ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 2, primo
 comma, e 3 della legge della Regione Lombardia 7 giugno 1980,  n.  93
 (Norme  in materia di edificazione nelle zone agricole), promosso con
 ordinanza emessa il  27  maggio  1993  dal  Tribunale  amministrativo
 regionale  per  la  Lombardia  su ricorso proposto da Cantu' Ercole e
 altri contro il Comune di Vimercate e altri, iscritta al n.  428  del
 registro  ordinanze  1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto di intervento della Regione Lombardia;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 20 aprile 1995 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da Ercole Cantu' e
 altri  per  ottenere  l'annullamento  di  una  concessione   edilizia
 rilasciata dal Comune di Vimercate all'associazione "Centro ippico La
 Corte"   per   la  costruzione  di  box  per  cavalli,  il  Tribunale
 amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  in  riferimento agli artt. 3, 5, 117 e
 128 della Costituzione, nei confronti degli artt. 2, primo comma, e 3
 della legge della Regione Lombardia 7 giugno 1980, n.  93  (Norme  in
 materia  di  edificazione nelle zone agricole), nella parte in cui la
 realizzazione di opere non destinate alla residenza e' subordinata al
 possesso   di   particolari   requisiti   soggettivi   (qualita'   di
 imprenditore  agricolo  o di figure assimilate) e all'accertamento di
 un collegamento funzionale delle  opere  stesse  con  l'attivita'  di
 agricoltura;
      che,  secondo  il giudice a quo, la rilevanza della questione e'
 dimostrata dal rilievo che egli dovrebbe annullare il rilascio  della
 concessione   in   esame,  a  meno  che  questa  Corte  non  dichiari
 l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni contestate;
      che, quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
 osserva   che   le   disposizioni   impugnate,   essendo   dirette  a
 regolamentare la concreta utilizzazione  delle  opere  (jus  utendi),
 quale emerge, non gia' dalle caratteristiche strutturali delle opere,
 ma  da  fattori  irrilevanti  sotto  il  profilo urbanistico, oltre a
 esorbitare dalla materia "urbanistica",  attribuita  alla  competenza
 legislativa  regionale,  violano,  per  un  verso, l'art. 3 e, per un
 altro, l'art. 117  della  Costituzione,  per  il  fatto  che,  mentre
 discriminano irragionevolmente la posizione di chi svolge l'attivita'
 agricola  in modo professionale o principale rispetto a quella di chi
 non l'esercita, ledono i principi desumibili dalle norme statali  (in
 particolare:  l'art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e gli artt.
 7, 8 e 25 della legge 28 febbraio  1985,  n.  47),  alla  luce  della
 giurisprudenza  costituzionale  che  afferma  l'irrilevanza,  a  fini
 urbanistici, delle concrete modalita' di utilizzazione dell'immobile;
     che, sempre secondo il giudice a quo, le disposizioni  impugnate,
 predeterminando  rigidamente  gli strumenti urbanistici e vietando ai
 comuni  di  consentire  interventi  non   contemplati   dalla   legge
 regionale, violano altresi' gli artt. 5 e 128 della Costituzione;
      che e' intervenuta in giudizio la Regione Lombardia per chiedere
 che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate;
      che, secondo la Regione, le disposizioni impugnate, introducendo
 un'eccezione  alla  regola  generale  di  divieto  dell'utilizzazione
 edilizia  dei  territori  agricoli  ad  esclusivo  beneficio  di  una
 limitata  tipologia  di  opere,  previa  richiesta di una particolare
 categoria  di  soggetti   operanti   nell'ambito   di   una   realta'
 imprenditoriale  agricola,  contengono  una  disciplina  basata sulla
 distinzione  oggettiva  tra  le   opere,   considerate   nelle   loro
 caratteristiche  tipologiche  e  nel loro rapporto con il territorio,
 come  si  conviene  a  una  disciplina  legislativa  in  materia   di
 urbanistica;
      che,  sempre  secondo  la  Regione,  gli  artt.  3  e  117 della
 Costituzione  non  sembrano  affatto   violati   dalle   disposizioni
 impugnate,  sia  perche'  il  riferimento,  in  queste,  ai requisiti
