ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 201 del codice
 di procedura civile, promosso con ordinanza emessa
 l'11 gennaio 1994 dal giudice istruttore del Tribunale di  Lecce  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Rucco  Fabio  e Carico Sergio ed
 altra, iscritta al n. 445 del registro ordinanze  1994  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  30,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  22 marzo 1995 il Giudice
 relatore Cesare Ruperto;
    Ritenuto che nel corso di un giudizio civile, dopo  aver  reputato
 inammissibile  una  testimonianza contenente valutazioni da parte del
 teste, ed aver osservato che questi, ove ne fosse stata possibile  la
 nomina  come  consulente  di parte, avrebbe viceversa potuto "deporre
 senza  rinunciare  al  suo  incarico",  il  giudice  istruttore   del
 Tribunale  di  Lecce,  con  ordinanza  emessa  l'11  gennaio 1994, ha
 sollevato, in riferimento agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione,
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 201 del codice di
 procedura civile,  nella  parte  in  cui,  allorche'  non  sia  stata
 disposta  consulenza  tecnica  d'ufficio,  non consente alle parti di
 nominare un loro consulente;
      che, a parere del giudice a quo, la  norma  risulta  lesiva  del
 diritto alla prova garantito dall'art. 24 della Costituzione: diritto
 assicurato invece nel processo penale, in cui le parti possono sempre
 richiedere le prove;
      che,  sempre  secondo  il  giudice  a quo, detta norma "rovescia
 senza alcuna valida ragione la regola posta, oltre che dall'art.  190
 codice  di procedura penale, dall'art. 115 codice di procedura civile
 (le  prove  di  parte  sempre,  quelle  officiose  in  casi  tipici),
 consentendo  alle parti di dedurre le proprie prove (consulenti) solo
 subordinatamente all'assunzione di sempre possibili prove del giudice
 (consulente d'ufficio)", con conseguente violazione anche dell'art. 3
 della Costituzione;
      che e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per
 la declaratoria d'inammissibilita', o  quanto  meno  di  infondatezza
 della questione;
    Considerato  che  il giudice a quo prospetta la questione muovendo
 dall'erroneo   presupposto   interpretativo   che   l'attivita'   del
 consulente di parte abbia natura probatoria;
      che,   viceversa,   le   consulenze   di   parte,  pur  inerendo
 all'istruzione  probatoria,  non  costituiscono  mezzi  di  prova  ma
 semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico, prive di autonomo
 valore probatorio;
      che  coerentemente,  dunque,  la  norma  impugnata  autorizza la
 nomina dei consulenti tecnici di parte solo nel caso  di  nomina  del
 consulente   tecnico   d'ufficio,  le  cui  funzioni  parimenti  sono
 preordinate,  non  ad  accertare  fatti  rilevanti  ai   fini   della
 decisione,  bensi'  ad  acquisire  elementi  di  valutazione ovvero a
 ricostruire circostanze  attraverso  una  specifica  preparazione,  a
 scopo  di  controllo sugli elementi di prova forniti dalle parti e in
 funzione ausiliaria del giudice;
      che peraltro rimane sempre salva la possibilita' di produrre  in
 causa  perizie stragiudiziali, integranti anch'esse semplici mezzi di
 difesa come le deduzioni e argomentazioni dell'avvocato, soggette  al
 libero apprezzamento del giudice;
      che  quindi non e' pertinente il richiamo alle norme degli artt.
 115 codice di procedura civile e 190 codice di procedura penale,  per
 inferirne    ragioni    di    incoerenza    sistematica    e   dunque
 d'irragionevolezza;
      che,   infine,   nel   procedimento   probatorio   la   garanzia
 costituzionale  ex  art.  24  e'  soddisfatta,  in  subiecta materia,
 dall'ammissione della prova contraria sui fatti e  rapporti  posti  a
 base della domanda;
      che, pertanto, la questione e' manifestamente infondata;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.