IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi in appello n. 1812, 1813, 1826, 1827, 1828, 1829, 1830, 1831 tutti del 1991; 6982, 6983, 6984, 7012, 7013, 7014, 7015, 7016, 7017, 7018, 7019, 7020, 7021, 7028, 7029, 7030, 7031, 7032, 7033, 7034, 7035, 7036, 7037, 7038, 7039, 7093, 7094, 7095, 7096, 7097, 7098, 7122, 7123, tutti del 1993; 1651, 1652, 1653, tutti del 1994, proposti dall'Ente Autonomo Flumendosa - E.A.F. in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma alla via dei Portoghesi n. 12, contro rispettivamente, Camboni Sebastiano; Marras Giovanni e Salis Salvatore; Zara Francesco; Spanu Giovanni; Mattana Giovanni, Muscas Vincenzo, Condotti Salvatore, Maccioni Efisio e Mancosu Ottavio; Anedda Marco e Corda Gino; Corso Angelo; e Pambira Mario, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Alberto Piga, con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Giuliano Bologna, in via Merulana n. 234; Cordeddu Maria Grazia; Montanari Francesco; Berti Giampaolo; Chiavini Angiolino; Rinaldi Gabriele; Cammella Teodoro; Erriu Paolo; Marini Giorgio; Petretto Angelo; Megna Elio; Mocci Eraldo; Pittau Luciano; Mereu Salvatore; Pusceddu Giuseppe; Bandel Lucio; Pirina Giancarlo; Pettinau Giorgio; Soddu Antonio; Cestaro Arnaldo; Locci Antonio; Mura Antonio; Cossu Mario; Orsi Marcello; Ecca Gianni Cesare; De Montis (o Demontis) Luciano; Murrau Saverio; Pia Antonio; Mantega Maria Pia; Nurchi Antonio; Murru Giorgio; Campullu Giovanni; Pivano (o Rivano) Enrico; e Saba Ignazio, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Raffaele Gallus Cardia, con domicilio eletto in Roma, in via Purificazione n. 31; Casti Francesco; Diana Angelo; e Pinna Gennaro, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Paolo Secci, con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Raffaele Gallus Cardia, in via Purificazione n. 31; per l'annullamento delle sentenze n. 867, dal n. 891 al n. 895, nn. 905 e 906, tutte del 10 giugno 1991; dal n. 1881 al n. 1883, dal n. 1885 al n. 1909 tutte del 30 dicembre 1992; dal n. 607 al n. 614 tutte del 27 maggio 1993, pronunciate dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna; Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati; Visti gli atti tutti della causa; Relatore il cons. Corrado Allegretta; Uditi all'udienza pubblica del 2 dicembre 1994 l'avv. dello Stato Clemente e l'avv. Gallus Cardia, anche per delega degli avv.ti Piga e Secci; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. F A T T O L'E.A.F. - Ente Autonomo Flumendosa, impugna le sentenze in epigrafe indicate, con le quali il tribunale amministrativo regionale della Sardegna ha riconosciuto il diritto degli appellati all'indennita' di anzianita' ricalcolata tenendo conto dell'indennita' di contingenza corrisposta con l'ultima retribuzione, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali. Sostiene l'appellante che erroneamente il tribunale, pur ritenendo che ai dipendenti dell'E.A.F. si applichi la normativa dettata dalla legge 20 marzo 1975 n. 70, affermi la computabilita' dell'indennita' di contingenza nella base di calcolo dell'indennita' di anzianita'. Gli appelli si concludono con la domanda che il Consiglio di Stato annulli le sentenze impugnate e dichiari l'inesistenza del diritto preteso dagli appellati; con vittoria delle spese dei due gradi di giudizio. All'udienza del 2 dicembre 1994, sentiti i difensori presenti, il Collegio si e' riservato la decisione. D I R I T T O Per la loro evidente connessione, gli appelli in esame devono essere riuniti per essere decisi con un'unica sentenza. La controversia concerne la computabilita' dell'indennita' integrativa speciale nel trattamento di fine rapporto spettante ai dipendenti dell'Ente Autonomo Flumendosa - E.A.F. In proposito, la normativa cui occorre far riferimento e' contenuta, per ammissione dello stesso Ente appellante, nel vigente regolamento organico del personale dipendente, adottato con deliberazione commissariale n. 1084 dell'11 settembre 