LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 641/1993 presentato
 il 15 aprile 1993 (avverso: sil.-rifiuto, I.S.I.) da Faverzani Carlo,
 residente  a  Cortemaggiore, in via Galluzzi, 20, contro l'Intendenza
 di finanza di Piacenza.
    Con ricorso pervenuto a queta Commissione il 16 aprile 1993  Carlo
 Faverzani  impugnava  il  silenzio-rifiuto  formatosi  ex art. 16 del
 d.P.R.   n.   636/1972   sull'istanza   11   gennaio   1993   diretta
 all'Intendenza di finanza di Piacenza al fine di ottenere il rimborso
 dell'I.S.I.   versata   in   data   14   dicembre   1992,   eccependo
 l'illegittimita' costituzionale dell'imposta  medesima  e  chiedendo,
 previa  rimessione  alla  Corte  costituzionale  la  declaratoria  di
 illegittimita' del diniego di rimborso  opposto  dall'amministrazione
 finanziaria  nonche'  la debenza del rimborso a favore del ricorrente
 medesimo.
    Con deduzioni depositate in data 12 giugno  1993  l'Intendenza  di
 finanza  di  Piacenza  ossevava  che,  quanto  al  quarto  motivo del
 ricorso,  il   decreto   ministeriale   ritenuto   dal   contribuente
 illegittimo  era  stato  sostituito  dall'art. 2 del d.-l. 23 gennaio
 1993,  n.  16,  convertito  nella  legge  24  marzo  1993,   n.   75,
 rimettendosi  quanto  al resto alla decisione della commissione adita
 anche  in  ordine  alla   sollevata   questione   di   illegittimita'
 costituzionale.
    A ulteriore sostegno delle proprie tesi il contribuente depositava
 in data 11 gennaio 1994 una memoria difensiva unitamente ai documenti
 ivi indicati.
    All'udienza   del  9  febbraio  1994,  assente  il  rappresentante
 dell'ufficio finanziario, la difesa del contribuente  insisteva  come
 in atti, e la commissione si riservava.
    A  scioglimento  della  riserva la commissione tributaria di primo
 grado di Piacenza, sez. terza.
                             O S S E R V A
    La  complessa  problematica  va  risolta  anche  alla  luce  della
 sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  263 del 20-24 giugno 1994
 nonche' del sopravvenuto d.-l.  n.  719  del  27  dicembre  1994  che
 all'art.  1,  quarto  comma,  ha  prorogato sino al 1 gennaio 1998 il
 termine del 1 gennaio 1995 previsto dall'art. 2, primo comma, secondo
 periodo del d.-l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito dalla  legge  24
 marzo  1993,  n.  75,  per  l'efficacia  delle  zone censuarie, delle
 tariffe  d'estimo,  delle  rendite  delle  unita' immobiliari urbane,
 stabilendo che fino al 31 dicembre 1997 continuano ad  applicarsi  le
 tariffe  d'estimo  e le rendite determinate in esecuzione del decreto
 del Ministro delle finanze 20 gennaio 1990.
    In linea generale va osservato che con la  precitata  sentenza  su
 ICI  -  estimi  catastali, la Corte costituzionale sostanzialmente ha
 "salvato" gli estimi  (benche'  riferiti  al  valore  degli  immobili
 invece  che alla loro redditivita') solo in quanto "provvisori" ed in
 quanto - secondo i giudici costituzionali - la loro compatibilita'  o
 meno   con  il  nostro  ordinamento  costituzionale  dovrebbe  essere
 valutata nell'ambito delle singole imposte.
    Nella fattispecie si verte in  materia  di  imposta  straordinaria
 immobiliare   (I.S.I.)  il  cui  importo  e'  stato  calcolato,  come
 prescritto dall'art. 7 del d.-l. n. 333/1992, sulla base  del  valore
 catastale degli immobili determiato secondo le nuove tariffe d'estimo
 stabilite con il d.m. 27 settembre 1991.
    Va  a questo punto ricordata brevemente l'excursus legislativo che
 riguarda  la  materia  della  revisione   degli   estimi   catastali,
 direttamente connessa con la presente controversia tributaria.
    Con  legge  30  dicembre  1989,  n.  427, il legislatore prevedeva
 l'aggiornamento del catasto edilizio urbano  e  del  catasto  terreni
 limitandosi  pero'  a  statuire  in ordine alle spese e all'efficacia
 della revisione, senza pero' dettare i nuovi criteri della stessa: si
 faceva infatti riferimento a  precedenti  leggi  (in  particolare  la
 legge  7  marzo 1986, n. 60, di conversione del d.-l. 6 gennaio 1986,
 n. 2, e la legge 17 febbraio 1985, n. 17, di conversione del d.-l. 19
 dicembre 1984, n. 153) che pero', a  loro  volta,  nulla  disponevano
 circa i criteri della revisione.
