IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui riuniti ricorsi n. 673 del 1992 proposto da Ercole Aprile, Francesco Mandoi, Stefano Sernia, Daniela Cavuoto e Vittorio Gaeta, rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Pellegrino, con domicilio eletto in Lecce, Via Braccio Martello n. 36, e n. 674 del 1992, proposto a Elsa Valeria Mignone, Pier Giorgio Buccarella, Maurizio Petrelli, Roberto Tanisi, Antonio Maruccia, Antonio Giuseppe De Donno, Mario Cigna, Giovanni Romano, Fausta Palazzo, Michele Ancona, Luigi Forleo, Lorenzo De Napoli, Lucia Rabboni, Guglielmo Cataldi, Nicola D'Amato, Lucia Esposito, Maria Cristina Rosaria Rizzo, Piera Portaluri, Vincenzo Brancato, Claudio Oliva, Raffaella Brocca, Nicola Piacente, Michele Emiliano, Rosa Patrizia Sinisi, Lino Bruno, Vincenzo Scardia, Liguori Laura, Ferruccio De Salvatore, Alfredo Mantovano, Riccardo Mele, Luigi Agostinacchio, Domenico Cucchiara, Leonardo Leone De Castris, Francesco Manzo, Alessandro Silvestrini, Ennio Cillo, Pietro Argentino, Eugenio Viesti, Marcello Diotaiuti, Cesarina Maria Ausilia Trunfio, Nicolangelo Ghizzardi, Gianfranco Coccioli, Ciro Pio Antonio Fiore, Massimo Brandimarte, Manuela Saracino, Maria Clara Cosenza, Ettore Scisci, Pietro Vella, Pina Montanaro, Vincenzo Petrocelli, Francesca Immacolata Anna Zanna, Umberto Massafra, Franco Morea, Mario Antonio Barruffa, Luciano Lamarca, Giovanna Semeraro, Teresa Liuni, Maria Luisa Traversa, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Pellegrino e dal prof. avv. Ernesto Sticchi Damiani ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Lecce, via Braccio Martello n. 36, contro il Ministero di grazia e giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dalla Avvocatura distrettuale dello Stato di Lecce e presso di questa domiciliato ex lege alla piazza S. Oronzo ( ex palazzo di Giustizia), per l'accertamento del diritto dei ricorrenti, ex art. 4, terzo comma, della legge n. 869/1982, all'allineamento stipendiale al dott. Antonio Francesco Esposito, gia' uditore giudiziario in tirocinio presso il Tribunale di Roma e ora uditore giudiziario con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Lecce; Visto i ricorsi con i relativi allegati; Visto gli atti di costituzione in giudizio della Amministrazione resistente; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza la relazione del referendario dott. Giuseppina Adamo, e uditi, altresi', l'avv. Gabriella Spata, in sostituzione dell'avv. Giovanni Pellegrino, e il prof. avv. E. Sticchi Damiani per i ricorrenti e l'avv. Giovanni Gustapane dell'Avvocatura dello Stato per l'Amministrazione resistente; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue; FATTO E DIRITTO I. - I ricorrenti, tutti magistrati ordinari in servizio presso gli uffici giudiziari del distretto della Corte d'appello di Lecce, hanno chiesto l'accertamento giudiziale del loro diritto all'allineamento stipendiale, di cui all'art. 4, terzo comma della legge 20 novembre 1982, n. 869, rispetto al dott. Antonio Francesco Esposito, il quale li segue nell'ordine del ruolo. A quest'ultimo, gia' referendario parlamentare e nominato uditore giudiziario con d.m. 25 febbraio 1989, sono stati riconosciuti con provvedimento 24 aprile 1989 (pubblicato sul Bollettino del Ministero n. 16 del 31 agosto 1990) prima un trattamento economico pari all'ottava classe, 56 scatto biennale dello stipendio di uditore giudiziario e poi nel tempo ulteriori elevazioni della retribuzione. Con ricorsi n. 673 e 674 del 1992 gli istanti hanno rivendicato una pari retribuzione, fondando tale pretesa sul disposto dell'art. 4, terzo comma, della legge n. 869/1982 e dell'art. 1 della legge 8 agosto 1991 n. 265, che ha esplicitamente recepito l'istituto dell'allineamento stipendiale anche per i magistrati. Le cause sono state discusse all'udienza del 10 marzo 1994. Le stesse, data la loro evidente connessione, devono essere congiuntamente trattate. La questione come sovracennata, e' stata oggetto di sentenza sia dei giudici amministrativi (per tutte: TAR Trentino-Alto Adige, Trento, 3 settembre 1992, n. 321; TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 13 marzo l993, n. 372) sia della Corte costituzionale, che con decisione n. 6 del 14-26 gennaio 1994 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 febbraio 1994) ha dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate nei confronti dell'art. 7, settimo comma, del d.