IL PRETORE
    Visti gli atti del procedimento penale a carico di Andrioli Carlo,
 nato  a  Udine  il 20 agosto 1965, assistito dal difensore di ufficio
 avv. A. Scalettaris del foro di Udine.
    Premesso che l'imputato e'  stato  tratto  a  giudizio  davanti  a
 questo  pretore per rispondere, fra l'altro, della contravvenzione di
 cui all'art. 26 del d.P.R. 10  sttembre  1982,  n.  915,  "per  avere
 esercitato,  in  assenza  dell'autorizzazione prescritta dall'art. 16
 del d.P.R.  n.  915/1982,  un'attivita'  di  smaltimento  di  rifiuti
 tossici  e  nocivi,  costituiti  da accumulatori di corrente esausti,
 stoccandoli provvisoriamente all'interno dell'azienda".
    In atti preliminari l'imputato avanzava  istanza  di  applicazione
 della  pena ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., chiedendo nel contempo
 al  giudice  di  valutare  la  sussistenza   delle   condizioni   per
 pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  a norma dell'art. 129 del
 c.p.p.,  soprattutto  in  applicazione  della  particolare  causa  di
 esclusione  della  punibilita',  introdotta  con gli artt. 12, quarto
 comma, e 15 del d.-l. 7 gennaio 1995, n. 3.
    Il pubblico ministero prestava il proprio consenso alla pena nella
 misura indicata dalla difesa,  chiedendo  tuttavia  al  pretore  che,
 qualora  avesse ritenuto di dover pronunciare sentenza di assoluzione
 ex art. 129 del c.p.p., in  conformita'  della  specifica  disciplina
 introdotta  dal  decreto-legge la cui applicazione era stata invocata
 dalla  difesa,  valutasse  l'opportunita'  di  sollevare questione di
 legittimita' costituzionale delle norme richiamate.
    Il pretore, valendosi della facolta'  accordatagli  dall'art.  135
 disp. att. del c.p.p., ordinava l'esibizione degli atti contenuti nel
 fascicolo  del  pubblico  ministero; ed accertata, sulla base di tali
 atti, la sussistenza nel  caso  concreto  delle  condizioni  previste
 dall'art.  15  del  d.-l.  n.  3/95  per l'operare della causa di non
 punibilita' di cui al quarto comma dell'art. 12  del  medesimo  testo
 normativo,   decideva   di   sollevare   questione   di  legittimita'
 costituzionale di tali norme del citato d.-l. n. 3/1995.
    Osserva infatti questa giudicante come sussista innanzi  tutto  il
 requisito della rilevanza della questione.
    Pur in presenza della richiesta di applicazione della pena ex art.
 444  del  c.p.p.,  avanzata  dall'imputato  ed assentita dal pubblico
 ministero, permane infatti il  dovere  del  giudice  di  valutare  la
 possibilita'  di  pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  a norma
 dell'art. 129 del c.p.p.: possibilita' che esiste  concretamente  nel
 caso  di  specie,  atteso  che  dagli  atti di indagine contenuti nel
 fascicolo del pubblico ministero appaiono sussistenti  le  condizioni
 richieste   dall'art.  15  del  d.-l.  n.  3/1995  per  escludere  la
 punibilita' dell'imputato.
    L'Andrioli,   infatti,   effettuo'   l'attivita'   di   stoccaggio
 provvisorio contestatagli in imputazione nel medesimo insediamento in
 cui  svolgeva  la  propria attivita' di elettrauto, nell'ambito della
 quale i rifiuti venivano prodotti - art. 15, lett. a) - l'asporto dei
 rifiuti avveniva inoltre con cadenza inferiore all'anno, come  emerge
 dal  registro  di carico e scarico presente fra i documenti acquisiti
 in sede di indagine e dal verbale  d'ispezione  dd.  24  agosto  1992
 dell'U.P.G.  Rossi  -  art. 15, lett. d) - il prevenuto aveva inoltre
 presentato alla regione, gia' in data  7  aprile  1989,  denuncia  di
 ammasso  temporaneo  di rifiuti tossici e nocivi ai sensi della legge
 regionale n. 15/1987 (e tale atto il pretore  ha  ritenuto  di  poter
 considerare  equipollente  alla  comunicazione  di  cui alla lett. e)
 dell'art.  15  del  decreto-legge  citato,  posto   che   sembrerebbe
 incongruo,  in  relazione  a  quella che si manifesta essere la ratio
 legis, richiedere la presentazione all'autorita'  competente  di  una
 vera  e  propria  comunicazione dello stoccaggio, all'epoca dei fatti
 assolutamente non prevista ed avente addirittura,  nel  vigore  della
 normativa di cui al d.P.R. n. 915/1982, la funzione di autodenuncia).
    I rifiuti stoccati, inoltre - costituiti da accumulatori esausti -
 non  contengono  pacificamente  le sostanze di cui all'art. 15, lett.
 b), essendo qualificati  come  tossici  e  nocivi  in  ragione  della
 presenza  delle  sostanze  di  cui  ai numeri 7 e 27 dell'allegato al
 d.P.R. n. 915/1982, mentre il loro quantitativo non supero'  in  ogni
 caso i due metri cubi (potendosi stimare il volume di un accumulatore
 in 0.020/0.025 mc).
