suddette posizioni e il rinvio per la celebrazione del rito abbreviato. Giunto dopo diversi rinvii all'udienza preliminare del 4 febbraio 1995 questo giudice, subentrato nella titolarita' dell'ufficio g.i.p. del tribunale di Gela, si trovava a celebrare l'udienza fissata per la definizione con rito abbreviato relativamente agli imputati sopra generalizzati. Si pone quindi, come questione rilevante e pregiudiziale ai fini della celebrazione dell'udienza, quella relativa al mutamento del giudice, nel frattempo intervenuto, e alla legittima sopravvivenza di un provvedimento ammissivo del rito alternativo, nella specie giudizio abbreviato, emesso da giudice diverso. MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA E' opportuno in via preliminare osservare che la situazione concreta da cui sono scaturiti i sospetti di illegittimita' dell'art. 441, primo comma, del c.p.p., che di seguito si andranno ad illustrare, si pone sicuramente come patologica rispetto alla stragrande maggioranza dei casi, essendo normale che il g.u.p., che ha ammesso il rito abbreviato, coincida con il giudice, persona fisica, dinanzi a cui le parti sono chiamate a concludere. E' peraltro indiscutibile che nella pratica giudiziaria si possano verificare situazioni abnormi del tipo descritto, la cui mancata previsione e conseguente disciplina non appare priva di rilievo sotto il profilo delle soluzioni concretamente praticabili. L'art. 441, primo comma, del c.p.p. stabilisce che nel giudizio abbreviato si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l'udienza preliminare, fatta eccezione di quelle contenute negli artt. 422 e 423 del c.p.p., chiaramente incompatibili con la struttura del rito abbreviato e con la sua funzione anticipatoria del giudizio e quindi deflativa del carico dibattimentale. L'esplicito richiamo alle sole norme che disciplinano l'udienza preliminare, nonche' ai principi contenuti nel capo II del libro VII del codice relativi alla decisione (art. 442, primo comma, del c.p.p.), non pare facilmente superabile attraverso una semplicistica interpretazione analogica dell'art. 525 del c.p.p., atteso che il mancato rispetto del principio di immutabilita' del giudice nel giudizio dibattimentale si traduce in nullita' assoluta e quindi in una sanzione normativa che, per principio generale, e' tassativa e quindi applicabile nelle sole ipotesi previste dal legislatore. Appare quindi legittimo concludere che la mancata previsione ovvero richiamo nell'art. 441, primo comma, del c.p.p. di un principio analogo a quello previsto dall'art. 525 del c.p.p. e quindi, nel caso concreto, di immutabilita' del giudice dell'udienza preliminare che ha accolto, ritenendo il procedimento definibile allo stato degli atti, la richiesta di abbreviato, rispetto a quello dinanzi cui le parti concludono, si ponga in contrasto con i principi contenuti nelle norme della Costituzione sopra citate. Con riguardo al primo profilo di illegittimita' (art. 3 della Costituzione) rileva osservare come la mancata previsione di un principio di immutabilita' del giudice nell'ambito del rito abbreviato costituisca, a parere di questo giudice, violazione del principio di ragionevolezza, che l'art. 3, secondo comma, della Costituzione pone a generale presidio dell'ambito di discrezionalita' riservata al legislatore, attesa l'evidente omogeneita' tra la situazione descritta e non regolamentata e quella prevista e disciplinata dall'art. 525 del c.p.p. Con riguardo ai principi di uguaglianza, la lacuna normativa si traduce, nella pratica, in una irragionevole ed evidente disparita' di trattamento dell'imputato giudicato con rito abbreviato rispetto all'imputato giudicato con rito ordinario, al quale e' garantito attraverso la prevista sanzione di nullita' assoluta sancita dall'art. 525 del c.p.p., che la decisione nel merito sia pronunciata dallo stesso giudice dinanzi cui si e' formata la prova. Non si ignora che la questione proposta si pone in termini non perfettamente