    L'argomento  veniva  affrontato nella circolare del Ministro delle
 finanze 9 gennaio 1990, n. 2, che stabilisce: "la rendita  non  sara'
 piu'  calcolata in base al canone di fitto annuo, ma determinata come
 fruttuosita',  con  adeguato  saggio  di  interesse,   del   capitale
 rappresentato dal valore ordinario dell'immobile".
    Evidente a questo punto e' il passaggio (non previsto dalla legge)
 dal  criterio del reddito (ossia calcolato in base al canone di fitto
 annuo)  a  quello   del   valore   dell'immobile,   ai   fini   della
 determinazione delle nuove tariffe d'estimo.
    Questa   impostazione   e'   stata   poi  confermata  con  decreto
 ministeriale 20 gennaio 1990 (che dettava i criteri  appunto  per  la
 revisione  delle  tariffe  d'estimo) ove si stabiliva al riguardo che
 "il valore unitario di mercato da porre a base per la  determinazione
 delle   tariffe   nonche'  per  le  rendite  catastali  delle  unita'
 immobiliari a disposizione speciale o particolare, sara'  determinato
 come media dei valori riscontrati nel biennio 1988-1989".
    Con  d.m.  27  settembre  1991 il Ministro delle finanze stabiliva
 infine che "le tariffe di estimo delle unita' immobiliari urbane sono
 determinate per l'intero territorio  nazionale,  con  effetto  dal  1
 gennaio  1992,  in  conformita'  dei  prospetti  annessi  al presente
 decreto"; e, nello stesso decreto, veniva richiamato come presupposto
 il predetto d.m.  20  gennaio  1990  (con  cui,  come  anzidetto,  si
 stabiliva  di  prendere  a base del calcolo il criterio rapportato al
 valore dell'immobile).
    Entrambi   i  predetti  decreti  ministeriali  venivano  impugnati
 davanti   al   giudice   amministrativo   (TAR   Lazio),   per   aver
 illegittimamente  introdotto - secondo i ricorrenti - il criterio del
 valore dell'immobile invece  di  quello  reddituale,  ai  fini  della
 determinazione delle tariffe d'estimo.
    Con sentenza del 6 maggio 1992, n. 1184, il TAR Lazio, poi seguita
 dalla  sentenza  n.  1417/1992  (entrambe  immediatamente esecutive),
 accoglieva  i  ricorsi  annullando   i   provvedimenti   de   quibus,
 sottolineando  in  decisione  che, se i criteri stabiliti dai decreti
 ministeriali  si  fossero  dovuti  far  risalire  ad  una  disciplina
 legislativa,  quella  stessa  disciplina  non sarebbe stata esente da
 fondati  dubbi  di  costituzionalita':  ovverossia  per  il   giudice
 amministrativo  un  criterio di determinazione delle tariffe d'estimo
 fondato soltanto sul "valore" dell'immobile  sarebbe  stato  comunque
 illegittimo  (anche  se  prevista  da una fonte primaria, ossia dalla
 legge) "perche' l'inversione  dei  criteri  di  determinazione  delle
 tariffe d'estimo operata dai decreti ministeriali impugnati, non solo
 viola  le  norme  di  regolamento  n. 1142 del 1949, ma introduce una
 disarmonia complessiva del sistema che su di esse si e' sviluppato".
    A tale pronuncia  amministrativa  seguiva  da  parte  del  Governo
 l'emanazione  del d.-l. n. 298/1992 che all'art. 2, secondo comma, in
 versione "interpretativa" in sostanza innovata ex post  il  contenuto
 dei decreti ministeriali annullati dal TAR Lazio; ma tale decreto non
 veniva convertito in legge.
    Seguivano  nell'ordine  dapprima  il d.-l. 24 luglio 1992, n. 348,
 anch'esso decaduto per mancata conversione in termini, indi il  d.-l.
 24  settembre  1992,  n.  388, e il d.-l. 24 novembre 1992, n. 455 (a
 loro volta decaduti), che sempre  -  rispettivamente  all'art.  3  il
 primo e all'art. 2 i successivi - reintroducevano legislativamente le
 tariffe gia' dichiarate illegittime dal giudice amministrativo.
    L'ultima reiterazione, costituita dall'art. 2 del d.-l. 23 gennaio
 1993, n. 16, veniva convertito con modificazioni dal Parlamento nella
 legge 24 marzo 1993, n. 75.
    Tale  norma dispone che le nuove tariffe e rendite che deriveranno
 all'esito di apposito procedimento entreranno in vigore il 1  gennaio
 1995  (termine  recentemente prorogato, come gia' detto, al 1 gennaio
 1998) ma, nel caso in cui risultassero inferiori  a  quelle  attuali,
 potranno  essere  utilizzate  con  riferimento al 1 gennaio 1992 agli
 effetti dell'ISI, IRPEF, ILOR, IRPEG, INVIM e ICI.
