IL PRETORE
    Visti gli atti del procedimento penale a carico di Gri Mario, nato
 a Udine il 5 febbraio 1935, assistito dal difensore di  fiducia  avv.
 Luca Ponti del Foro di Udine;
    Premesso  che  l'imputato  e'  stato  tratto  a giudizio davanti a
 questo pretore per rispondere, fra l'altro, della contravvenzione  di
 cui  all'art.  26  del  d.P.R.  10 settembre 1982, n. 915, "per avere
 esercitato, in assenza dell'autorizzazione  prescritta  dall'art.  16
 del  d.P.R.  n.  915/1982,  un'attivita'  di  smaltimento  di rifiuti
 tossici e  nocivi,  costituiti  da  accumulatori  elettrici  esausti,
 pastiglie  e  ceppi  di  freni  e  dischi  di  frizione,  stoccandoli
 provvisoriamente all'interno dell'azienda".
    In atti preliminari il difensore dell'imputato, munito di  procura
 speciale,  avanzava  istanza  di  applicazione  della  pena  ai sensi
 dell'art. 444 del  c.p.p.,  chiedendo  nel  contempo  al  giudice  di
 valutare  la sussistenza delle condizioni per pronunciare sentenza di
 proscioglimento a norma dell'art.  129  del  c.p.p.,  soprattutto  in
 applicazione della particolare causa di esclusione della punibilita',
 introdotta  con  gli artt. 12, quarto comma, e 15 del d.-l. 7 gennaio
 1995, n. 3.
    Il pubblico ministero prestava il proprio consenso alla pena nella
 misura indicata dalla difesa,  chiedendo  tuttavia  al  pretore  che,
 qualora  avesse ritenuto di dover pronunciare sentenza di assoluzione
 ex art. 129 del c.p.p., in  conformita'  della  specifica  disciplina
 introdotta  dal  decreto-legge la cui applicazione era stata invocata
 dalla difesa, valutasse  l'opportunita'  si  sollevare  questione  di
 legittimita' costituzionale delle norme richiamate.
    Il  pretore,  valendosi  della facolta' accordatagli dall'art. 135
 delle  disp.  att.  del  c.p.p.,  ordinava  l'esibizione  degli  atti
 contenuti  nel  fascicolo del pubblico ministero; ed accertata, sulla
 base di tali atti, la sussistenza nel caso concreto delle  condizioni
 previste  dall'art.  15 del d.-l. n. 3/1995 per l'operare della causa
 di non punibilita' di cui al quarto comma dell'art. 12  del  medesimo
 testo  normativo,  decideva  di  sollevare  questione di legittimita'
 costituzionale di tali norme del citato d.-l. n. 3/1995.
                             O S S E R V A
    Infatti questa giudicante come sussista innanzi tutto il requisito
 della rilevanza della questione.
    Pur in presenza della richiesta di applicazione della pena ex art.
 444 del c.p.p., avanzata  dalla  difesa  ed  assentita  dal  pubblico
 ministero,  permane  infatti  il  dovere  del  giudice di valutare la
 possibilita' di  pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  a  norma
 dell'art.  129  del c.p.p.: possibilita' che esiste concretamente nel
 caso di specie, atteso che  dagli  atti  di  indagine  contenuti  nel
 fascicolo  del  pubblico ministero appaiono sussistenti le condizioni
 richieste  dall'art.  15  del  d.-l.  n.  3/1995  per  escludere   la
 punibilita' dell'imputato.
