ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 12, commi  2  e
 3, della legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone
 montane),  promosso  con  ricorsi  delle Regioni Lombardia e Abruzzo,
 notificati il 10 e 11 marzo 1994, depositati in cancelleria il  16  e
 21 marzo 1994 ed iscritti ai nn. 27 e 28 del registro ricorsi 1994;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 4 aprile 1995 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi gli avv.ti Giuseppe Franco Ferrari per la Regione  Lombardia
 e  Adriano  Rossi  per  la  Regione Abruzzo e l'avv. dello Stato Pier
 Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.1. -  Con  ricorso  notificato  il  10  marzo  1994  la  Regione
 Lombardia  ha  promosso,  in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 42, 97,
 115, 117  e  118  Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 12, commi 2 e 3, della legge 31 gennaio 1994, n. 97. L'art.
 12,   comma   2,  prevede  che  "nei  comuni  montani  i  decreti  di
 espropriazione per opere pubbliche o  di  pubblica  utilita',  per  i
 quali  i  soggetti  espropriati  abbiano  ottenuto,  ove  necessario,
 l'autorizzazione di cui all'articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n.
 1497, e quella del Ministero dell'ambiente, determinano la cessazione
 degli  usi  civici  eventualmente  gravanti  sui  beni   oggetto   di
 espropriazione".
    Il  comma  3  soggiunge:  "Il  diritto  a  compensi, eventualmente
 spettanti  ai  fruitori  degli  usi  civici  sui  beni   espropriati,
 determinati   dal  Commissario  agli  usi  civici,  e'  fatto  valere
 sull'indennita' di espropriazione".
    1.2. - A giudizio della ricorrente la prima di  tali  disposizioni
 lede   in   primo   luogo  le  competenze  regionali  in  materia  di
 "agricoltura  e  foreste",  della  quale  gli  usi  civici  sono  una
 submateria, come si desume dall'art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.
 616, e piu' volte ha riconosciuto questa Corte (cfr. sentenze nn. 221
 del  1992,  511  del  1991  e 511 del 1988). Dalla gestione di questa
 materia "sono conseguentemente escluse tutte  le  autorita'  statali,
 tanto  e'  vero  che  gli stessi commissari liquidatori mantengono le
 sole competenze di carattere giurisdizionale".
    In secondo  luogo,  la  norma  impugnata,  in  quanto  prevede  la
 cessazione  degli  usi  civici  gravanti  sui  beni espropriati quale
 effetto automatico dei decreti di espropriazione, rovescia  l'assetto
 normativo previgente, costituito dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766,
 e  dalla  legislazione regionale, secondo cui la cessazione degli usi
 civici e' l'atto finale di un complesso procedimento di  liquidazione
 o  di  affrancazione,  del  quale  i vari organi regionali competenti
 devono, ciascuno per la sua parte, valutare l'opportunita'  anche  in
 relazione  alla  tutela  dell'ambiente  e  le  contropartite. Sicche'
 l'automatismo introdotto  dalla  legge  censurata,  estromettendo  la
 Regione  dalla  valutazione dei motivi che dovrebbero giustificare la
 cessazione  degli   usi   civici,   oltre   a   sovvertire   l'ordine
 costituzionale   delle  competenze  regionali,  violerebbe  anche  il
 principio di  buon  andamento  dell'amministrazione,  coordinato  col
 principio   di   razionalita',   nonche'   il  valore  costituzionale
 dell'ambiente tutelato dagli artt. 9 e 32 della Costituzione.
    In proposito e' invocata la sentenza  n.  393  del  1992,  che  ha
 dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale   dello  strumento  di
 intervento  urbanistico  -   denominato   "programma   integrato   di
 intervento"  - in ragione dell'automatismo degli effetti prodotti dal
 programma, il quale, da un lato, mortificava le competenze  regionali
 in  materia  di governo del territorio, dall'altro ledeva l'interesse
 generale a un uso razionale del territorio.