    Le somme che fossero state versate in  eccedenza  potranno  essere
 recuperate (nel 1998 ..) sotto forma di credito d'imposta, alla prima
 dichiarazione  dei  redditi  successiva  all'approvazione delle nuove
 tariffe.
    Orbene, questa commissione reputa non manifestamente infondate  le
 eccezioni      sollevate      dal      contribuente     in     ordine
 all'incostituzionalita' dell'ISI, ritenendo  anzi  d'ufficio  che  il
 contenuto  della  normativa  in questione (art. 7 del d.-l. 11 luglio
 1992, n. 333), nella  parte  in  cui  stabilisce  che  l'importo  del
 tributo   sia   calcolato   sulla  base  del  valore  degli  immobili
 determinato secondo le nuove tariffe d'estimo di  cui  al  d.m.    27
 settembre 1993, presti il fianco a gravi dubbi di incostituzionalita'
 sotto diversi profili, come di seguito evidenziati.
    I. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Le  norme  sull'I.S.I.  violano  il principio dell'uguaglianza dei
 cittadini, colpendo solo i possessori di  beni  immobili  (facilmente
 tassabili)  a  differenza  delle  altre  categorie  di  cittadini che
 possiedono patrimoni di altra natura (es.  mobiliari),  che  ne  sono
 andati esenti.
    II. - Violazione sotto un altro profilo, dell'art. 3 nonche' degli
 articoli 53 e 42 della Costituzione.
    Essendo  stato  imposto  al contribuente di pagare l'imposta - sia
 pur una tantum -  nella  misura  stabilita  con  atti  amministrativi
 illegittimi, sorge il fondato dubbio che cio' non sia conforme ne' al
 principio   della   capacita'   contributiva   ne'   a  quello  della
 progressivita',  essendo  stabilita  la  tassazione   delle   rendite
 immobiliari   su  un'ipotesi  astratta  di  fruttuosita'  del  valore
 capitale  dell'immobile  determinato  in  base  a  criteri  di   tipo
 "patrimoniale", che la stessa norma mostra di voler abbandonare per i
 periodi  di  imposta  successivi  al  1994, palesando cosi', anche la
 propria intrinseca irrazionalita'.
    E'  vero  che  il  giudice  costituzionale  ha  affermato,   nella
 precitata sentenza, che il criterio della progressivita' si riferisce
 al  sistema  tributario  nel  suo  complesso e non ai singoli tributi
 nonche' - nel merito - che il sistema catastale aveva  gia'  superato
 il  vaglio  di costituzionalita' e che nel caso in esame il "criterio
 del  valore"  era  fondato  su  un  "implicito  presupposto,   tratto
 dall'esperienza":  quello della connessione tra il bene e l'idoneita'
 dello stesso a produrre reddito. Ma al riguardo siano consentite  due
 osservazioni:
       a)  quanto  ai precedenti, la stessa Corte non aveva assolto in
 assoluto il  sistema  catastale,  ma  anzi  aveva  piu'  volte  fatto
 richiamo alla necessita' di una riforma (v. dec. n. 597/1987);
       b)  la  tesi  prospettata  secondo  cui  il criterio del valore
 presupporrebbe una astratta  redditivita'  risulta  contraddetta  dai
 precedenti  orientamenti  dello  stesso  giudice  costituzionale che,
 nella sua giurisprudenza in materia tributaria, ci ha  insegnato  che
 il  principio  di cui all'art. 53 si basa sulla effettivita', per cui
 sono illegittime le imposte fondate su criteri che  non  assolvono  a
 tale principio, ma presuppongono solo "in astratto" la redditivita'.
    Con  riferimento  poi  all'art. 3 della Costituzione, e' la stessa
 Corte ad insegnarci che il riferimento  alla  capacita'  contributiva
 "alla   sfera   dell'obbligato  deve  risultare  da  un  collegamento
 effettivo,  e  che  ad  un  indice  effettivo  deve  farsi  capo  per
 determinare  la  quantita'  dell'imposta  che da ciascun obbligato si
 puo' esigere" (sent. n. 50/1965).
    Con  riferimento  all'art.  42  della  Costituzione,  va   inoltre
 rilevato  che  la  mancata  previsione  delle  passivita' che gravano
 sull'immobile, ai fini della  determinazione  della  base  imponibile
 costituisce  certamente violazione del principio dettato dall'art. 53
 della Costituzione, con effetto al limite  "ablatorio"  dell'imposta,
 effetto  ancor  piu'  probabile  tenendo  conto della indetraibilita'
 dell'ISI da parte del contribuente ai fini IRPEF o IRPEG.