    Il  Gri,  infatti, effettuo' l'attivita' di stoccaggio provvisorio
 contestatagli  in  imputazione  nel  medesimo  insediamento  in   cui
 svolgeva  la  propria  attivita' di autoriparatore, nell'ambito della
 quale i rifiuti venivano prodotti - art. 15, lett. a) - l'asporto dei
 rifiuti avveniva inoltre con cadenza inferiore all'anno, come  emerge
 dal  registro  di carico e scarico presente fra i documenti acquisiti
 in sede di indagine - art. 15, lett. d) -; il prevenuto aveva inoltre
 presentato alla regione, gia' in data 20 giugno  1990,  richiesta  di
 autorizzazione  allo  stoccaggio  provvisorio  di  rifiuti  tossici e
 nocivi (e tale atto il  pretore  ha  ritenuto  di  poter  considerare
 equipollente  alla  comunicazione di cui alla lettera e) dell'art. 15
 del  decreto-legge  citato,  posto  che  sembrerebbe  incongruo,   in
 relazione a quella che si manifesta essere la ratio legis, richiedere
 la  presentazione  all'autorita'  competente  di  una  vera e propria
 comunicazione dello stoccaggio, all'epoca dei fatti assolutamente non
 prevista ed avente addirittura, nel vigore della normativa di cui  al
 d.P.R. n. 915/1982, la funzione di autodenuncia).
    I  rifiuti stoccati, inoltre - costituiti da accumulatori esausti,
 pastiglie e ceppi di freni,  dischi  di  frizione  -  non  contengono
 pacificamente  le  sostanze  di  cui  all'art.  15, lett. b), essendo
 qualificati come tossici e nocivi in  ragione  della  presenza  delle
 sostanze  di  cui  ai  numeri  7,  21 e 27 dell'allegato al d.P.R. n.
 915/1982, mentre il loro quantitativo non supero' in ogni  caso  i  2
 metri  cubi (potendosi stimare il volume di una batteria pari a circa
 0,020/0,025 mc).
    Sussistendo dunque le condizioni per l'operare della causa di  non
 punibilita' di cui all'art. 12, quarto comma, del d.-l. n. 3/1995, il
 presente giudizio non puo' essere definito in modo indipendente dalla
 risoluzione  della  questione  di  legittimita'  costituzionale della
 norma  stessa  (oltreche'  del  successivo  art.  15,   espressamente
 richiamato  dalla  prima):  solo  dopo  che  sia  stata  accertata la
 conformita' o meno alla Costituzione di tali disposizioni, il pretore
 sara' infatti  in  grado  di  decidere  per  l'assoluzione,  a  mente
 dell'art.  129  del  c.p.p.,  o  per  l'applicazione  della  pena  su
 richiesta, ai sensi dell'art. 444 del c.p.p.
    Ed invero, in relazione alla disposizione di cui all'art.  12  del
 d.-l.  7  gennaio  1995,  n.  3  (e del successivo art. 15, in quanto
 richiamato  dal  primo),  sussiste   l'ipotesi   di   non   manifesta
 infondatezza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale, per
 contrasto con numerose disposizioni della Carta costituzionale.
    Le  citate  norme  del  decreto-legge   appaiono   innanzi   tutto
 contrastare  con  gli artt. 9, secondo comma e 32 della Costituzione,
 in quanto l'esclusione della punibilita' di chi abbia  effettuato,  a
 determinate  condizioni, lo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici
 e nocivi appare in netta contrapposizione con la tutela del paesaggio
 e dell'ambiente, che quelle norme pongono come  valore  fondamentale;
 inoltre,  esse  si  contrappongono all'art. 10 della Costituzione, in
 quanto la normativa introdotta in materia di rifiuti tossici e nocivi
 dal  decreto  in  esame  appare  assolutamente  confliggente  con  le
 direttive  CEE  dettate  nella medesima materia, cio' che comporta il
 mancato adeguamento dello  Stato  italiano  alle  norme  del  diritto
 internazionale,  che  il  dettato  costituzionale  impone;  la  norma
 esimente  da  responsabilita',   contenuta   nel   decreto   de   quo
 relativamente  all'avvenuto  stoccaggio  di rifiuti tossici e nocivi,
 appare poi confliggere con gli artt.  25  e  77  della  Costituzione,
 nella  parte in cui dette disposizioni impongono determinati limiti e
 condizioni  all'esercizio  della  potesta'   legislativa   da   parte
 dell'esecutivo, soprattutto con riguardo alla materia penale.
