IL VICE PRETORE ONORARIO Ha pronunciato la seguente ordinanza. Visti gli atti del procedimento penale, iscritto al n. 4164/1991 r.g.n.r. (della Procura della Repubblica presso la pretura circondariale di Chieti) e n. 335/1994 r. della pretura circondariale di Chieti, sezione distaccata di Francavilla al Mare, a carico di Recanatese Rodolfo, nato il 24 marzo 1961, imputato: a) del reato previsto e punito dall'art. 672 del c.p. "per aver maltrattato il fratello convivente Recanatese Donato, ingiurandolo, minacciandolo di morte, percuotendolo, impedendogli di lavarsi, di mangiare e di dormire"; b) del reato p. e p. dagli artt. 624 e 625 n. 11 del c.p. per essersi impossessato, al fine di trarne profitto per se' o per gli altri, di due televisori, di una radio, di capi di abbigliamento e di altri soggetti personali, di Recanatese Donato sottraendoli al medesimo che li deteneva e con abuso di relazioni domestiche; Rilevato a seguito della esposizione operata dal p.m. di udienza e su sua sollecitazione che l'unica fonte di prova (diretta) che puo' avvalorare, relativamente al capo sub a) l'assunto accusatorio e' costituito dalla testimonianza della stessa persona offesa (Recanatese Donato), la quale pero' medio tempore e' deceduta come risulta inequivocabilmente dalla relata di notifica dell'atto di citazione testimoniale; Verificato che la persona offesa dal reato non e' stata sentita a sommarie informazioni ( ex art. 351 del c.p.p.) e che, in sede di indagini preliminari, il pubblico ministero non ha assunto informazioni ( ex art. 362 del c.p.p.) dallo stesso; Considerato che, pertanto, le sole dichiarazioni rese dalla parte offesa risultano essere contenute (e formalizzate) nel verbale di ricezione di denuncia-querela del 3 agosto 1991; che tale atto e' stato allegato al fascicolo per il dibattimento, formato ex art. 431 del c.p.p. ma che del suo contenuto se ne puo' tener conto al limitato fine della verifica della condizione di procedibilita' dell'azione penale; che si pone quindi, in maniera concreta, la questione dell'utilizzabilita'ai fini probatori delle dichiarazioni rese dalla parte offesa e contenute nella denuncia-querela; Tutto quanto premesso e dopo aver rilevato in diritto: a) che come gia' detto il vigente codice di rito preclude la possibilita' di utilizzazione delle dichiarazioni rese dalla parte offesa in sede di presentazione della querela; b) che non e' possibile convocare gli ufficiali e/o gli agenti di p.g. (nella fattispecie: il brigadiere dei cc. Massimo Ruffini della stazione dei carabinieri di Miglianico) che hanno raccolto le dichiarazioni formalizzate nella querela, al fine di una loro conferma visto che la parte offesa nel momento in cui ha presentato la querela non assumeva la qualita' di testimone (con conseguente inutilizzabilita' del disposto dell'art. 195, quarto comma, del c.p.p. cosi' come modificato dalla sentenza dalla Corte costituzionale n. 24 del 22-31 gennaio 1992); c) che per le stesse ragioni non puo' soccorrere l'art. 351 del c.p.p., in quanto anche in tal caso difetta la qualifica soggettiva di testimone in capo alla persona alla quale dovrebbe riferirsi l'agento e/o l'ufficiale di p.g. nel deporre circa le dichiarazioni rese dalla stessa; d) che miglior sorte non puo' essere riservata a un'ipotetica prospettazione di utilizzabilita', ai fini probatori, della querela sotto il profilo che l'atto sarebbe acquisibile agli atti in base al combinato disposto degli artt. 500, 503 e 512 del c.p.p., in quanto la prima e la seconda disposizione (cosi' come modificate dal d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n. 356) presuppongono la circostanza che la parte abbia gia' deposto in sede dibattimentale (e cio', all'evidenza, non puo' verificarsi nel caso di specie), mentre la terza (anch'essa sensibilmente modificata con il d.-l. n. 306/1992 convertito in legge n. 356/1992) fa espresso riferimento alla lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e dal giudice nel corso dell'udienza preliminare (e quindi e' del tutto inconferente nella fattispecie trattandosi di rito pretorile); e) che alla luce delle considerazioni svolte, deve ritenersi che, allo stato della vigente disciplina processualpenalistica, per il giudicante non vi sia alcuna possibilita' di avere contezza, al fine dell'accertamento dei fatti, delle dichiarazioni rese dalla parte offesa (qualora quest'ultima sia deceduta) e contenute (esclusivamente) nella querela, con la inevitabile conseguenza che gli viene preclusa ogni possibilita' di valutazione, nell'ambito del compendio probatorio, delle