-l. 19 settembre 1992, n. 384, ("misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali"), convertito dalla legge 14 novembre 1992 n. 438 e dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio 1992 n. 333, ("misure urgenti per il risanamento delle finanze pubbliche"), convertito dalla legge 8 agosto 1992 n. 359 in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 73, 97, 101, 108 e 113 della Costituzione. Le norme contestate sopprimono il detto meccanismo perequativo, precisando altresi' che dall'11 luglio 1992 "non possono essere piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori .."). II. - Di tale pronuncia il Collegio condivide alcune premesse mentre reputa, nonostante le perspicue argomentazioni contenute in sentenza, persistenti i dubbi sulla legittimita' delle richiamate norme. In particolare, come affermato dalla sentenza della Corte, ritiene preliminarmente: a) che il disposto dell'art. 1 della legge n. 265/1991 non osta al riconoscimento del diritto ad allineare i trattamenti dei magistrati a quello dei referendari del Senato perche' la carriera svolta presso l'organo costituzionale e' equiparabile a quella di dirigente statale e, pertanto, in base alla stessa disposizione, la relativa retribuzione viene conservata dall'interessato, ai sensi dell'art. 202 del d.P.R. 10 gennnaio 1957 n. 3 e dell'art. 12 del d.P.R. 28 dicembre 1970 n. 1079, e puo' fungere da parametro di equiparazione stipendiale per i colleghi; b) che l'art. 1 del d.-l. n. 333/1992 e' applicabile anche al trattamento economico dei magistrati, anche se lo stesso non abroga espressamente l'art. 1 della legge n. 265/1991, limitandosi a sopprimere la norma fondamentale, di cui all'art. 4 del d.-l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito con legge 20 novembre 1982, n. 869 (diversamente: TAR Trentino, sent. n. 321/92 e TAR Emilia, Bologna, Sez. I, n. 372/93). Di conseguenza l'entrata in vigore del d.-l. n. 333/1992 e del d.-l. n. 384/1992 e' ostativa all'accoglimento della pretesa degli istanti; da cio' discende la rilevanza delle questioni di costituzionalita' riguardante i decreti summenzionati, sollevate dai ricorrenti gia' nell'atto introduttivo del giudizio e sviluppate nella successiva memoria. III. - Osservano gli stessi, in specie, che il combinato disposto dell'art 2, quarto comma, del d.-l. n. 333/1992 e dell'art. 7, settimo comma del d.-l. n. 384/1992 si pone in contrasto con gli artt. 3, 36, 97, 102 e 107 della Costituzione. Esso importa una disparita' retributiva fondata non sul criterio della qualifica funzionale ricoperta, bensi' sui servizi prestati anteriormente. Tale disparita' viene aggravata dall'art. 7 del d.-l. n. 333/1992, che conferisce portata retroattiva all'abolizione del meccanismo dell'allineamento, venendo cosi' a coinvolgere anche la situazione di chi aveva gia' ottenuto la parificazione economica e di chi ne era ancora in attesa al momento dell'entrata in vigore delle norme censurate. Tale sperequazione viola specificamente gli artt. 102 e 107 della Costituzione, potendo riflettersi sullo stesso adempimento dei doveri d'ufficio (come si accenna in Corte cost., sent. 4-18 marzo 1992 n. 105); il legislatore costituzionale aveva preteso proprio rendere im- mune i magistrati da distinzioni a carattere individuale che non fossero strettamente connesse alle funzioni esercitate. IV. - Da tali doglianze il Collegio ritiene debbano enuclearsi due diverse questioni di legittimita' costituzionale: una relativa all'art. 7, settimo comma del d.