IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Il g.i.p. dott. Massimo Terzi nel procedimento sopra rubricato a carico di Di Stefano Claudio nato ad Acquafondata (Frosinone) il 12 agosto 1955 attualmente detenuto presso casa circondariale di Verbania, difeso dagli avv.ti Marcello Campisani del foro di Como e dott. proc. Chiara Alladio del foro di Verbania, imputato del delitto p. e p. dall'art. 575 del c.p. perche' cagionava la morte di Puppieni Adriana colpendola ripetutamente al capo con un manico d'ascia, in Omegna il 16 febbraio 1994. Parti civili Zucchi Anna Bice, Puppieni Maria Luisa, Cottini Gianluca, Puppieni Giuliana tutti elettivamente depositati presso lo studio degli avv.ti G. Russo e G. Frattini entrambi del foro di Verbania, difesi dagli avv.ti Giuseppe Russo e Giovanni Frattini, nonche' dall'avv. A. Savoini del foro di Vercelli. Rilevato che all'esito del giudizio abbreviato la difesa dell'imputato ha chiesto la remissione in liberta' del Di Stefano che questo g.i.p. respingeva con la seguente motivazione con dispositivo del 14 dicembre 1994: Sull'istanza di rimessione in liberta' del Di Stefano, sentito il parere del p.m.; Rilevato che il titolo del reato ai sensi dell'art. 275 del c.p.p. non consente l'applicazione di misura diversa rispetto alla custodia cautelare in carcere; ritenuto che la presunzione legislativa di sussistenza delle esigenze cautelari non puo' ritenersi superata con riferimento all'art. 274, lett. c) atteso che proprio in ragione di tale presunzione, la possibilita' che in ragione della peculiare situazione creatasi con le parti civili, le analizzate situazioni psichiche che hanno portato al riconoscimento della diminuente di cui all'art. 89 del c.p., le modalita' del reato stesso, non costituiscono giuridicamente elemento tranquillizzante in ordine alla reiterazioni di reati della stessa specie cosi' come si esplichera' piu' compiutamente in sentenza attesa l'impossibilita' di assumere provvedimento meno afflittivo e che possa essere sufficiente garanzia rispetto all'esigenza cautelare la cui presunzione di sussistenza si ritiene permanere per difetto di una completa prova positiva contraria; ritenuto altresi' che nel caso in esame si evidenzi con particolare rilevanza la illegittimita' costituzionale della norma con riferimento non alla presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, bensi' al divieto di applicazione di diverse misure che possano garantire le esigenze; respinge l'istanza di rimessione in liberta' e dispone con separata ordinanza la remissione alla Corte costituzionale della questione in ordine alla legittimita' della norma impugnata rilevando che nella peculiare fattispecie non puo' disporsi una sospensione integrale della decisione atteso che cio' pregiudicherebbe il diritto dell'imputato di impugnare il provvedimento nella parte in cui questo g.i.p. disconosce l'insussistenza della esigenza cautelare, provvedimento che ove riformato, farebbe automaticamente diventare irrilevante la questione sollevata; O S S E R V A Non appare manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 275 del c.p.p. nella parte in cui esclude al terzo comma la facolta' per il giudice di applicare misura cautelare meno afflittiva; cio' con riferimento all'art. 3, 27 della Costituzione. Infatti appare irragionevole impedire, sia pure per reati cosi' gravi, che il giudice possa valutare il caso di merito; ed invero se puo' ritenersi rientrante nei poteri del legislatore l'imposizione di presunzioni di valutazioni in ragione del titolo del reato - come la presunzione di sussistenza di esigenze cautelari - che impongano di fatto una motivazione di superamento della presunzione da parte del giudicante, non puo' ritenersi ragionevole in un ordinamento che esclude che la misura cautelare possa essere finalizzata ad una anticipata espiazione della pena ( ex art. 27, secondo comma della Costituzione), che la prevenzione delle esigenze cautelari debba necessariamente essere tutelata con il carcere a prescindere da qualsiasi valutazione; ed invero appare molto piu' corretto un meccanismo di inversione che imponga al giudice di valutare e quindi motivare per i titoli di reato previsti una applicazione di misura cautelare meno afflittiva derogando ad una presunzione di adeguatezza - normativamente prevista - di quella della custodia cautelare in carcere.