IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale a
 carico di Belluccio Vito, nato a Chivasso il 12 luglio 1975, imputato
 del reato di rifiuto del servizio militare di  leva  (art.  18  della
 legge  15  dicembre  1972, come sostituito dall'art. 2 della legge 24
 dicembre 1974, n. 695).
    Con sentenza del 14 aprile 1994  il  g.i.p.  presso  il  tribunale
 militare  di  Torino su richiesta delle parti applicava nei confronti
 di Belluccio  Vito,  imputato  del  reato  di  rifiuto  del  servizio
 militare  di  leva, la pena di mesi tre di reclusione, sostituita con
 la pena pecuniaria di L.  6.750.000.  Avverso  la  predetta  sentenza
 proponeva  ricorso il procuratore militare della Repubblica presso il
 tribunale militare di Torino,  che  ne  chiedeva  l'annullamento  per
 violazione  dell'art.  178 lett. b) e c) del c.p.p., deducendo che il
 decreto  di  fissazione  dell'udienza  non  era  stato  notificato  o
 comunicato  alle  parti.  La  suprema  Corte di cassazione, ritenendo
 fondato il ricorso, ha annullato la sentenza impugnata, rinviando gli
 atti per un nuovo giudizio. I  giudici  di  legittimita'  nella  loro
 pronuncia  hanno  affermato  che  nel  giudizio  di rinvio si sarebbe
 altresi'  dovuto  tener  conto  del   fatto   che   per   consolidato
 orientamento  della  stessa  suprema Corte non e' possibile applicare
 sanzioni sostitutive di pene detentive brevi  a  militari  condannati
 per reati militari.
    Ritiene  questo  giudice,  il  quale non puo' non prendere atto di
 detto consolidato orientamento giurisprudenziale, tale da  costituire
 ormai vero "diritto vivente" (ed alla cui osservanza risulta comunque
 tenuto  alla  luce della pronuncia di annullamento con rinvio emanata
 dalla Corte di cassazione),  che  debba  essere  sollevata  d'ufficio
 questione   di   legittimita'   costituzionale,  per  violazione  del
 principio  di  eguaglianza  sancito  dall'art.  3 della Costituzione,
 dall'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n.  689,  come  modificato
 dall'art.  5  del  d.-l.  14  giugno  1993, n. 187, conv. in legge 12
 agosto 1993, n. 296, nella parte in cui non prevede la applicabilita'
 del meccanismo di sostituzione delle pene anche in relazione ai reati
 militari puniti con la reclusione ordinaria.
    Tra tali reati  rientra  ormai,  come  noto,  quello  inerente  al
 rifiuto  del  servizio  militare  di  leva. Infatti, anche al fine di
 evitare le conseguenze legate alla perversa "spirale delle  condanne"
 cui  finiva  per risultare assoggettato chi, essendo stato condannato
 alla reclusione sostituita in reclusione militare,  ex  art.  27  del
 c.p.m.p.,  per  il  reato  di  rifiuto  del  servizio  militare,  era
 sottoposto, per effetto della detenzione in ambiente carcerario, alla
 disciplina militare ed alla possibilita' di incorrere in nuovi  reati
 (collegati  ai  suoi  convincimenti  di contrarieta' al servizio alle
 armi), non ritenuti assorbiti dall'originario  atto  di  rifiuto,  la
 Corte  costituzionale,  con  sent.  26-30  luglio  1993,  n.  358, ha
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 27 del  c.p.m.p.
 nella  parte  in  cui  consentiva che la conversione della pena della
 reclusione  comune  in  quella  della  reclusione  militare   potesse
 avvenire  in  relazione  alla  sanzione penale comminata per il reato
 previsto dall'art. 8, comma secondo, della legge 15 dicembre 1972, n.
 772.