-l. n. 384/1992 per contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione e coinvolgente la retroattivita' della soppressione dell'allineamento stipendiale, disposta dall'art. 2, quarto comma, del d.-l. n. 333/1992; l'altra concernente l'art. 2 (e, in via derivata, quindi, anche l'art. 7 del d.-l. n. 384/1992) per avere introdotto una disparita' stipendiale fra magistrati in violazione degli artt. 3, 36 e 107 della Costituzione. V. - E' noto a questo Tribunale che la Corte ha disatteso la prima censura con la gia' citata sentenza n. 6/94 in base alle ragioni che, in estrema sintesi, si riportano: a) l'art. 7 del d.-l. n. 384/1992 e' solo nominalmente una norma interpretativa; dalla sua effettiva natura innovativa e retroattiva non discende la sua illegittimita' perche' ha un'adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta altri principi e valori costituzionali specificamente protetti; b) in particolare, i diritti economici del pubblico impiegato non sono forniti di "una particolare protezione contro l'eventualita' di norme retroattive"; c) l'art. 2, quarto comma, non e' inficiato da alcuna irragionevolezza perche' ha eliminato un istituto che, nella sua pratica applicazione, aveva ingenerato nuove sperequazioni; d) la scelta operata con l'art. 7 del d.-l. n. 384 e' anch'essa immune da irragionevolezza perche' dettata "dall'esigenza di impedire, con il massimo di efficacia generale, l'ulteriore applicazione" dell'istituto. VI. - I dubbi sulle costituzionalita' dell'art. 7 del d.-l. n. 384/1992 si fondano, pero', anche su un diverso ordine di considerazioni. In primo luogo, giova premettere che l'applicazione dell'allineamento si risolveva in un automatica elevazione delle retribuzioni dei dipendenti in posizione poziore in ruolo in modo che le stesse eguagliassero gli emolumenti fissi di colui che nel medesimo ruolo era stato inquadrato con stipendio maggiore ma in una collocazione inferiore. In secondo luogo, nella vigenza della legge n 869/82 e della legge n. 265/1991, l'allineamento aveva natura di diritto soggettivo; nella emanazione dei relativi provvedimenti l'Amministrazione non esercitava alcun potere discrezionale; gli atti stessi non potevano che qualificarsi come "paritetici", con funzione accertativa e liquidativa. Ora, poiche' il dott. Esposito e' stato nominato uditore il 25 febbraio 1989 e con atto del 24 aprile 1989 gli e' stato riconosciuto il diritto a percepire la stessa retribuzione goduta come referendario parlamentare, ai sensi dell'art. 202 del d.P.R. n. 3/1957 e dell'art. 1 del d.P.R. n. 1079/70, e' a quell'epoca che deve farsi risalire il diritto dei ricorrenti all'allineamento stipendiale. Di conseguenza, l'aver disposto, come fa l'art 7 del del d.-l. n. 384/1992, che l'art. 2 del d.-l. n. 333/1992 "va interpretato nel senso che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge non possono essere piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992" si pone, a giudizio del Collegio, in contrasto con principi e valori costituzionali. L'aver omesso da parte degli organi amministrativi l'adozione dei provvedimenti di allineamento (entro l'11 luglio 1992), atti (come gia' detto) non aventi funzione costitutiva ma meramente accertativa, sembra violare i principi di legalita' e d'imparzialita', di cui all'art. 97 della Costituzione. In altri termini, la negazione del diritto sarebbe legata ad un fatto (mancata adozione dell'atto entro la data indicata) non solo casuale - per cui la norma violerebbe gli artt. 3 e 36 della Carta - ma addirittura illecito, ingenera responsabilita', in base all'art. 28 della Costituzione, essendo dovere dei funzionari addetti al personale di adottare gli atti