Ricorso per il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato nei confronti della regione Toscana, in persona del presidente della giunta regionale in carica, avverso la delibera legislativa riapprovata dal consiglio regionale il 7 marzo 1995, e concernente "attribuzione ai comuni e alle province di beni immobiliari regionali". Con telegramma 27 febbraio 1995 il Governo ha rinviato la delibera legislativa 31 gennaio 1995, poi riapprovata con qualche modificazione. 1. - L'art. 1, primo comma, della delibera legislativa in esame prevede che "possono essere attribuiti in proprieta' a titolo gratuito" ad un comune o ad una provincia beni patrimoniali disponibili della regione "che siano utilizzati" (non e' precisato se in tutto o anche solo in parte, e in quale momento) dall'ente locale "per l'erogazione di servizi" (non e' precisato quali servizi ed a chi erogati) ovvero "per lo svolgimento di funzioni istituzionali" (non e' precisato se siano comprese anche quelle esercitate per delega ex art. 118, terzo comma, della Costituzione). L'art. 5, dopo le modifiche apportate in sede di riapprovazione, prevede: a) nel primo comma, che il comune o provincia si obbliga "a mantenere la destinazione dei beni"; b) nel secondo comma, che il comune o provincia si obbliga "a non alienare .. ne' a (rectius, ed a non) costituire su di essi diritti reali o personali" (quindi anche a non dare in locazione o affitto) senza il consenso della regione da esprimersi in forma di "autorizzazione" data dal consiglio regionale; c) nel terzo e quarto comma, che "il mutamento della destinazione" (non si parla piu' degli atti di cui al secondo comma) "determina il riacquisto della proprieta' .. da parte della regione"; e cio' non ipso iure, ma - parrebbe - per effetto di un decreto (non meramente dichiarativo) del presidente della giunta regionale che costituisce "titolo per la trascrizione nei registri immobiliari e per la volturazione catastale del bene a favore della regione". L'art. 5 che precede contrasta con l'art. 117 - in particolare con il c.d. "limite del diritto privato" -, con l'art. 119, primo e quarto comma, della Costituzione - comma quest'ultimo ove e' ravvisabile una riserva relativa di legge statale -, e con l'art. 42, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione (e potrebbe aggiungersi l'art. 121, quarto comma, della Costituzione). Ed invero gli "obblighi" di cui ai primi due commi dell'art. 5 pongono, al "diritto di godere e di disporre" (art. 832 del cod. civ.), vincoli che impediscono l'esercizio di facolta' dominicali "tipiche" e quindi danno luogo ad una figura di proprieta' diversa da quella "tipica" data dal codice civile (cfr. anche art. 826, primo comma, del cod. civ.). Ne' appare sostenibile che gli "obblighi" in questione sarebbero non "reali" e percio' esterni al diritto di proprieta': i divieti di alienazione (specie se illimitati nel tempo) di beni (specie se immobili) e di diritti reali su essi costituiti sono considerati con disfavore dal codice e dalle leggi civili (arg. artt. 692 e segg. del cod. civ.) e comunque sono eccezionali e tassativi (cfr. art. 1024 del cod. civ.) proprio in considerazione della forte incidenza di essi sul contenuto essenziale ed intrinseco della proprieta'; parimenti deve dirsi per i divieti, specie se assoluti (come nel primo comma), di mutamento delle destinazioni d'uso (ovviamente qui non si parla di diritto urbanistico). Ancor piu' vistosa la contrarieta' ai menzionati parametri costituzionali del terzo e quarto comma, dell'art. 5, ove si introduce, oltretutto in violazione di una riserva di legge statale, un atipico "modo di acquisto" che sostanzialmente concreta una ipotesi di espropriazione senza indennizzo, e si configura un atto (non e' chiaro se di diritto amministrativo o di diritto privato) produttivo di effetti civilistici traslativi e suscettibile di essere trascritto nei registri immobiliari. A questo proposito, si osserva che il carattere "aperto" dell'art. 2645 del cod. civ. non autorizza ingerenze dei legislatori regionali nella disciplina delle trascrizioni immobiliari. 2. - L'art. 1, secondo comma, della delibera legislativa in esame prevede che "gli altri beni" (ossia i beni non considerati nel primo comma) del patrimonio disponibile regionale "possono essere attribuiti in proprieta' a titolo oneroso" a comuni e provincie (sin qui nulla di anomalo); il comma pero' aggiunge "con le condizioni e le procedure previste dalla presente legge". Se ben si e' compreso, si introdurebbe un divieto di vendere altrimenti, e quindi anche secondo il diritto comune (ed a prezzo liberamente pattuito) il che e' di per se' parecchio anomalo, e' diventa irrazionale quando raccordato con l'art. 3, primo comma ("entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge"). Il successivo art. 6 prevede anche per questi beni attribuiti "nella forma di compravendita" (cosi' si esprime l'art. 8, terzo comma) un divieto di alienazione e di costituire su di essi diritti di superficie (non anche altri diritti reali o personali). Tale divieto e' qui limitato nel tempo a venti anni. Inoltre, l'art. 8, al secondo e terzo comma, prevede che l'attribuzione dei beni "e' sottoposta" (parrebbe diverso da "puo' essere sottoposta") a non precisate "condizioni" e "riserve", che non pare debbano risultare anche dal rogito (l'art. 8, terzo comma, menziona solo il divieto di alienazione). Anche gli artt. 3, primo comma, 6 ed 8, terzo comma, contrastano con gli artt. 117 e 119, primo e quarto comma della Costituzione, per le ragioni sopra indicate con riferimento all'art. 5 della stessa delibera. Anche se, ovviamente, un divieto non eterno di alienazione e' meno deformante la figura "tipica" della proprieta'.