    Venendo  dunque  a  considerare  in  maniera  piu'  dettagliata la
 valutazione della non  manifesta  infondatezza  della  questione,  si
 dovra'  in  primo  luogo  osservare come la norma di cui all'art. 12,
 quarto comma, del d.-l. n. 3/1995 affermi, in  maniera  assolutamente
 innovativa rispetto alla precedente disciplina generale in materia di
 rifiuti  (contenuta  nel  d.P.R.  10  settembre 1982, n. 915), la non
 punibilita' di chi abbia effettuato,  prima  dell'entrata  in  vigore
 della  disciplina  normativa  d'urgenza, lo stoccaggio provvisorio di
 rifiuti tossivi e nocivi, alle condizioni dettate dal successivo art.
 15.
    Tale disposizione  si  coordina  peraltro  con  la  piu'  generale
 previsione, contenuta proprio nell'art. 15 del decreto: articolo che,
 venendo  ad  incidere  su  uno  dei  principi  cardine  del d.P.R. n.
 915/1982, fa venir  meno,  a  determinate  condizioni,  l'obbligo  di
 autorizzazione  e  di iscrizione all'albo nazionale per chi effettui,
 nell'ambito  dello  stesso  insediamento  produttivo,  lo  stoccaggio
 provvisorio di rifiuti tossici e nocivi.
    Orbene,  la  disciplina  sin  qui  riassunta  pare porsi in aperta
 contrapposizione  logica  con  l'art.   9,   secondo   comma,   della
 Costituzione:  secondo  la piu' recente ed autorevole giurisprudenza,
 sia della Corte  di  cassazione  che  di  quella  costituzionale,  il
 concetto   di  "paesaggio",  al  quale  la  norma  costituzionale  si
 richiama, deve infatti  intendersi  non  solo  nella  sua  dimensione
 estetica  e  culturale,  ma  come  ambiente  naturale  in senso lato,
 tutelato anche (e soprattutto) in vista della conservazione di  tutte
 le sue componenti bionaturalistiche.
     Ora,  il  fatto di prevedere la esclusione di punibilita' per chi
 abbia effettuato lo  stoccaggio  provvisorio  di  rifiuti  tossici  e
 nocivi,  appare  invece  incompatibile  con  la tutela dell'ambiente,
 proprio perche' con una simile previsione  si  attua  in  pratica  la
 rinuncia,  da  parte  dello  Stato,  a perseguire condotte che per la
 particolare  pericolosita'  dei  rifiuti  cui  si  riferiscono   sono
 suscettibili di determinare gravi situazioni di degrado ambientale.
    E  sotto questo stesso profilo, la disciplina in questione si pone
 pure in contrasto con l'art. 32 della Costituzione, se  e'  vero  che
 nel  concetto  di  tutela  del  diritto  alla  salute  non  puo'  non
 ricomprendersi  anche  il  diritto  alla   salubrita'   dell'ambiente
 naturale   ed   urbano   in   cui   il  cittadino  vive  (cosi'  come
 autorevolmente riaffermato dalla Cassazione, a sezioni  unite,  nella
 ben  nota  decisione n. 517/1979, e dalla stessa Corte costituzionale
 nelle pronunce n. 641/1987 e n. 127/1990).
    Se infatti si fa cadere, in sede  di  decretazione  d'urgenza,  la
 possibilita'  di  un  intervento  punitivo,  dall'indubbio  carattere
 deterrente, in relazione a condotte aventi ad oggetto lo  smaltimento
 di  determinati  rifiuti, anche potenzialmente pericolosi, si vengono
 di fatto a creare le condizioni per l'espandersi di un  fenomeno  che
 non  puo'  che  produrre  in  via  diretta  un danno irreparabile per
 l'ambiente, con conseguente grave pregiudizio anche per la  salute  e
 la salubrita' pubblica.
