LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 11362/93 presentato il 12 giugno 1993 (avverso: manc/min. rimb., assente - Imp. str. dep.) dall'Ifigest S.p.a., liquidatore Iannuzzi Alvaro, residente a Roma, assente, contro l'Intendenza di finanza di Roma, via del Clementino. OGGETTO DELLA DOMANDA, SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ritualmente depositato, la societa' Ifigest, in liquidazione, rappresentata e difesa dal prof. Claudio Fagioli, giusta procura in atti, ricorre, ai sensi dell'art. 16, ultimo comma, del d.P.R. n. 636/1972, avverso il silenzio-rifiuto della Intendenza di finanza di Roma, a provvedere sulla istanza di rimborso presentata il 5 marzo 1992. Deduce la ricorrente che la Banca Nazionale dell'Agricoltura ebbe ad effettuare in data 31 luglio 1992 (valuta del 15 settembre 1992), il pagamento dell'imposta straordinaria per L. 20.249.816, sul deposito di c/c n. 47081/C che essa societa' intrattiene presso il predetto istituto bancario. E' cio', in applicazione del disposto di cui al sesto e settimo comma dell'art. 7 della legge 8 agosto 1992, che ha convertito, con modificazioni, il d.-l. 11 luglio 1992, n. 333. Detta norma istituisce, infatti, una imposta straordinaria sull'ammontare dei depositi bancari, postali e presso istituti e sezioni per il credito a medio termine, conti correnti, depositi a risparmio e a termine, certificati di deposito, libretti e buoni fruttiferi da chiunque detenuti. Cosicche' gli istituti di credito e l'amministrazione postale sono tenuti ad operare, con obbligo di rivalsa nei confronti dei correntisti e depositanti, la ritenuta del sei per mille commisurata all'ammontare risultante dalle scritture contabili alla data del 9 luglio 1992; tale imposta e' versata poi all'erario con le modalita' di cui al comma secondo dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973. La societa' Ifigest nell'impugnare il silenzio-rifiuto opposto dalla Intendenza di finanza di Roma, in ordine alla domanda di rimborso, solleva eccezione di incostituzionalita' dell'art. 7 della legge n. 359/1992 - d.-l. n. 333/1992 per contrasto con gli artt. 3, 53 e 47 della Costituzione, assumendo la violazione dei principi fondamentali di equita' ed eguaglianza, capacita' contributiva, tutela del risparmio. In particolare, eccepisce la violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto l'imposta, di cui si controverte, andrebbe a colpire solo alcune forme di impiego del risparmio, rilevando a tal proposito che il principio di uguaglianza consentirebbe di emanare norme differenziate riguardo a situazioni diverse, purche' queste norme rispondano alla esigenza che la disparita' sia fondata su presupposti obiettivi. A suo dire, infatti, tale imposizione fiscale andrebbe a penalizzare le fasce di reddito medio base, le quali non hanno la possibilita' di utilizzare forme diversificate di impiego economico che presuppongono maggiori disponibilita' di denaro. La contribuente rileva, inoltre, che secondo l'interpretazione corrente dell'art. 53, comma primo, della Costituzione, a situazioni uguali debbono corrispondere uguali regimi impositivi e, di conseguenza, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale. Con riferimento, poi, all'art. 47 della Costituzione la parte afferma che il sesto comma dell'art. 7 della legge n. 359/1992 sarebbe in netto contrasto con il precetto costituzionale di incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme, poiche' si risolverebbe in un prelievo forzoso per una parte dei cittadini, piu' in particolare su patrimoni minimi, frutto di risparmio non altrimenti investibili. La Commissione ritenuta la opportunita' di pronunciarsi, innanzitutto, sulle eccezioni di incostituzionalita' sollevata dalla ricorrente, osserva che la contestata norma presenta le caratteristiche proprie di un'imposta sul patrimonio finanziario, e non su un effettivo reddito e viene, quindi, a gravare sia sulle attivita' che sulle passivita'. Il prelievo previsto da detta norma sembra, in effetti, aver inciso in maniera ampia su situazioni differenziate, discriminando le posizioni dei soggetti colpiti, cosi' da risultare una norma ispirata al principio di proporzionalita', piuttosto che a quello di progressivita'. In buona sostanza, ha colpito maggiormente i risparmi di minima e, comunque, contenuta entita', lasciando esenti patrimoni cospicui che, ragionevolmente, non vengono versati in depositi scarsamente fruttiferi, ma trovano diversi e certo piu' remunerativi investimenti. Ne' puo' porsi in dubbio che, in alcuni casi, l'imposta ha gravato su disponibilita' finanziarie contingenti, momentaneamente in transito e talvolta non appartenenti all'intestatario del deposito postale o bancario, cosi' andando ad incidere non sull'effettiva ricchezza, ma su temporanee liquidita', che, spesso, vengono sottoposte ad ulteriori tassazioni. Si pensi ad esempio ai mutui, ai rapporti fiduciari intersoggettivi, alle curatele fallimentari che hanno veste di realizzi solo al termine della copertura di passivita'. Ad avviso del Collegio la norma appare poi ulteriormente discriminante, laddove ha consentito soltanto ai possessori di scritture contabili di provare l'ammontare effettivo del saldo disponibile, esistente alla data del 9 luglio 1992 presso l'amministrazione postale o presso l'azienda o istituto di credito. Talche', il non aver concesso la possibilita' di ammissione alla prova contraria alla generalita' dei soggetti d'imposta, non puo' che accrescere gli elementi di disparita' tra i contribuenti. Alla luce delle esposte considerazioni, la Commissione ritiene, pertanto, non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate. E cio', per avere la norma de qua: 1) disatteso i principi di cui all'art. 3 della Costituzione per aver colpito in maniera uguale situazioni differenziate; 2) essere in contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto il prelievo fiscale ha inciso su saldi contabili astratti che non possono essere considerati espressione di capacita' contributiva, cosi' da risultare violato il principio di progressivita'; 3) essere palese il contrasto con l'art. 47 della Costituzione: la misura fiscale introdotta con il prelievo forzoso non sembra aver tutelato ne' incoraggiato il risparmio, ma se mai, ha generato sfiducia nel sistema inducendo i risparmiatori a maggiori cautele, sottraendo ricchezza dal circuito economico.