coincidenti con quelli previsti e quindi risolti dalla previsione del principio di cui all'art. 525 del c.p.p., attesa la particolare struttura del rito alternativo in questione. Peraltro la mancata previsione nel corpo delle norme che disciplinano il rito abbreviato ed in particolare nell'art. 441, primo comma, del c.p.p., di un principio analogo a quello contenuto nell'art. 525 del c.p.p. non appare priva di rilievo, atteso che la positiva valutazione da parte del g.u.p. in ordine alla decidibilita' allo stato degli atti, comporta una cristallizzazione degli elementi emergenti dal fascicolo del p.m., che da fonti di prova a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio, si trasformano in veri e propri elementi probatori a disposizione del giudice per il giudizio di merito. Proprio le peculiarita' specifiche del giudizio in questione, che fra i riti dell'alternativa accusatoria, costituisce il modello sicuramente piu' affine allo schema del giudizio ordinario, impongono, a parere di questo giudice, la previsione ovvero il richiamo di una norma che stabilisca, analogamente al principio sancito dall'art. 525 del c.p.p., la coincidenza fra il giudice che ha ammesso il rito e quello chiamato a celebrarlo e quindi, sul piano delle concrete e possibili soluzioni praticabili, nell'ipotesi di intervenuto mutamento, la legittimita' di un provvedimento di revoca del precedente consenso, con conseguente regressione del procedimento all'udienza preliminare. La questione di illegittimita' costituzionale appare inoltre non manifestamente infondata anche con riguardo all'art. 76 della Costituzione con riferimento al contenuto di principio del punto 53) della legge delega del 1987 n. 81. La previsione ivi contenuta in ordine al potere del giudice di pronunciare all'udienza preliminare anche sentenza di merito non sembra, ad avviso dello scrivente, altrimenti interpretabile che come espressione di un principio che impone l'identita' fra g.u.p., che ammette il rito, e giudice che delibera la sentenza di merito. Va infine evidenziato come la mancata previsione di un potere di revoca del consenso precedentemente espresso da giudice diverso con conseguente e legittima regressione del procedimento all'udienza preliminare rilevi anche con riguardo ai principi contenuti nell'art. 25 della Costituzione. La norma costituzionale richiamata non costituisce unicamente garanzia posta a tutela dell'individuo, ma rappresenta espressione dell'autonomia, imparzialita' e indipendenza del giudice. Orbene la problematica rappresentata, connessa all'impossibilita' di revocare il provvedimento ammissivo del rito abbreviato, pena l'abnormita' dello stesso (si consideri che in ordine all'ammissibilita' della revoca del consenso nel rito abbreviato si e' pronunciato qualche giudice di merito, ritenendo il provvedimento non abnorme, in relazione alle limitate ipotesi di sopravvenienza di nuovi elementi di prova che incidano sul quadro processuale, provvedimento peraltro ritenuto dalla stessa Corte costituzionale - sentenza n. 92/318 - non praticabile), comporta, in concreto, una notevole ed irragionevole compressione dell'autonomia decisionale del nuovo giudice chiamato a decidere sul merito, che appare vincolato nel suo giudizio ad una precedente valutazione, dalle quali potrebbe legittimamente dissentire. Sul piano dei diritti dell'imputato, nulla esclude, ammettendo come legittima la regressione del procedimento all'udienza preliminare nell'ipotesi descritta, che le parti reiterino la propria richiesta di rito abbreviato e il giudice concluda nuovamente per la decidibilita' allo stato degli atti. Peraltro il diritto alla riduzione di un terzo della pena non appare compromesso anche nell'ipotesi inversa e quindi di rigetto del rito abbreviato da parte del nuovo giudice, attesa la sindacabilita' in dibattimento della motivazione adotta dallo stesso in ordine al non accoglimento della richiesta di rito abbreviato (Corte costituzionale 31 gennaio 1992 n. 23).