IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di sorveglianza relativo a Colaprico Claudio nato a Putignano il 17 gennaio 1961, ivi residente via Purgatorio n. 11, avente ad oggetto istanza di affidamento in prova al servizio sociale/semiliberta'. O S S E R V A Con ordinanza n. 474 del 15 dicembre 1994, la Corte costituzionale ha disposto la restituzione degli atti a questo tribunale, perche' riesamini la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale sollevata con ordinanza T.S. Bari n. 878 del 17 marzo 1994 (relativa ad istanza di affidamento al C.S.S.A. o in subordine di semiliberta', presentata dal Colaprico) tenendo conto di quanto stabilito con la sentenza della Corte costituzionale n. 357/1994 nelle more emanata. In questa pronuncia, com'e' noto, la Corte ha sancito la possibilita' di accesso alle misure alternative alla detenzione (diverse dalla liberazione anticipata) da parte di quei condannati per reati c.d. ostantivi (artt. 416-bis e 630 del c.p., art. 74, d.P.R. n. 309/1990) che per la limitata partecipazione al fatto criminoso, come accertata nella sentenza di condanna, non siano obiettivamente in grado di prestare un'utile collaborazione con la giustizia (e sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l'attualita' di collegamenti del condannato con la criminalita' organizzata). In merito alla particolare posizione del Colaprico, la Corte ha ritenuto che non potesse escludersi l'incidenza su di essa di tale decisione, vuoi per la rottura dei collegamenti del soggetto con il sodalizio criminoso di cui faceva parte (associazione c.d. "La Rosa", gia' accertata da questo tribunale (v. ordinanza n. 878 cit.), vuoi per la modesta entita' della pena inflittagli (anni 2, mesi 4 di reclusione) in rapporto al titolo del reato accertato (art. 416-bis, del c.p.). Osserva il collegio che la considerazione della misura della pena irrogata, seppure questa possa in astratto rapportarsi all'importanza maggiore o minore del ruolo che il condannato abbia ricoperto nel fatto (associativo) criminoso, non puo' per se stessa consentire il superamento delle preclusioni stabilite dalla legge, in punto di accesso ai regimi alternativi alla detenzione, a prescindere, cioe', dalla verifica positiva che comunque l'interessato, per la propria posizione marginale, non fosse (o non sia) in possesso di conoscenze utili all'attivita' dell'Autorita' giudiziaria o di polizia. In altri termini, la deroga alla normativa "di rigore" non e' accordata per il sol fatto che l'interessato abbia commesso un fatto meno grave sul piano concreto (e quindi abbia meritato una pena piu' lieve), ne' per il sol fatto che abbia in seguito troncato i propri rapporti con il solidalizio criminoso modificando il modus vivendi, ma unicamente allorche' la definitiva rottura di ogni possibile legame con la criminalita' organizzata sia, per cosi' dire, "consacrata", in quanto resa irreversibile, dall'attivita' di collaborazione con la giustizia (v. sent. 257/94 cit.). E la collaborazione, ancorche' "oggettivamente irrilevante" non e' piu' richiesta nel solo caso in cui sia obiettivamente inesigibile, in quanto, per esempio, "la posizione marginale (del condannato) nell'organizzazione non consente di conoscere fatti e compartecipi pertinenti al livello superiore" (v. sent. 357 pag. 8). Il Colaprico Claudio, secondo quanto accertato dai giudici della cognizione, non era figura secondaria nell'associazione "La Rosa", marginale al punto da non conoscere altri componenti ovvero da dover ignorare quanto di delittuoso essa andava via via perpetrando. Intanto va precisato che la pena inflittagli, ridotta in appello cosi' come ad altri imputati, ha raggiunto la determinazione finale grazie all'applicazione dell'art. 442 del c.p.p. Al condannato non sono state "accordate" neppure le attenuanti generiche, "sia per la gravita' del reato e per i precedenti penali", "sia soprattutto, per la sua condotta di vita persistentemente illegale, oziosa e senza remore morali" (v. sentenza di condanna, pag. 332). Inoltre, si evince dalla lettura della sentenza, egli fu tra quei personaggi ("il gruppo di Putignano") che aderirono certamente sin dai primi tempi alla associazione fondata dal Romano Oronzo ("La Rosa", da Romano Oronzo Societa' Anonima, v. sent., pag. 284). Il Colaprico al pari del Sicoli, del D'Aprile, del D'Onghia e di altri giovani pregiudicati di Putignano, tutti funzionalmente e operativamente alle dipendenze del Dalena e del Dentice, formarono un gruppo omogeneo di camorristi, spregiudicati e decisi a compiere qualsiasi azione criminosa ordinata dai due capi gruppo, in perfetta sintonia con le decisioni del piu' alto in grado, padre-padrino del sodalizio "La Rosa" (sent. pag. 329). Lo si vede chiaramente coinvolto nell'omicidio di Santostasi Ottavio e di altri fatti di sangue commessi negli ultimi mesi del 1986 nel territorio di Monopoli (sent. pag. 329). Il Colaprico stesso, sentito a sommarie informazioni, non ha esitato a far intendere la sua appartenenza alla organizzazione del Romano (v. sent. pag. 331). Ed ancora: "nel marzo 1988 i Carabinieri di Monopoli hanno segnalato che il Colaprico era solito accompagnarsi al Dalena, al Dentice e al D'Onghia" (i primi due tra i capi dell'organizzazione; v. sent. pag. 331); "nel maggio 1987 i C.C. di Putignano hanno sorpreso e fermato il Colaprico in compagnia del D'onghia e alla guida di una Volvo 760 tg. BA 921230 intestata a Romano Annunziata, sorella di Oronzo" (sent. pag. 332). Secondo alcune deposizioni, il Colaprico avrebbe partecipato ad un incontro conviviale presso la discoteca Xanadu del coimputato Posa Vito Donato, cui avrebbero preso parte anche i capi dell'organizzazione, oltre a malavitosi esterni di rilievo. Tutti i partecipanti si sarebbero scambiati il "rituale" bacio sulla bocca. In conclusione, secondo i giudici della cognizione, "non puo' minimamente revocarsi in dubbio che anche il Colaprico sia stato pienamente ed attivamente integrato nella cosca para-mafiosa capeggiata da Romano Oronzo" (sent. pag. 332). Non puo', alla luce di questi dati, ragionevolmente presumersi che il condannato non potesse, per difetto d'informazione, contribuire in modo anche significativo all'attivita' d'indagine ovvero a quella processuale svolta per la vicenda di che trattasi; pertanto non e' applicabile alla sua posizione il principio introdotto con la sentenza n. 357 della Corte costituzionale. Va confermata la rilevanza della questione di legittimita' sollevata con la ordinanza n. 878/1994 di questo tribunale, che deve intendersi qui come integralmente richiamata. Gli atti vanno conseguentemente trasmessi nuovamente alla Corte perche' decida nel merito.