ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  554, primo
 comma, del codice di  procedura  penale,  promossi  con  le  seguenti
 ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il 21 giugno 1994 dal Pretore di Arezzo -
 Sezione distaccata di Sansepolcro nel procedimento penale a carico di
 Rossi Leandro, iscritta al n.  543  del  registro  ordinanze  1994  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 39, prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
      2) ordinanza emessa il 16 giugno 1994 dal Pretore  di  Arezzo  -
 Sezione  distaccata  di  Cortona  nel procedimento penale a carico di
 Roggi Alberto, iscritta al n.  559  del  registro  ordinanze  1994  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 40, prima
 serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8  marzo 1995 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto che con due ordinanze di analogo contenuto il Pretore  di
 Arezzo,  nell'un  caso  quale giudice presso la Sezione distaccata di
 Sansepolcro e  nell'altro  di  Cortona,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 554, primo comma, del codice di
 procedura  penale,  nella parte in cui consente al pubblico ministero
 di emettere il decreto di citazione a giudizio senza compiere  alcuna
 indagine e senza prima "sentire" l'indagato;
      che  a  tal proposito il giudice a quo rileva come il "fenomeno"
 della totale  carenza  di  indagini  abbia  finito  per  assumere  le
 caratteristiche di una prassi costantemente seguita presso gli uffici
 del  pubblico  ministero,  e  da  cio'  deriverebbero,  a  parere del
 rimettente, "conseguenze gravi e negative", fra le quali il  notevole
 incremento  dei  processi,  con conseguente allungamento dei tempi di
 celebrazione  e  connessi  rischi  di  prescrizione  dei  reati,   la
 diminuita possibilita' per l'imputato di difendersi efficacemente, la
 possibilita'   che   l'esercizio   dell'azione   penale  sia  fondata
 "sull'arbitrio e persegua scopi  anomali"  e  la  necessita'  per  il
 giudice   del  dibattimento  di  "svolgere  indagini  preliminari  di
 competenza  degli  organi  di  polizia  giudiziaria  e  del  pubblico
 ministero";
      che   in   rapporto   a  tale  "grave  smagliatura  nel  sistema
 processuale penale", la disposizione oggetto di impugnativa  verrebbe
 cosi' a porsi in contrasto:
         a)  con  l'art. 24 della Costituzione, in quanto, consentendo
 la norma la prassi censurata, non si assicura alla  persona  indagata
 il diritto "di difendersi entro un lasso di tempo ragionevole" e tale
 diritto  verrebbe  ad essere "addirittura eliminato alla radice nello
 stato e nella fase delle indagini";
         b) con l'art. 3 della Costituzione, sia perche' - nei casi in
 cui il rinvio a giudizio si  fonda  su  denuncia  privata  -  si  da'
 credito  solo  ad  una delle parti che hanno interesse nella vicenda,
 sia perche' e' maggiormente  garantita  la  posizione  di  chi  viene
 rinviato a giudizio davanti al tribunale;
         c)  con  l'art.  112  della Costituzione, perche' l'esercizio
 della azione penale viene ad essere di fatto "delegato al privato";
      e che nei giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
    Considerato  che  le  ordinanze sottopongono all'esame della Corte
 l'identica questione  e  che,  pertanto,  i  relativi  giudizi  vanno
 riuniti per essere decisi con unico provvedimento;
      che  il  giudice  a  quo,  dopo  aver  denunciato  come  "prassi
 costante" l'emissione del decreto di citazione a  giudizio  da  parte
 del  pubblico  ministero  senza aver compiuto alcuna indagine e senza
 aver interrogato l'imputato, deduce  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  554,  primo comma, del codice di procedura penale, proprio
 nella parte in cui "autorizza" il pubblico ministero  a  serbare  una
 simile  condotta  che,  a parere del rimettente, e' idonea a generare
 effetti lesivi dei principi' sanciti dagli artt. 3, 24  e  112  della
 Costituzione;
      che le prospettazioni svolte dal giudice a quo in punto di fatto
 indubbiamente   riflettono  una  problematica  fortemente  avvertita,
 essendo stato in piu' sedi e da piu' parti rilevato  come  l'impronta
 di   accentuata  semplificazione  che  il  legislatore  aveva  inteso
 imprimere al rito pretorile si saldasse intimamente, per un verso, ad
 una rapida celebrazione della fase  dibattimentale  e,  per  l'altro,
 all'adeguata   funzione   di   filtro  che  avrebbe  dovuto  svolgere
 l'auspicato massiccio ricorso ai procedimenti  alternativi,  sicche',
 risultando nella pratica spesso vanificati entrambi gli obiettivi, ha
 finito   per   entrare  in  crisi  la  coerenza  stessa  del  modello
 processuale, con l'ovvia conseguenza di  produrre  risultati  non  di
 rado  insoddisfacenti  sul  piano della tutela sostanziale dei valori
 coinvolti;
      che  peraltro,  e  pur  dovendosi  auspicare  una  rimeditazione
 legislativa  che  porti  globalmente a soluzione i non pochi problemi
 offerti dalla pratica, le censure  del  giudice  a  quo  si  rivelano
 infondate,  non  essendo  da  un lato generalizzabile ad ogni ipotesi
 l'esigenza di compiere specifici  atti  di  indagine  (si  pensi,  ad
 esempio, alla notitia criminis su base documentale), ne', sotto altro
 profilo,   puo'   ritenersi  costituzionalmente  imposta  l'audizione
 dell'indagato, iscrivendosi la stessa in una fase che per definizione
 precede  l'esercizio  dell'azione  penale  e  la  formulazione  della
 imputazione, essenziali per consentire appieno un efficace e concreto
 esercizio del diritto di difesa;
      che   del  pari  nessuna  violazione  subisce  il  principio  di
 uguaglianza sotto entrambi i profili denunciati,  giacche'  non  sono
 fra  loro  comparabili  situazioni  soggettive eterogenee, quali sono
 quelle della parte offesa e dell'indagato, mentre le  diversita'  che
 caratterizzano  il  rito  pretorile  rispetto a quello previsto per i
 reati di competenza  del  tribunale  sono  state  in  piu'  occasioni
 ritenute conformi all'invocato parametro (v., da ultimo, ordinanza n.
 22/1995),  essendo  le  stesse  in  linea  con il criterio di massima
 semplificazione  che  il  legislatore  delegante  ha  enunciato   per
 connotare proprio quel tipo di procedimento;
      che del tutto inconferente appare il richiamo all'art. 112 della
 Costituzione, in quanto ancorche' sulla base di una denuncia da parte
 di  privati,  la  scelta  se esercitare o meno l'azione penale spetta
 comunque e sempre al pubblico ministero;
      e  che,  pertanto,   la   questione   deve   essere   dichiarata
 manifestamente infondata;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.