    Quanto  poi  all'art. 10 della Costituzione, che impone allo Stato
 italiano di conformarsi alle norme del diritto  internazionale,  esso
 appare ampiamente violato dalla normativa della cui costituzionalita'
 si discute, posto che essa non pare affatto adeguarsi alle principali
 norme  comunitarie  dettate  in materia di rifiuti, ed in particolare
 alla direttiva CEE n. 156 del 18 marzo 1991,  che  ha  modificato  la
 fondamentale direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti.
    Tale direttiva, infatti, nel prevedere in via generale (agli artt.
 9  e 10) la necessita' dell'autorizzazione per tutti gli stabilimenti
 ed imprese che effettuino operazioni di  smaltimento  di  rifiuti,  e
 nello  stabilire  altresi'  la possibile deroga a tale disciplina, in
 presenza di determinate condizioni espressamente previste, fa in ogni
 caso salvo il disposto della direttiva 78/319/CEE del Consiglio,  del
 20 marzo 1978, relativa ai rifiuti tossici e nocivi.
    E  poiche'  quest'ultima  normativa  comunitaria  - alla quale, e'
 appena il caso di ricordare, e'  stata  data  attuazione  nel  nostro
 Paese   con   il   d.P.R.   n.   915/1982  -  impone  necessariamente
 l'autorizzazione per ogni singola fase dell'attivita' di  smaltimento
 di  questa particolare categoria di rifiuti, il contrasto rispetto ad
 essa dei piu' volte richiamati artt. 12, quarto comma, e 15 del d.-l.
 n. 3/1995 appare in tutta la sua evidenza.
    Infine, un ulteriore profilo di  illegittimita'  della  disciplina
 esaminata si pone in rapporto agli artt. 25 e 77 della Costituzione.
    Il  fondamentale  principio di riserva di legge in materia penale,
 posto  dalla  prima  delle  norme  costituzionali  indicate,  implica
 infatti, a parere di chi scrive, una riserva delle scelte di politica
 criminale  (sia  relative  alla introduzione di nuove incriminazioni,
 sia,  come  nel  caso  di  specie,  relative  alla  esclusione  della
 rilevanza   penale   di   determinate  condotte)  alla  volonta'  del
 Parlamento, unico organo che sia diretta espressione della sovranita'
 popolare e che garantisca nel contempo il controllo  da  parte  delle
 minoranze.
    Pur   se   discutibile,   l'introduzione  di  nuove  norme  penali
 attraverso  la  decretazione  d'urgenza  deve   dunque   considerarsi
 ammissibile  solo  quando  sia  comunque  assicurato l'intervento del
 Parlamento in posizione sovraordinata, quando questo abbia  cioe'  la
 effettiva   possibilita'   di   conferire  stabilita'  e  durevolezza
 (oltreche' -  e  fondamentalmente  -  la  necessaria  certezza)  alle
 disposizioni   normative   introdotte  in  via  precaria,  attraverso
 l'esercizio dei propri poteri di conversione.
    Nella materia che ci occupa, al contrario, essendosi verificato un
 inquietante fenomeno di reiterazione  dei  decreti-legge,  si  e'  di
 fatto  spodestato l'organo parlamentare del monopolio a legiferare in
 maniera esclusiva nell'ambito penale, con assunzione,  da  parte  del
 Governo,  di  esorbitanti  poteri  di  bilanciamento e di valutazione
 degli interessi in gioco.
    Non pare poi si possa trascurare un ulteriore elemento, e cioe' la
 insussistenza  di  una  delle  condizioni   fondamentali   -   quella
 dell'urgenza  -  che  legittimano  il  Governo ad emanare decreti con
 valore di legge ordinaria, a mente dell'art. 77  della  Costituzione:
 infatti,  quale urgenza puo' mai ravvisarsi nell'adozione di decreti-
 legge che vengono ripresentati, perche' non convertiti in  legge  nei
 termini, per oltre un anno, a partire dal novembre 1993?