 soggettivi rappresenta un necessario  strumento  di  selezione  degli
 interventi  in  considerazione  della  ratio  della  legge, diretta a
 salvaguardare lo spazio da destinarsi all'agricoltura di fronte  alla
 crescente presenza di strutture edilizie residenziali, sia perche' il
 diverso  trattamento,  nell'ambito dello stesso tipo di zona, tra chi
 e' imprenditore agricolo e chi non lo e' trova riscontro in  numerose
 leggi  statali  e,  in particolare, nell'art. 9 della legge n. 10 del
 1977;
      che, infine, ad avviso  della  Regione,  le  pretese  violazioni
 degli  artt.  5  e  128  della Costituzione, oltreche' manifestamente
 infondate, poiche'  e'  evidente  che  le  leggi  urbanistiche  hanno
 proprio  l'effetto  di  non  consentire  ai comuni gli interventi non
 contemplati dalle  leggi  stesse,  sono  inammissibili  per  assoluto
 difetto   di   motivazione,  come  pure  inammissibili  appaiono,  in
 subordine, tutte le censure, essendo dirette a un indebito  sindacato
 sulle scelte discrezionali del legislatore regionale;
      che,  in  prossimita'  della  camera  di  consiglio,  la Regione
 Lombardia  ha  depositato  un'ulteriore  memoria,  nella   quale   si
 ribadiscono    gli    argomenti   a   favore   della   richiesta   di
 inammissibilita' o di infondatezza delle questioni sollevate;
    Considerato che gli artt. 2, primo comma, e 3  della  legge  della
 Regione  Lombardia  n. 93 del 1980, oggetto di contestazione da parte
 del  giudice  a  quo,  sono  frutto  di  un'insidacabile  scelta  del
 legislatore  regionale,  diretta  a limitare l'utilizzazione edilizia
 dei territori agricoli e a frenare  il  processo  di  erosione  dello
 spazio  destinato  alle  colture, scelta che ha il proprio fondamento
 nell'art. 44 della Costituzione, il quale, "al fine di conseguire  il
 razionale  sfruttamento  del  suolo  e  di  stabilire  equi  rapporti
 sociali", facoltizza il legislatore, anche regionale,  a  predisporre
 aiuti e sostegni all'impresa agricola e alla proprieta' coltivatrice;
      che,  rispetto a tale ratio legislativa, non puo' essere affatto
 considerata  un'irragionevole  discriminazione,  lesiva  dell'art.  3
 della  Costituzione, la subordinazione del rilascio della concessione
 edilizia sia al possesso della qualita' di imprenditore agricolo o di
 altra figura assimilata,  sia  all'accertamento  di  un  collegamento
 funzionale  dell'opera  con  l'attivita'  agricola,  essendo elementi
 volti  a  denotare  la  destinazione  effettiva  delle   opere   alla
 conduzione del fondo o, in genere, alla attivita' di agricoltura;
      che,  inoltre,  del  pari  manifestamente  infondata  risulta la
 pretesa violazione dell'art. 117 della Costituzione sotto il  profilo
 della  lesione  dei  principi  fondamentali  desumibili  dalle  leggi
 statali in materia urbanistica, poiche', come questa  Corte  ha  gia'
 avuto modo di affermare (v. ordinanze nn. 714 e 709 del 1988), mentre
 rientra  nei poteri del legislatore in tema di disciplina urbanistica
 sottoporre a un trattamento  differenziato  tanto  le  zone  agricole
 rispetto  ad  altre  zone,  quanto, all'interno della stessa zona, la
 posizione degli imprenditori agricoli o di  altre  figure  assimilate
 rispetto  a quella di soggetti diversi, nello stesso tempo l'indicata
 differenziazione e' saldamente stabilita  in  disposizioni  di  legge
 statale, segnatamente nell'art. 9 della legge 28 gennaio 1977, n. 10,
 recante  "Norme  per la edificabilita' dei suoli" (a nulla rilevando,
 invece, gli altri articoli di legge citati dal giudice a quo);
      che, infine, la previsione in una legge regionale dei requisiti,
 soggettivi  e  oggettivi, per il rilascio di una concessione edilizia
 in zona agricola non puo' essere minimamente considerata  lesiva  dei
 principi volti a garantire l'autonomia comunale, ai sensi degli artt.
 5 e 128 della Costituzione;
      che,  pertanto,  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
 sollevate dal giudice a quo devono  esser  dichiarate  manifestamente
 infondate;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;