IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza. OSSERVATO IN FATTO Con ricorso al presidente del tribunale di Vibo Valentia in data 11 dicembre 1992, la s.a.s. Costruzioni Edili e Stradali in persona del suo legale rappresentante pro-tempore Vincenzo Restuccia, con sede in Rombiolo, esponeva: che l'amministrazione provinciale di Catanzaro, con la procedura di "somma urgenza" disciplinata dall'art. 70 del reg.to 25 maggio 1895, n. 350, le aveva affidato l'esecuzione della risistemazione della "s.p.-s.s. 110 Maierato Inn. s.p. ViboS. Onofrio, tratto Maierato Inn. s.p. Vibo Valentia-S. Onofrio- Filogaso", che i lavori erano stati realizzati a regola d'arte; che essa societa' aveva emesso per tale causale la fattura n. 31 del 31 marzo 1992 per l'importo complessivo di L. 19.330.360, registrata nell'ufficio del registro di Vibo Valentia al n. 241, serie III, in data 6 aprile 1992, trasmessa alla p.a. committente e non contestata; che l'ufficio tecnico della provincia, espletati gli accertamenti di competenza, aveva trasmesso, in data 19 maggio 1992, gli atti di liquidazione al presidente dell'ente medesimo per il pagamento; che, pero', nonostante reiterate richieste, l'ente debitore non aveva fatto fronte al suo obbligo. Su tali premesse produceva estratto dei suoi libri contabili regolarmente tenuti e chiedeva emissione di decreto ingiuntivo. L'adito presidente accoglieva la domanda e provvedeva col decreto n. 428 del 28 dicembre 1992, notificato il 25 gennaio 1993. Con atto di citazione, notificato il 4 febbraio 1993, l'amministrazione provinciale di Catanzaro formulava rituale opposizione all'ingiunzione e conveniva il Restuccia nella qualita' dinnanzi al tribunale di Vibo Valentia eccependo in primis l'incompetenza territoriale del detto tribunale, essendo competente quello di Catanzaro; nel merito, tra l'altro, il proprio difetto di legittimazione passiva. Precisava, a sostegno della seconda eccezione, in punto di fatto, che all'autorizzazione dell'ingegnere capo di esso ente, che aveva disposto l'esecuzione dei lavori a norma dell'art. 70, reg.to 25 maggio 1895, n. 350, non aveva fatto se'guito l'approvazione da parte dei propri organi competenti, con la conseguenza che, in punto di diritto, a mente dell'art. 23 della legge n. 144 del 24 aprile 1989, pur essendovi stata "acquisizione dei servizi" resi dal Restuccia ad essa p.a., l'obbligo di far fronte alla spesa corrispondente incombeva personalmente ope legis agli amministratori e/o ai funzionari che avevano "consentito" la fornitura. Successivamente il Restuccia introduceva, in via gradata, azione di arricchimento senza causa nei confronti della p.a., formalmente parte attrice ma sostanzialmente convenuta e deduceva, percio', che gli spettava quanto meno la somma ragguagliata ai costi delle opere eseguite, che l'ente provincia aveva acquisito ed utilizzato in quanto occorrenti al ripristino delle transitabilita' delle strade provinciali interessate dai lavori. Nulla opponeva l'amministrazione provinciale di Catanzaro, accettando il contraddittorio sul punto. Indi, brevemente trattata, la causa, sulle antescritte conclusioni dei procuratori delle parti, era rimessa all'udienza collegiale del 12 ottobre 1994, ov'era discussa ed assegnata a sentenza. RILEVATO IN DIRITTO L'eccezione di incompetenza territoriale del tribunale di Vibo Valentia va respinta. Si deve, infatti, osservare che, secondo consolidata giurisprudenza ed autorevole condorde dottrina, dalle quali non vi e' ragione di discostarsi, la parte, la quale intenda contestare la competenza territoriale del giudice ex adverso adito, ha l'onere, a pena di inammissibilita', di specificamente prospettare i profili della dedotta incompetenza, in ordine ai quali non e' dato indagarsi d'ufficio (ex plurimis Cass. civ. n. 9434/1987, n. 2208/1988, n. 2307/1989, sez. un. n. 4912/1993). Nel caso in questione l'amministrazione provinciale di Catanzaro, nel suo primo atto difensivo (l'opposizione), ha dedotto in termini di estrema genericita' la sua eccezione, che va, secondo