    1.3. - Quanto all'art. 12, comma 3, della legge n. 97 del 1994, la
 Regione  ricorrente  lamenta  che  e' stata ripristinata una funzione
 amministrativa del Commissario  "in  palese  violazione  del  vigente
 ordine   di   competenze  costituzionalmente  garantito".  Oltre  che
 contraria agli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione, la  norma  e'
 ritenuta lesiva anche dagli artt. 42, terzo comma, e 97, primo comma,
 della  Costituzione,  perche'  la  determinazione  dei compensi viene
 affidata  a  un  organo  "privo  delle  necessarie  competenze"   per
 stabilire   una   misura  congrua  degli  indennizzi,  senza  nemmeno
 prevedere che essa preceda la definitiva adozione  del  provvedimento
 di espropriazione.
    1.4.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale si e'
 costituito il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato
 dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.
    Ad  avviso  dell'Avvocatura, le censure rivolte all'art. 12, comma
 2, non appaiono fondate alla luce  di  una  corretta  interpretazione
 della  norma che, anziche' arrestarsi al dato letterale del testo, ne
 approfondisca la reale portata e ne valuti  gli  effetti  nell'ambito
 del  contesto  generale  nel  quale  essa  e' destinata a operare. Il
 decreto di espropriazione di terreni montani gravati  da  diritti  di
 uso  civico presuppone lo svolgimento di procedure amministrative, le
 quali implicano verifiche e apprezzamenti, in sede  di  dichiarazione
 di  pubblica  utilita' o di approvazione del progetto, che consentono
 di tenere conto di tutti gli interessi pubblici connessi.
    Per le opere che non sono di interesse nazionale le regioni  hanno
 un ruolo determinante nell'ambito dei suddetti procedimenti; ma anche
 per  le  opere  di  interesse  nazionale  esse  intervengono  in modo
 decisivo proprio in tema di localizzazione dell'opera, soprattutto in
 riferimento alla conformita' urbanistica e agli  altri  strumenti  di
 pianificazione del territorio.
    D'altra parte la legge n. 97 non trascura la tutela ambientale dei
 territori  montani,  cui  va  raccordato  il  valore  essenziale  che
 attualmente rivestono gli usi civici. L'art. 7 della  legge  orienta,
 infatti,  a tale fine i piani pluriennali previsti dall'art. 29 della
 legge n. 142/1990, i quali, benche' affidati alle Comunita'  montane,
 "rientrano  a  pieno  titolo in un quadro di governo regionale" (cfr.
 sentenza n. 343/1991).
    L'introdotto  automatismo  dell'affrancazione  dei   terreni   dai
 diritti   di   uso   civico   si   colloca  piu'  sul  piano  di  una
 semplificazione  procedurale  che  non  su  quello  della  disciplina
 sostanziale, e comunque non esclude il controllo regionale ne' menoma
 le prerogative delle regioni.
    1.5.  -  In  prossimita'  dell'udienza di discussione, entrambe le
 parti hanno depositato memorie integrative e di replica.
    La Regione ricorrente si preoccupa specialmente di ribadire che le
 norme impugnate incidono, restringendole, sulle  funzioni  trasferite
 alla Regione ai sensi dell'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, non su
 quelle  semplicemente  delegate  ai  sensi  dell'art.  82,  cosi' che
 contrariamente a quanto sostiene  l'Avvocatura,  nessun  argomento  a
 giustificazione  dell'art.  12,  comma 3, della legge n. 97 del 1994,
 attributivo  al  Commissario  della  competenza  a  determinare   dei
 compensi  per gli usi cessati, potrebbe trarsi dalla recente sentenza
 n. 46/1995,  relativamente  all'art.  11,  comma  5,  della  legge  5
 dicembre 1991, n. 394, in materia di parchi nazionali.
    2.1. - Analoga questione, limitatamente pero' al comma 3 dell'art.
 12 della legge n. 97 del 1994 e' stata sollevata, in riferimento agli
 artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Abruzzo con ricorso
 depositato il 21 marzo 1994.
    Premesso  che  "l'art.  12,  comma 2, ha innovato nella disciplina
 precedente secondo la quale l'espropriazione non  poteva  intervenire
 se  non  dopo  la  sdemanializzazione",  la  ricorrente  contesta  la
 legittimita' costituzionale dell'attribuzione  al  Commissario  della
 funzione  amministrativa  di determinazione dei compensi spettanti ai
 titolari dei diritti d'uso civico automaticamente estinti per effetto
 dei decreti di espropriazione.