stesse dichiarazioni, con gravissima compromissione della esigenza di accertamento della verita' reale, cui deve tendere, istituzionalmente, il processo penale; f) che in particolare (e come gia' evidenziato) le norme che ostacolano tale utilizzabilita' possono individuarsi: 1) nell'art. 195 del c.p.p., nella parte in cui non prevede che gli ufficiali agenti di polizia giudiziaria possano deporre anche sul contenuto delle dichiarazioni rese dalla parte offesa e consacrate nella querela qualora, per circostanze imprevedibili (morte, irreperibilita' et similia), sia venuta meno la possibilita' di acquisirle oralmente; 2) nell'art. 431, lett. a) e b), del c.p.p., nella parte in cui non prevede che, qualora sopravvenga in modo del tutto imprevedibile la morte della parte offesa (o la sua irreperibilita') il verbale contenente la querela (e quindi le dichiarazioni ivi contenute) divenga atto non ripetibile compiuto dalla p.g. e quindi, come tale, valutabile dal giudice anche al fine dell'accertamento dei fatti e non solo per verificare, come prescritto dalla lett. a) della stessa norma, la sussistenza della condizione di procedibilita'; 3) nel combinato disposto degli artt. 500, 503 e 512 del c.p.p., nella parte in cui non prevedono che, qualora si verifichi l'evenienza appena considerata, il predetto verbale possa essere acquisito nel fascicolo per il dibattimento e valutato dal giudice al fine dell'accertamento dei fatti; g) che tali norme, quindi, fanno sorgere dubbi circa la loro legittimita' costituzionale in parte qua; h) che sembrano individuabili nella fattispecie sia il requisito della rilevanza della questione di costituzionalita' sia quello della non manifesta infondatezza della stessa, e che quindi sembrerebbe ammissibile la sottoposizione del dubbio di costituzionalita' allo scrutinio del giudice delle leggi; i) che infatti: 1) Sulla rilevanza della questione. Nella causa (ed in particolare relativamente al primo capo di imputazione) l'unica fonte probatoria diretta consiste nella testimonianza della parte offesa dal reato visto che l'altro teste (Concistre' Elisa responsabile dell'ufficio sanitario della U.L.S.S. n. 4 di Chieti) e' stato addotto solo per riferire "sulle condizioni di vita dell'imputato e della p.o."; 2) Sulla non manifesta infondatezza della questione. Il criterio seguito dalla vigente disciplina del c.p.p. e' quello "tendente a contemperare il rispetto del principio-guida dell'oralita' con l'esigenza di evitare la 'perdita', ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede" (sent. n. 254 del 18 maggio-3 giugno 1992; sent. n. 255 del 18 maggio-3 giugno 1992). Il divieto derivante dal disposto degli articoli sopra indicati, pertanto, non sembra abbia alcuna ragion d'essere ponendosi in contrasto non solo con detto criterio ma anche e soprattutto con il principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), il diritto di azione (art. 24, primo comma, della Costituzione, con particolare riguardo ai diritti delle vittime del delitto) e della giurisdizione penale (art. 101, secondo comma, della Costituzione, in relazione al principio di legalita' posto dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione), nonche' con l'esigenza, cui e' correlato il corrispondente diritto dei cittadini, di assicurare l'effettivo e concreto esercizio della stessa giurisdizione (espressa dagli artt. 24, primo e secondo comma, 101 e 112 della Costituzione) attraverso mezzi e strumenti giuridici che soddisfino da una parte la fondamentale esigenza di un processo giusto, e che dall'altra non inibiscano al giudice la piena e completa cognizione del fatto, attraverso la valutazione di tutti gli elementi probatori (e quindi anche delle dichiarazioni della persona offesa del reato, la quale, per fatti imprevedibili, non possa renderle oralmente in sede dibattimentale) per la effettiva e concreta attuazione della legge che ha il dovere di applicare. Si aggiunge a tali brevissime considerazioni che il codice vigente ha "patrimonializzato" ai fini decisori diversi elementi di valutazione formatisi prima del dibattimento mediante l'acquisizione dei relativi atti o con la loro lettura (es.: imputato che si rifiuti di sottoporsi all'esame, art. 513; imputato che renda dichiarazioni diverse, art. 503; teste che sia irreperibile o deceduto, art. 512; coimputato che si rifiuti di rispondere, art. 513) ed allora piu' che evidente apparira' la necessita' di utilizzazione anche del verbale di querela e delle dichiarazioni in essa contenute in presenza di decesso o irreperibilita' del querelante.