quanto accennato, disattesa. Piu' attento ed approfondito discorso va fatto quanto alla seconda eccezione (il difetto di legittimatio ad causam passiva) che involge una delicata questine di merito, risolubile in punto di diritto. Occorre precisarsi che, anteriormente all'entrata in vigore del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, in legge dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, il sistema appariva improntato ai caratteri della coerenza e della sistematicita'. Per vero, a norma dell'art. 70 reg.to n. 350/1895, "per la direzione, la contabilita' e la collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei ll.pp.", applicabile ex artt. 24 e 40 del r.d. 8 febbraio 1923, n. 422 ai lavori "che si eseguiscono dalla provincia, dai comuni e dai consorzi amministrativi", in presenza di "circostanze di somma urgenza, nelle quali qualunque indugio diventi pericoloso e sia quindi richiesta l'immediata esecuzione dei lavori" occorrenti per ovviare al pericolo in relazione a strutture immobiliari (ponti, strade ecc.) di pertinenza della provincia, l'ingegnere capo dell'ente e' tenuto ad autorizzarne l'effettuazione, cui deve, in ogni caso, seguire l'approvazione, da parte dei competenti organi dell'ente stesso (di regola la giunta), sia del "processo verbale d'urgenza" che della "perizia giustificativa". Dichiarava, poi, l'art. 72 del detto regolamento, con la rubrica "diniego di approvazione dei lavori intrapresi", arieggiando la fattispecie dell'"arricchimento senza causa" di cui all'art. 2041 del c.c., che, "qualora un'opera intrapresa d'urgenza non avesse riportato la superiore approvazione, si sarebbero liquidate le spese incontrate per la parte eseguita". In buona sostanza il sistema normativo non veniva ad incidere in alcun modo sul rapporto di immedesimazione organica tra il funzionario e l'ente, avendo agito tra l'altro il primo - per ipotesi data - in nome e per conto del secondo nell'adempimento di un dovere d'ufficio (e quindi in assenza di qualunque causa idonea a disarticolare il rapporto stesso), fosse o non fosse poi seguita l'approvazione, tenendo indenne coerentemente l'ingegnere capo da ogni responsabilita' "per la parte eseguita" dell'opera "intrapresa d'urgenza". Ebbene, il terzo comma dell'art. 23, che reca la rubrica "Divieto di effettuare spese e responsabilita' nell'esecuzione", compreso nel titolo IV, che reca la rubrica "Risanamento finanziario delle gestioni locali", della legge 24 aprile 1989, n. 144, dopo avere enunciato che "a tutte le amministrazioni provinciali, ai comuni ed alle comunita' montane, l'effettuazione di qualunque spesa e' consentita esclusivamente se sussistono la deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge e divenuta o dichiarata esecutiva", dichiara, quanto ai "lavori di somma urgenza", che "l'ordinazione fatta a terzi dev'essere regolarizzata improrogabilmente entro trenta giorni e comunque entro la fine dell'esercizio, a pena di decadenza". Il quarto comma, poi, recita che, "nel caso in cui vi e' stata l'acquisizione di beni o servizi in violazione dell'obbligo indicato nel terzo comma, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura". Dal chiaro dettato della normativa e' agevole desumere che il nuovo legislatore, per esigenze connesse al risanamento dei disastrati bilanci degli enti pubblici territoriali, ha prescritto in primo luogo, con la seconda parte del detto terzo comma, che le provincie, i comuni e le comunita' montane hanno l'obbligo, quanto ai lavori di somma urgenza, suscettivi di "regolarizzazione", in quanto evidentemente disposti, nei casi e nei modi previsti dalla legge, dal competente funzionario, di completarne l'iter approvativo non oltre la fine dell'esercizio, pena la decadenza e cioe' l'impossibilita' giuridica che i lavori siano piu' regolarizzati. In secondo luogo, col quarto comma, posta le duplice condizione che "vi sia stata l'acquisizione di beni o servizi" agli anti pubblici, come conseguenza anche di "lavori di somma urgenza" legittimamente autorizzati, ma, al