1986 in applicazione della legge regionale 8 maggio 1984 n. 17, che ha disposto la regionalizzazione dell'Ente, con obbligo per lo stesso di estendere ai suoi dipendenti il trattamento economico del personale regionale con effetti giuridici dal 1 giugno 1984 ed effetti economici dal successivo 31 dicembre. Per quanto riguarda il trattamento previdenziale, tuttavia, l'art. 77 del predetto regolamento stabilisce che "sino all'entrata in vigore della legge che disciplinera' la materia relativa al fondo per l'integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale continueranno ad avere applicazione nei confronti del personale attualmente avente diritto le disposizioni di cui alla deliberazione n. 254 del 25 luglio 1960 e successive modificazioni ed integrazioni", cioe' le disposizioni della preesistente normativa regolamentare dell'Ente. La norma e' stata successivamente interpretata con deliberazione commissariale 24 ottobre 1986 n. 1240 nel senso che "il riferimento .. relativo alla normativa assicurativa, previdenziale ed assistenziale vigente anteriormente all'entrata in vigore del citato regolamento ricomprende, per l'indennita' di anzianita', la disposizione contenuta nell'art. 13 della legge 20 marzo 1975 n. 70". Non essendo ancora intervenuta la legge regionale concernente il nuovo trattamento di previdenza, trova applicazione, in via transitoria, il citato art. 13, il quale stabilisce che "all'atto della cessazione dal servizio spetta al personale un'indennita' di anzianita', a totale carico dell'ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo lordo complessivo in godimento qualunque sia il numero di mensilita' in cui esso e' ripartito, quanti sono gli anni di servizio prestato". Nello stipendio annuo lordo complessivo, tuttavia, non poteva essere compresa, ai fini di cui si tratta l'indennita' integrativa speciale siccome erogata, a norma dell'art. 26 della legge n. 70/l975, "nella misura e con le forme vigenti per il personale dello Stato" e, pertanto, come indennita' non utile a detti fini. Secondo quanto esposto dalla difesa dell'Ente e non contestato dagli appellati, inoltre, costoro non sono iscritti all'I.N.A.D.E.L. e, pertanto, manca, altres/', il presupposto in forza del quale, a norma dell'art. 3 della legge 7 luglio 1980, n. 299, potrebbe sorgere il loro diritto a vedersi ricomprendere, nell'indennita' premio di servizio corrisposta da tale Istituto, l'indennita' integrativa speciale. Nelle more del giudizio, tuttavia, prima e' intervenuta la pronuncia 19 maggio 1993 n. 243 della Corte costituzionale sulla questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni di legge che tale computabilita' negavano e, poi, e' entrata in vigore (in data 6 febbraio 1994) la legge 29 gennaio 1994, n. 87, recante "Norme relative al computo della indennita' integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti" (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio 1994). Questa legge all'art. 4 stabilisce che "i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge aventi ad oggetto la riliquidazione del trattamento di fine servizio comunque denominato con l'inclusione dell'indennita' integrativa speciale sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra le parti". La disposizione che prevede l'estinzione d'ufficio dei giudizi pendenti assume, dunque, evidenza nel presente giudizio, ricorrendo l'ipotesi, prevista dal precedente art. 3, primo comma, di "rapporti attinenti alla liquidazione dell'indennita' di buonuscita o analogo trattamento" non ancora giuridicamente esauriti. Della sua costituzionalita', tuttavia, questa Sezione ha gia' avuto modo di dubitare (si veda, per tutte, l'ordinanza n. 664 del 3 maggio 1994). Si e' ritenuto, invero, che, nel contesto normativo della legge considerata, l'art. 4 si pone in contrasto con gli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 103 e 113 della Costituzione. La norma in esso contenuta incide, infatti, direttamente sul diritto di difesa quale garantito