    Sussistendo  dunque le condizioni per l'operare della causa di non
 punibilita' di cui all'art. 12, quarto comma, del d.-l. n. 3/1995, il
 presente giudizio non puo' essere definito in modo indipendente dalla
 risoluzione della  questione  di  legittimita'  costituzionale  della
 norma  stessa  (oltreche'  del  successivo  art.  15,  cui  la  prima
 disposizione si richiama espressamente):  solo  dopo  che  sia  stata
 accertata  la  conformita' o meno alla Costituzione di tali norme, il
 pretore sara' infatti in grado di decidere per l'assoluzione, a mente
 dell'art.  129  del  c.p.p.,  o  per  l'applicazione  della  pena  su
 richiesta, ai sensi dell'art. 444 del c.p.p.
    Ed invero, in relazione alla disposizione di cui all'art.  12  del
 d.-l.  7  gennaio  1995,  n.  3  (e del successivo art. 15, in quanto
 richiamato  dal  primo),  sussiste   l'ipotesi   di   non   manifesta
 infondatezza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale, per
 contrasto con numerose disposizioni della Carta costituzionale.
    Le  citate  norme  del  decreto-legge   appaiono   innanzi   tutto
 contrastare  con gli artt. 9, secondo comma, e 32 della Costituzione,
 in quanto l'esclusione della punibilita' di chi abbia  effettuato,  a
 determinate  condizioni, lo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici
 e nocivi appare in netta contrapposizione con la tutela del paesaggio
 e dell'ambiente, che quelle norme pongono come  valore  fondamentale;
 inoltre,  esse  si  contrappongono all'art. 10 della Costituzione, in
 quanto la normativa introdotta in materia di rifiuti tossici e nocivi
 dal  decreto  in  esame  appare  assolutamente  confliggente  con  le
 direttive  CEE  dettate  nella medesima materia, cio' che comporta il
 mancato adeguamento dello  Stato  italiano  alle  norme  del  diritto
 internazionale,  che  il  dettato  costituzionale  impone;  la  norma
 esimente  da  responsabilita',   contenuta   nel   decreto   de   quo
 relativamente  all'avvenuto  stoccaggio  di rifiuti tossici e nocivi,
 appare poi confliggere con gli artt.  25  e  77  della  Costituzione,
 nella  parte in cui dette disposizioni impongono determinati limiti e
 condizioni  all'esercizio  della  potesta'   legislativa   da   parte
 dell'esecutivo, soprattutto con riguardo alla materia penale.
    Venendo  dunque  a  considerare  in  maniera  piu'  dettagliata la
 valutazione della non  manifesta  infondatezza  della  questione,  si
 dovra'  in  primo  luogo  osservare come la norma di cui all'art. 12,
 quarto comma, del d.-l. n. 3/1995 affermi, in  maniera  assolutamente
 innovativa rispetto alla precedente disciplina generale in materia di
 rifiuti  (contenuta  nel  d.P.R.  10  settembre 1982, n. 915), la non
 punibilita' di chi abbia effettuato,  prima  dell'entrata  in  vigore
 della  disciplina  normativa  d'urgenza, lo stoccaggio provvisorio di
 rifiuti tossici e nocivi, alle condizioni dettate dal successivo art.
 15.
    La disciplina sin qui riassunta si coordina peraltro con  la  piu'
 generale  previsione,  contenuta  proprio  nell'art.  15 del decreto:
 norma che, venendo ad incidere su uno dei principi cardine del d.P.R.
 n. 915/1982, fa venir meno, a determinate  condizioni,  l'obbligo  di
 autorizzazione  e  di iscrizione all'albo nazionale per chi effettui,
 nell'ambito dello  stesso  insediamento  produttivo,  lo  stoccaggio,
 provvisorio di rifiuti tossici e nocivi.
    Orbene,  tale  disciplina  pare  porsi  in aperta contrapposizione
 logica con l'art. 9, secondo comma, della  Costituzione:  secondo  la
 piu'  recente  ed  autorevole  giurisprudenza,  sia  della  Corte  di
 cassazione che di quella costituzionale, il concetto di  "paesaggio",
 al quale la norma costituzionale si richiama, deve infatti intendersi
 non  solo nella sua dimensione estetica e culturale, ma come ambiente
 naturale in senso lato, tutelato anche (e soprattutto) in vista della
 conservazione di tutte le componenti bionaturalistiche.
    Ora il fatto di prevedere la esclusione  di  punibilita'  per  chi
 abbia  effettuato  lo  stoccaggio  provvisorio  di  rifiuti tossici e
 nocivi, appare invece  incompatibile  con  la  tutela  dell'ambiente,
 proprio perche' con tale previsione si attua in pratica una rinuncia,
 da  parte  dello  Stato, a perseguire condotte che per la particolare
 pericolosita'  dei  rifiuti  in  questione   sono   suscettibili   di
 determinare gravi situazioni di degrado ambientale.