contempo, "violazione - da parte degli enti stessi - dell'obbligo loro imposto col terzo comma" di "regolarizzarli", e percio' di approvarli improrogabilmente entro la fine dell'esercizio, introduce una sorta di novazione soggettiva ope legis del rapporto inizialmente sorto tra ente pubblico e fornitore, qualificato dalla immedesimazione organica tra p.a. e funzionario che ha autorizzato legittimamente ed anzi doverosamente i lavori, sostituendolo, per effetto della mancata approvazione non imputabile al funzionario, con un rapporto munito di efficacia ex nunc tra funzionario e fornitore. La conseguenza e' che il fornitore viene ad essere deprivato di ogni tutela nei confronti della p.a., la quale tuttavia acquisisce alla propria sfera giuridico-patrimoniale i beni o i servizi prodotti dalla fornitura. E' di tutta evidenza che la concreta fattispecie in esame, nella quale non sembra sorga questione tra le parti circa la legittimita' e la doverosita' degli atti amministrativi compiuti dai funzionari dell'amministrazione provinciale di Catanzaro in presenza di una scontata situazione di "somma urgenza", trova percio', la propria disciplina precisamente nel terzo e quarto comma dell'art. 23 della legge n. 144/1989, essendo altresi' pacifico in punto di fatto che all'autorizzazione data all'imprenditore Restuccia, di eseguire i lavori reputati necessari dall'ingegnere capo della provincia, non e' poi seguita l'approvazione del verbale (di somma urgenza) e della perizia giustificativa, costituendo altresi' dato processuale incontroverso che la p.a. ha acquisito ed utilizzato le opere eseguite dal privato. Cio' posto reputa il tribunale che sia altrettanto evidente che le nuove disposizioni siano tacitamente ed implicitamente abrogative dell'art. 72, sopra accennato, del reg.to n. 350/1895, giacche' hanno cancellato dall'ordinamento la responsabilita' della p.a. per il pagamento, in favore del fornitore, delle spese da questi incontrate per la parte di opere eseguite ed hic et inde acquisite ed utilizzate dall'ente pubblico, quando non sia intercorsa approvazione da parte della p.a. medesima, sostituendola, per l'appunto, con quella del funzionario "che ha consentito la spesa". La pretesa del Restuccia nei confronti dell'amministrazione provinciale di Catanzaro, sulla base di tale normativa, andrebbe, dunque, disattesa. Senonche' sembra al collegio che il su riportato quarto comma, nella parte in cui cancella la responsabilita' della p.a. sostituendola con quella del o dei funzionari e/o amministratori che hanno "consentito la spesa", non si sottragga a palesi censure di illegittimita' costituzionale. E cio' per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Deve in proposito rimarcarsi che il sistema costituzionale pone il principio di eguaglianza come espressione di un generale canone di coerenza e di ragionevolezza dell'ordinamento (Corte cost. n. 25/1966), mentre la disposizione in questione, a fronte di un "arricchimento" della p.a. a danno del privato fornitore, esclude che questi possa agire nei confronti del soggetto che si e' giovato dell'"arricchimento", non solo per ottenere il prezzo delle opere o dei servizi eseguiti - il che potrebbe apparire corretto - ma altresi' per rivalersi della patita correlativa diminuzione patrimoniale. Ed invero, ponendo la legge la personale ed esclusiva responsabilita' ex nunc del funzionario e/o dell'amministratore, pur in presenza di un comportamento di questi legittimo ed anzi doveroso, la p.a. committente non potrebbe essere convenuta in giudizio neppure ex art. 2041 del c.c. postulando necessariamente la relativa azione che l'ordinamento non ne preveda altra, nascente da contratto o da legge, nei confronti di soggetti diversi (ex plurimis Cass. civ., n. 2087/1978, n. 3716/1982, n. 1686/1993). In altri termini, pur ricorrendo nella fattispecie tutte le condizioni che quanto meno potrebbero originare ex art. 2041 del c.c. una pretesa all'indennizzo del Restuccia nei confronti dell'amministrazione provinciale di Catanzaro, munita