    2.2. - Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituito  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato
 dall'Avvocatura dello Stato, con atto di contenuto identico a  quello
 depositato   nel   primo   giudizio.   In   una   memoria  depositata
 nell'imminenza dell'udienza di  discussione,  la  Regione  ricorrente
 replica  che "appare evidente come non vi sia congruenza tra i motivi
 di impugnativa dell'ente regionale e quanto  sostenuto  nell'atto  di
 intervento"  del  Presidente  del Consiglio, non essendo impugnato il
 comma 2 dell'art. 12.
                        Considerato in diritto
    1. - Con ricorso depositato il 16 marzo 1994 la Regione  Lombardia
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale:
       a) in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 97, 115, 117 e 118 della
 Costituzione,  dell'art. 12, comma 2, della legge 31 gennaio 1994, n.
 97,  il  quale  prevede  che  "nei  comuni  montani  i   decreti   di
 espropriazione  per  opere  pubbliche  o  di pubblica utilita', per i
 quali  i  soggetti  espropriati  abbiano  ottenuto,  ove  necessario,
 l'autorizzazione di cui all'articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n.
 1497, e quella del Ministero dell'ambiente, determinano la cessazione
 degli   usi   civici  eventualmente  gravanti  sui  beni  oggetto  di
 espropriazione";
       b) in riferimento agli artt. 42,  97,  115,  117  e  118  della
 Costituzione,  dell'art.  12, comma 3, della legge medesima, il quale
 dispone che  "il  diritto  a  compensi,  eventualmente  spettanti  ai
 fruitori  degli  usi  civici  sui  beni  espropriati, determinati dal
 Commissario agli usi  civici,  e'  fatto  valere  sull'indennita'  di
 espropriazione".
    Il  solo  comma  3 dell'art. 12 e' stato impugnato, in riferimento
 agli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche dalla Regione  Abruzzo
 con ricorso depositato il 21 marzo 1994.
    2.  -  Considerato  l'oggetto parzialmente identico, i due giudizi
 possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
    3.1. -  La  questione  sub  a)  e'  fondata  nei  limiti  appresso
 spiegati.
    Nel  disporre  che,  nei  casi  e  alle condizioni ivi previste, i
 decreti di espropriazione determinano l'estinzione dei diritti di uso
 civico eventualmente gravanti sui beni espropriati, l'art. 12,  comma
 2,  della  legge  per  le  zone montane non si limita ad applicare il
 principio generale dell'art. 52, secondo comma, della legge 25 giugno
 1965, n. 2359 (riferibile anche ai diritti di uso civico: arg.  artt.
 3  del  r.d.l.  11  novembre 1938, n. 1834, e 9 della legge 12 maggio
 1950,  n.  230),   ma   assume   un   significato   piu'   pregnante.
 L'espropriazione  per  opere  pubbliche  o  di  pubblica  utilita' di
 terreni situati in comuni montani  e  gravati  da  usi  civici  viene
 esonerata  dal  presupposto della preventiva assegnazione a categoria
 dei beni espropriandi, ai sensi dell'art. 11 della legge n. 1766  del
 1927, e altresi' - se si accede all'opinione, sostenuta dalla Regione
 ricorrente,  che  richiede  anche  per  l'espropriazione per pubblica
 utilita' la condizione della c.d. sdemanializzazione - dal  requisito
 dell'autorizzazione regionale di cui al successivo art. 12, comma 2.
    Di questa riduzione delle proprie competenze la Regione ricorrente
 non  puo' dolersi, ne' con riguardo all'art. 66 del d.P.R. n. 616 del
 1977, perche' lo Stato conserva il potere di modificare,  derogare  o
 abrogare  le fonti legislative statali delle funzioni trasferite alle
 Regioni, ne' in  riferimento  al  principio  di  ragionevolezza,  dal
 momento  che la norma impugnata e' coerente con lo scopo fondamentale
 della  legge  in  cui  e'  inserita,  provvedendo  a  semplificare  e
 accelerare  le procedure amministrative per la realizzazione di opere
 pubbliche necessarie alla salvaguardia e  alla  valorizzazione  delle
 zone  montane,  anche  sotto  il  profilo delle qualita' ambientali a
 norma degli artt. 1, comma 4, e 7 della legge n. 97.  Ne',  infine  -
 trattandosi di una legge-quadro che detta nuovi principi fondamentali
 vincolanti  per  le  regioni - la ricorrente puo' trarre argomento di
 censura dal fatto di essere costretta a rivedere in qualche misura la
 propria legislazione in materia.