    La Corte costituzionale ha affermato che "irrogare  la  reclusione
 militare - e, quindi, un trattamento volto al recupero del condannato
 al  servizio  militare  -  nei  confronti  di  una  persona  che, per
 imprescindibili motivi  di  coscienza  consistenti  in  convincimenti
 religiosi riconosciuti in generale come meritevoli di tutela da parte
 del  legislatore,  si  dichiara contraria in ogni circostanza all'uso
 personale delle armi e, su tale base, rifiuta totalmente il  servizio
 militare,   significa   sottoporre   la  stessa  persona  alla  forte
 probabilita' di incorrere in altri  reati  connessi  al  rifiuto  del
 servizio  militare  e  di  cadere,  quindi,  in quella 'spirale delle
 condanne'  negatrice  di  ogni  valore   collegato   alla   finalita'
 rieducativa della pena".
    La  questione  di legittimita' costituzionale appare indubbiamente
 rilevante  in  quanto  l'imputato,  che  in  sede  di  richiesta   di
 applicazione   della  pena  aveva  formulato  una  proposta  di  pena
 comprensiva della sostituzione di cui all'articolo 53 della legge  n.
 689/1981, si vedrebbe altrimenti privato della possibilita' di fruire
 di  detto  meccanismo  sostitutivo.  Alla luce dell'attuale normativa
 risultano  del  resto   irrazionalmente   discriminate,   in   palese
 violazione  del  principio  di  eguaglianza, situazioni personali fra
 loro assolutamente omogenee: tale e'  infatti,  rispetto  all'ipotesi
 "ordinaria",  quella  dei  soggetti  che, per il solo fatto di essere
 processati innanzi ai tribunali militari in ordine a reati  militari,
 non  possono fruire, pur essendo condannati alla reclusione ordinaria
 e non a quella militare, del meccanismo di sostituzione  delle  pene.
 In   precedenza  lo  "sbarramento"  all'applicazione  delle  sanzioni
 sostitutive  innanzi  agli  organi  della  giustizia   militare   era
 individuato  nell'art.  54 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che,
 al fine di determinare gli illeciti ai quali potevano  applicarsi  le
 sanzioni  sostitutive, faceva riferimento ai "reati di competenza del
 pretore"; si osservava infatti che non esiste, nel rito militare,  il
 giudizio  pretorile.  Peraltro  detto  art.  54 e' stato ora abrogato
 dall'art. 5 del d.-l. 14 giugno 1993, n. 187, convertito nella  legge
 12 agosto 1993, n. 296.
    Detto  intervento  normativo  non e' valso comunque a far ritenere
 applicabile, almeno a giudizio della suprema Corte di cassazione,  le
 sanzioni  sostitutive nel rito penale militare. Va peraltro osservato
 che tutte le considerazioni addotte, piu'  o  meno  condivisibili  (e
 bisogna   segnalare   come  siano  gia'  state  pronunciate  numerose
 eccezioni  di  legittimita'  costituzionale,  volte  a  sollevare  la
 questione dell'illegittimita' nel suo complesso dell'esclusione delle
 sanzioni  sostitutive  ai militari condannati per reati militari), se
 possono avere un qualche significato in relazione ai  delitti  puniti
 con  la  pena  della  reclusione  militare,  non  ne hanno alcuno con
 riferimento  a  quelli  sanzionati  con   la   pena   ordinaria.   In
 quest'ultimo  caso  non varrebbe infatti affermare che il soggetto e'
 sottoposto  ad  un  particolare  "regime  di   vita   penitenziaria",
 incompatibile   con   le  sanzioni  sostitutive  e  finalizzata  alla
 riassunzione del servizio militare.
    Nell'ipotesi in esame  si  e'  invece  in  presenza  di  individui
 condannati alla reclusione ordinaria, che sarebbero tenuti ad espiare
 in   ambiente   carcerario  "comune".  Addirittura  eclatante  e'  la
 posizione  dei  soggetti,  tra  i  quali  rientra  appunto  l'odierno
 imputato,  condannati  in  ordine  al  reato  di rifiuto del servizio
 militare di leva, i quali,  una  volta  espiata  la  pena,  risultano
 definitivamente   svincolati  da  ogni  obbligo  militare,  ai  sensi
 dell'art. 8 della legge n.  772/1972,  come  sostituito  dall'art.  2
 della legge n. 695/1974.
    Dalle sovraesposte considerazioni consegue dunque la necessita' di
 trasmettere gli atti alla Corte costituzionale.