della natura di diritto soggettivo (cfr. Cass. civ., sez. un. n. 661, 23 marzo 1964, in Giur. it., 265, I, 1, 648), per altro concorrentemente fondata su comportamenti legittimi (o almeno presumibilmente tali) degli organi tecnici dell'amministrazione medesima deputati dalla legge ad esprimere nella fase della prima autorizzazione la volonta', la pretesa viene ad essere deprivata di ogni congruente giuridica tutela, sostituita, con effetto ex nunc, da altra e differente pretesa nei confronti di altro soggetto (privato) chiamato ad una responsabilita' scaturente da atto non solo legittimo ma anche doveroso, e percio', tra l'altro, assistita da una garanzia patrimoniale, ex art. 2740 del c.c., certamente di grado inferiore quando non del tutto inesistente. Consegue una quanto mai palese ed ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai casi in cui la p.a. in termini piu' generali, giovandosi comunque e riconoscendo implicitamente una utilitas connessa ad una prestazione effettuata in suo favore da un terzo, e' in ogni caso obbligata a mantenere direttamente indenne questi dalle spese sostenute. Ne' potrebbe ragionevolmente sostenersi che il quarto comma dell'art. 23 della legge n. 144/1989 potrebbe anche essere interpretato in termini non contrastanti con l'art. 3 della Costituzione sotto l'esaminato profilo, potendo in ipotesi riferirsi solamente ai casi in cui non fosse apprezzabile un riconoscimento da parte della p.a. dell'utilita' dell'opera o della prestazione eseguita dal terzo pur ricorrendo l'estremo della "acquisizione dei beni o dei servizi" eseguiti alla p.a. medesima, giacche' e' precisamente l'accennata condizione secondo cui il comune, la provincia, o la comunita' montana debbono avere "acquisito il bene o il servizio" (dal quale poi la legge fa discendere irragionevolmente, nel concorso di altre condizioni date, l'obbligo del funzionario o dell'amministratore che ha "consentito" la spesa, di effettuare la controprestazione con personale ed esclusiva responsabilita' patrimoniale) che sembra indefettibilmente, sul piano fenomenico e concettuale, supporre il riconoscimento, poiche' non puo' acquisirsi, con comportamenti univoci, cio' che non e' asservito ad una qualunque utilita' che all'ente faccia capo e che questi non abbia riconosciuto come tale. Inoltre, correlativamente, l'accennata disposizione della legge n. 144/1989 sembra manifestamente in contrasto pure con l'art. 24 della Costituzione, il quale attribuisce ad ogni cittadino, nessuno escluso, la possibilita' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, laddove il fornitore delle opere o dei servizi, nel caso previsto dall'art. 70 del reg.to n. 350/1895, rimane privo di azione precisamente nei confronti dell'ente pubblico suo debitore al quale ope legis viene sostituito irragionevolmente altro soggetto munito di un indice di solvibilita' quanto meno di grado inferiore, quando non nullo, con conseguente riduzione o elisione delle garanzie patrimoniali dell'iniziale obbligazione come sorta tra l'ente pubblico e il privato fornitore. In sostanza il diritto iniziale del privato fornitore, sorto sulla base di atto autoritativo legittimo dei lavori di "somma urgenza" e di ogni altra delle condizioni prefigurate dall'art. 70 reg.to n. 350/1895 nei confronti della p.a., rimane completamente privo di azione e di tutela, a nulla potendo rilevare che la legge vi sostituisca altro diritto ed altra azione nei confronti di altro e diverso soggetto. Da qui la chiara rilevanza e la non manifesta infondatezza, sotto i profili suddetti, della questione di legittimita' costituzionale che puo' essere sollevata d'ufficio ex art. 23, terzo comma, della legge n. 87/1953, del quarto comma dell'art. 23 della legge 24 aprile 1989, n. 144 giacche' il giudizio, pendente tra l'amministrazione provinciale di Catanzaro, in persona del suo presidente e legale rappresentante pro-tempore, e la s.a.s. "Costruzioni Edili e Stradali" di Restuccia Vincenzo, non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione medesima.