dall'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. Dopo aver ricordato che il potere del legislatore ordinario di variamente disciplinare il diritto di difesa, quale espressione della tutela giurisdizionale, in funzione di superiori interessi di giustizia, incontra limiti, fra cui il principale e' rappresentato dalla condizione che l'esercizio del diritto di difesa sia garantito in modo effettivo ed adeguato alle circostanze, la menzionata ordinanza rileva che il limite anzidetto risulta ampiamente superato allorche', come nella specie, il legislatore intervenga successivamente all'esercizio dell'azione con disposizioni preclusive intese a vanificare la tutela giurisdizionale, specie se questa sia stata gia' sperimentata, essendosi resa necessaria in conseguenza dell'inerzia del legislatore a fronte di posizioni soggettive che la Corte costituzionale, con la sentenza sopra citata, ha poi ritenuto direttamente garantite dalla Costituzione. Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sul piano della razionalita', si e' ravvisato nel fatto che, imponendo la dichiarazione di estinzione dei giudizi pendenti, la disposizione normativa si risolve proprio nella vanificazione di quegli stessi giudizi, che hanno reso possibile la proposizione incidentale della questione di illegittimita' costituzionale in materia e che, seppure ancora non definitivamente decisi dal giudice naturale con sentenza passata in cosa giudicata, pur tuttavia hanno consentito di incidere sull'ordinamento generale attraverso la pronuncia suddetta. Ad ulteriore sospetto di incostituzionalita' da' corpo la compromissione del diritto di difesa derivante dalla estinzione dei giudizi pendenti, in relazione ai tempi lunghi previsti per la realizzazione della pretesa e, in definitiva, per il riconoscimento del diritto, dal momento che, per un verso, anche i soggetti che avevano gia' proposto la loro pretesa in sede giurisdizionale sono tenuti a proporre apposita domanda entro un determinato termine di decadenza (art. 3, secondo comma), e, per altro verso, tale estinzione potrebbe consentire alla Amministrazione di rimettere in discussione, caso per caso, l'esistenza stessa del diritto, anche in relazione a quelle ipotesi che per tale aspetto potrebbero gia' pervenire a pronta soluzione. Anche la disposta compensazione delle spese del giudizio e' apparsa in violazione delle garanzie costituzionali poste dagli artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, della Costituzione, in quanto sottrae al giudice naturale della pretesa sostanziale dedotta in giudizio tale parte accessoria della controversia, che per principio costituzionale non puo' esserne distolta. Il sospetto di illegittimita' dell'art.4 della legge n. 87 del 1994 e' stato esteso poi alla violazione degli artt. 103 e 113 della Costituzione, sotto il profilo dell'illegittima interferenza dell'esercizio del potere legislativo nella sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale in un ambito che vede come giudice naturale delle relative controversie il giudice amministrativo. Per le stesse ragioni, del resto, la Corte costituzionale ha gia' dichiarato incostituzionale, con sentenza n. 123 del 10 aprile 1987, una norma di identico contenuto della legge n. 425 del 1984. Questo Collegio non ha motivo di dissentire dalle precedenti pronunce e, peraltro, tutti gli aspetti di illegittimita' costituzionale sopra delineati sono rilevanti ai fini della definizione del giudizio. Dalla risoluzione della relativa questione dipende, infatti, se possa essere dichiarata l'estinzione del giudizio, ovvero se questo debba proseguire fino a conclusioni di merito, salva ogni altra iniziativa processuale delle parti intesa a determinare comunque la chiusura senza una pronuncia di merito. Per le considerazioni fin qui svolte, previa riunione degli appelli e sospensione del giudizio, la soluzione della questione di illegittimita' costituzionale di cui sopra dev'essere rimessa alla Corte costituzionale.