    3.2. - Giustamente, invece, la Regione Lombardia lamenta di essere
 "del tutto estromessa dalla valutazione  dei  motivi  che  dovrebbero
 giustificare  la  cessazione  degli  usi civici". Tale esclusione non
 solo si discosta dal d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, che  tiene  conto
 delle  competenze  regionali  in  materia  urbanistica, ammettendo la
 Regione a  partecipare  all'accertamento  di  conformita'  dell'opera
 pubblica   statale   alle   prescrizioni  delle  norme  e  dei  piani
 urbanistici ed edilizi, ma determina anche una irrazionalita' interna
 alla legge n. 97 del 1994  contraddicendo  l'art.  1,  comma  5,  che
 chiama  le regioni a concorrere alla tutela e alla valorizzazione dei
 territori montani.
    L'art.  12,  comma  2,  implica  una  ponderazione  dell'interesse
 pubblico   alla   costruzione  di  un'opera  ordinata  allo  sviluppo
 economico  del  territorio  montano  con   l'opposto   interesse   al
 mantenimento  degli usi civici quali strumenti di conservazione della
 forma  originaria  del  territorio,  e  quindi  strumenti  di  tutela
 dell'ambiente.  L'organo statale investito della domanda di esproprio
 non puo' compiere tale valutazione  con  piena  cognizione  di  causa
 senza avere sentito il parere della Regione interessata, cosi' che la
 norma   impugnata   deve   essere   integrata  con  questo  requisito
 procedurale.
    4. - E' fondata anche la seconda questione.
    Poiche' nel procedimento di espropriazione per  pubblica  utilita'
 il  decreto  di  esproprio  produce  gli  effetti  della procedura di
 liquidazione  disciplinata  dalla  legge  sugli  usi  civici,  e'  da
 ritenere  che  i compensi previsti dall'art. 12, comma 3, della legge
 n. 97 del 1994 in favore dei titolari  dei  cessati  diritti  di  uso
 civico  corrispondano  al compenso in natura (c.d. scorporo) previsto
 dagli artt. 5 e 6 della legge n. 1766 del 1927 ed ora rientrante  tra
 le   funzioni   trasferite   alle   Regioni.   Dovendo  farsi  valere
 sull'indennita' di espropriazione,  esso  deve  essere  tradotto  nel
 controvalore in denaro e proporzionato all'entita' dell'indennizzo.
    Percio'  la  sottrazione  della  determinazione  dei compensi alla
 competenza regionale appare contraria al principio di buon  andamento
 dell'amministrazione  (art.  97,  primo  comma,  della Costituzione),
 considerato che su questo punto l'assetto  delle  competenze  fissato
 dall'art.  66  del  d.P.R. n. 616 del 1977, in attuazione degli artt.
 117 e 118 della Costituzione, viene  modificato  limitatamente  a  un
 caso  singolo, che non presenta peculiarita' tali da giustificare una
 deroga  al  criterio  generale  di  attribuzione  della  funzione  di
 valutazione in denaro degli usi civici.
    Nessun parallelismo puo' instaurarsi con l'art. 11, comma 5, della
 legge  6  dicembre 1991, n. 394, sulle aree protette, concernente una
 materia, i parchi nazionali, per la quale le funzioni  relative  agli
 usi  civici  esistenti su terreni inclusi nei parchi - soltanto dele-
 gate alle regioni ai sensi dell'art. 82 del d.P.R. n. 616, modificato
 dalla legge 8  agosto  1985,  n.  431  -  sono  state  restituite  ai
 commissari  ai  fini  del procedimento normale di liquidazione, senza
 alcuna connessione con procedimenti di  espropriazione  per  pubblica
 utilita'.
    Resta assorbita la censura riferita all'art. 42 Cost.