    E' ben vero che - come osservato dall'Avvocatura dello  Stato  nel
 giudizio  avanti  la Corte costituzionale e riportato nella precitata
 sentenza - l'art. 53 della Costituzione non  vieta  l'istituzione  di
 imposte  di  tipo  patrimoniale,  e  che  rientra  nelle  scelte  del
 legislatore l'esclusione delle somme corrisposte a titolo di  imposta
 (nella  specie si trattava di ICI) dalla deduzione dell'imponibile ai
 fini delle imposte dirette. Ma e' altrettanto  vero  che  le  imposte
 patrimoniali  sono  conformi al dettato istituzionale solo se possono
 essere pagate con il reddito in  quanto,  diversamente,  imporrebbero
 l'alienazione  del bene assumendo carattere espropriativo, intaccando
 le  fonti  produttive  a  disposizione  del  privato  in   violazione
 dell'art. 53, inteso alla luce dell'art. 42 della Costituzione.
    Carattere  ablatorio  ancor piu' accentuato dal combinato disposto
 di divieto di detrazione dall'imponibile ai fini IRPEF e IRPEG.
    In presenza di tale rischio  effettivo,  peraltro,  dalla  lettura
 della  parte  motiva  della precitata sentenza n. 263/1994, sembra di
 intendere  che  la  stessa  Corte  costituzionale  ritenga  possibile
 sussistere    l'illegittimita'    costituzionale   dei   criteri   di
 determinazione delle tariffe d'estimo dettati con i dd.mm. 20 gennaio
 1990  e  27  settembre  1991:  "E'  pur  vero  che   i   criteri   di
 determinazione  delle tariffe d'estimo e delle rendite catastali, ove
 non ispirati a principi di  ragionevolezza,  potrebbero,  benche'  le
 tariffe non siano di per se' atti di imposizione tributaria, porre le
 premesse  per  l'incostituzionalita'  delle singole imposte che su di
 essi si fondino.
    Peraltro, nel momento in cui per determinare tariffe di  estimo  e
 rendite catastali, si abbandona il tradizionale ancoraggio al reddito
 ritraibile  e  si  privilegia il valore di mercato del bene, si opera
 una scelta procedimentale alla quale non e' logicamente  estraneo  il
 rischio  di  determinazione di rendite catastali tali da superare per
 la loro misura il reddito effettivo, sicche'  le  imposte  ordinarie,
 che  a  tali  rendite  si rifacessero, porterebero ad una sostanziale
 progressiva erosione del bene".
    Con  questa  parte  della  decisione,  dunque,  la  stessa   Corte
 sostanzialmente  riconosce fondato il sospetto di incostituzionalita'
 delle tariffe d'estimo basate sul valore dell'immobile:  assolvendole
 poi  in base a due motivi di ordine diverso, e non di merito (mancata
 prospettazione concreta nelle ordinanze di rimessione dei profili  di
 incostituzionalita'; "transitorieta'" della disciplina: carattere che
 allo   stato,  alla  luce  della  sopravvenuta  proroga  legale,  sta
 rivelandosi  non  piu'  rispondente  -  di  fatto  -  alla   realta',
 risolvendosi in una procastinazione potenzialmente sine die).
    III.  -  Violazione  degli  stessi artt. 3 e 53 della Costituzione
 nonche' dell'art. 24 della  Costituzione  in  quanto,  differendo  al
 periodo   successivo  all'entrata  in  vigore  dei  nuovi  estimi  la
 possibilita' per i contribuenti di  recuperare  quanto  eventualmente
 pagato  in  eccedenza per l'ISI ed il relativo contenzioso, sottopone
 medio tempore il contribuente ad  una  tassazione  avulsa  dalla  sua
 capacita'  contributiva  e nel contempo ripristinatoria del principio
 solve et repete, per l'effetto dell'applicazione in  via  provvisoria
 (provvisorieta'  peraltro,  abbiamo  rilevato,  del  tutto  relativa:
 inizialmente sino al 1994, termine ora prorogato sino  al  1  gennaio
 1998)  delle tariffe annullate essendo previsto appunto il varo dal 1
 gennaio 1995 (attualmente dilazionato al 1 gennaio  1998)  dei  nuovi
 estimi  che sostituiranno quelli illegittimi, con la possibilita' per
 il  contribuente  -  anche  ai  fini  ISI  -  di  recuperare   quanto
 eventualmente   versato  indebitamente  in  eccesso,  senza  peraltro
 prevedere il diritto alla percezione degli interessi  maturati  medio
 tempore, dal di' del pagamento.
    Tutte  le  questioni prospettate sono senz'altro rilevanti ai fini
 della decisione della presente controversia.