    E  sotto questo stesso profilo, la disciplina in questione si pone
 pure in contrasto con l'art. 32 della Costituzione, se  e'  vero  che
 nel  concetto  di  tutela  del  diritto  alla  salute  non  puo'  non
 ricomprendersi  anche  il  diritto  alla   salubrita'   dell'ambiente
 naturale   ed   urbano   in   cui   il  cittadino  vive  (cosi'  come
 autorevolmente riaffermato dalla Cassazione, a sezioni  unite,  nella
 ben  nota  decisione n. 517/1979, e della stessa Corte costituzionale
 nelle pronunce n. 641/1987 e n. 127/1990.
    Se infatti si fa cadere, in sede  di  decretazione  d'urgenza,  la
 possibilita'  di  un  intervento  punitivo,  dall'indubbio  carattere
 deterrente, in relazione a condotte aventi ad oggetto lo  smaltimento
 di  determinati  rifiuti, anche potenzialmente pericolosi, si vengono
 di fatto a creare le condizioni per l'espandersi di un  fenomeno  che
 non  puo'  che  produrre  in  via  diretta  un danno irreparabile per
 l'ambiente, con conseguente grave pregiudizio anche per la  salute  e
 la salubrita' pubblica.
    Quanto  poi  all'art. 10 della Costituzione, che impone allo Stato
 italiano di conformarsi alle norme del diritto  internazionale,  esso
 appare ampiamente violato dalla normativa della cui costituzionalita'
 si discute, posto che essa non pare affatto adeguarsi alle principali
 norme  comunitarie  dettate  in materia di rifiuti, ed in particolare
 alla direttiva CEE n. 156 del 18 marzo 1991,  che  ha  modificato  la
 fondamentale direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti.
    Tale direttiva, infatti, nel prevedere in via generale (agli artt.
 9  e 10) la necessita' dell'autorizzazione per tutti gli stabilimenti
 ed imprese che effettuino operazioni di  smaltimento  di  rifiuti,  e
 nello  stabilire  altresi'  la possibile deroga a tale disciplina, in
 presenza di determinate condizioni espressamente previste, fa in ogni
 caso salvo il disposto della direttiva 78/319/CEE del Consiglio,  del
 20 marzo 1978, relativa ai rifiuti tossici e nocivi.
    E  poiche'  quest'ultima  normativa  comunitaria  - alla quale, e'
 appena il caso di ricordare, e'  stata  data  attuazione  nel  nostro
 Paese   con   il   d.P.R.   n.   15/1982   -  impone  necessariamente
 l'autorizzazione, per ogni singola fase dell'attivita' di smaltimento
 di questa particolare categoria di rifiuti, il contrasto rispetto  ad
 essa dei piu' volte richiamati artt. 12, quarto comma, e 15 del d.-l.
 n. 3/1995 appare in tutta la sua evidenza.
    Infine,  un  ulteriore  profilo di illegittimita' della disciplina
 esaminata si pone in rapporto agli artt. 25 e 77 della Costituzione.
    Il fondamentale principio di riserva di legge in  materia  penale,
 posto  dalla  prima  delle  norme  costituzionali  indicate,  implica
 infatti, a parere di chi scrive, una riserva delle scelte di politica
 criminale (sia relative alla introduzione  di  nuove  incriminazioni,
 sia,  come  nel  caso  di  specie,  relative  alla  esclusione  della
 rilevanza  penale  di  determinate  condotte)   alla   volonta'   del
 Parlamento, unico organo che sia diretta espressione della sovranita'
 popolare  e  che  garantisca nel contempo il controllo da parte delle
 minoranze.
    Pur   se   discutibile,   l'introduzione  di  nuove  norme  penali
 attraverso  la  decretazione  d'urgenza  deve   dunque   considerarsi
 ammissibile  solo  quando  sia  comunque  assicurato l'intervento del
 Parlamento in posizione sovraordinata, quando questo abbia  cioe'  la
 effettiva   possibilita'   di   conferire  stabilita'  e  durevolezza
 (oltreche' -  e  fondamentalmente  -  la  necessaria  certezza)  alle
 disposizioni   normative   introdotte  in  via  precaria,  attraverso
 l'esercizio dei propri poteri di conversione.
    Nella materia che ci occupa, al contrario, essendosi verificato in
 inquietante fenomeno di reiterazione dei  decreti  legge,  si  e'  di
 fatto  spodestato l'organo parlamentare del monopolio a legiferare in
 maniera esclusiva nell'ambito penale con  assunzione,  da  parte  del
 Governo,  di  esorbitanti  poteri  di  bilanciamento e di valutazione
 degli interessi in gioco.
    Non pare poi si possa trascurare un ulteriore elemento, e cioe' la
 insussistenza  di  una  delle  condizioni   fondamentali   -   quella
 dell'urgenza  -  che  legittimano  il  Governo ad emanare decreti con
 valore di legge ordinaria, a mente dell'art. 77  della  Costituzione:
 infatti,  quale urgenza puo' mai ravvisarsi nell'adozione di decreti-
 legge che vengono ripresentati, perche' non convertiti in  legge  nei
 termini, per oltre un anno, a partire dal novembre 1993.