conseguenti ad un diritto economico del magistrato, sancito da norme legislative di immediata applicazione. L'arbitrarieta' di tale scelta non puo' essere giustificata da una pretesa "irrazionalita' della conseguente situazione", verificatasi per l'applicazione del meccanismo dell'allineamento (come afferma la Corte al punto 9 della sent. n 6/94), visto che la stessa puo' ritenersi non tanto irragionevole (soprattutto se il termine s'intende nel suo significato di contrario alla ratio) quanto non esattamente prevista nella sua effettiva portata finanziaria, non avendo il legislatore tenuto in conto che la mobilita' fra carriere riscontrabile in alcuni settori dell'apparato statale si verifica anche quando essa comporta un passaggio a parametri retributivi (oggettivamente) inferiori. VII. - Il combinato disposto dell'art. 2 del d.-l. n. 333/1992 e dell'art. 7 del d.-l. n. 384/1992, nella parte in cui impedisce che al riconoscimento individuale del trattamento economico ad un magistrato, provenienti da altra carriera ed inquadrato nel ruolo, seguano misure di perequazione stipendiale a favore di coloro che lo precedono per anzianita', deve essere riguardato anche sotto un diverso punto di vista. Tale disparita' di retribuzione se non lede in se' l'art. 36 della Costituzione in quanto il legislatore ha "la facolta' di prevedere un migliore trattamento economico per lavoratori che pur esplicando la medesima attivita' di altri, si trovino, ad esempio, in condizioni soggettive idonee ad una piu' favorevole valutazione dell'anzianita", (Corte cost. 30 novembre-13 dicembre 1988 n. 1089) non appare, pero', conforme ai principi deducibili dagli artt. 3, 36 e 107 congiuntamente considerati. L'art. 107, terzo comma, infatti, impone che i magistrati possano essere distinti soltanto per diversita' di funzioni. Puo' argomentarsi, percio', che disparita' di trattamento economico legate alle condizioni soggettive di un magistrato non possano essere ammesse nell'ordinamento giudiziario quando (e perche') non collegabili alle funzioni svolte. Tale argomento e' confortato dalla stessa giurisprudenza della Corte. Essa ha chiarito che il Costituente con l'art. 107 non intendeva solo impedire il perpetuarsi di schemi gerarchici nella organizzazione interna (in tal caso la norma costituirebbe una mera ripetizione dell'art. 101) ma evitare "qualsiasi tipo di arbitraria categorizzazione dei magistrati stessi, non sorretta da alcuna ragione di ordine funzionale"; in particolare, ha ritenuto l'art. 107 parametro dell'intero status, comprensivo del trattamento economico. Premessa l'osservazione che pure in sede costituente si era posto il problema del1a retribuzione ai giudici, la stessa Corte ha escluso la illegittimita' dell'art. 7 della legge 20 dicembre 1973 n. 831 - nella parte in cui viene attribuito il trattamento economico di magistrato di cassazione a coloro che pur essendo nominati tali, non svolgono le relative funzioni - esclusivamente sul rilievo "che i benefici economici previsti dalla legge n. 831 .. presuppongono un apprezzamento del merito (o del non demerito)"; tale idoneita' a ricoprire posti di magistrato di cassazione rappresenterebbe, percio', un sufficiente nesso fra funzione e trattamento economico- giuridico (sent. 10 maggio 1982, n. 86). Nel caso in esame, invece, e' palese che la differente retribuzione del dott. Esposito, ingenera disparita' del tutto sconnesse dall'attivita' lavorativa e quindi censurabili alla luce delle stesse argomentazioni assunte dalla Corte. In ragione di quanto sopra, non potendo i giudizi essere definiti indipendentemente dalla risoluzione delle questioni prospettate, ad avviso del Tribunale rilevanti e non manifestamente infondante, e' necessario disporre l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale dei suddetti giudizi a tal fine riuniti, dichiarando, nelle more, la loro sospensione.