LA CORTE DI CASSAZIONE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso proposto da
 Pietroni Paolo, elettivamente domiciliato in Roma, via Pier Luigi  da
 Palestrina,  n.  19  presso  lo  studio  dell'avv. Corso Bovio che lo
 difende in virtu' di procura in calce al ricorso, ricorrente,  contro
 il   Consiglio  nazionale  ordine  dei  giornalisti  in  persona  del
 presidente  pro-tempore  Giovanni Faustini, elettivamente domiciliato
 in Roma, viale Carso  n.  67  presso  lo  studio  dell'avv.  Vincenzo
 Falcucci  che lo difende insieme all'avv. Antonio Pandiscia in virtu'
 di procura  a  margine  del  controricorso,  controricorrente,  e  il
 Consiglio   regionale   ordine  dei  giornalisti  per  la  Lombardia,
 intimato, e il procuratore generale della Repubblica presso la  Corte
 d'appello  di  Milano,  intimato,  per  la  cassazione della sentenza
 emessa dalla Corte d'appello di Milano  il  24  novembre-18  dicembre
 1992;
    Sentita  la  relazione della causa svolta dal cons. dott. Cardillo
 nella pubblica udienza del 4 ottobre 1994;
    Udito  l'avv.  Bovio  difensore  del  ricorrente  che  ha  chiesto
 l'accoglimento del ricorso;
    Uditi   gli   avvocati   Pandiscia   e   Falcucci,  difensori  del
 controricorrente che hanno chiesto il rigetto del ricorso;
    Udito il p.m. in persona del sost. proc. gen. dott. Lugaro che  ha
 concluso  per il rigetto del primo e secondo motivo, accoglimento del
 terzo motivo, assorbiti gli altri.
                           RILEVATO IN FATTO
    Il  Consiglio  regionale  dell'ordine  dei  giornalisti   per   la
 Lombardia  inizio'  di  ufficio,  ai sensi dell'art. 48 della legge 3
 febbraio 1963, n. 69,  procedimento  disciplinare  nei  confronti  di
 Paolo  Pietroni, direttore di fatto di un supplemento settimanale del
 Corriere della Sera,  per  avere  ispirato  la  pubblicazione  di  un
 articolo  il  cui  contenuto  costituiva violazione della deontologia
 professionale sotto il profilo della commistione tra  informazione  e
 pubblicita'.
    A  conclusione del procedimento il Consiglio regionale inflisse al
 giornalista  la  sanzione  della  censura,  che  fu  confermata   dal
 Consiglio nazionale dell'ordine con deliberazione del 9 maggio 1991.
    Questa   deliberazione   fu  impugnata  dal  Pietroni  dinanzi  al
 tribunale di Milano che, in accoglimento  del  ricorso,  annullo'  la
 sanzione  inflitta  ritenendo  affetto  da  nullita'  il procedimento
 disciplinare dinanzi al Consiglio regionale nel quale il giornalista,
 nonostante ne avesse  fatto  richiesta,  non  era  stato  ammesso  ad
 assistere  e  partecipare, di persona o a mezzo di un difensore, alla
 raccolta delle prove a suo carico.
    La Corte d'appello  di  Milano,  pronunciando  sulla  impugnazione
 proposta  dal  Consiglio  nazionale  dell'ordine dei giornalisti, con
 sentenza del 24  novembre  1992  respinse  il  ricorso  del  Pietroni
 avverso il provvedimento sanzionatorio ritenendo, tra l'altro, che la
 natura  amministrativa  del  procedimento disciplinare non consentiva
 l'applicabilita' delle norme o  dei  principi  del  codice  di  rito,
 dovendosi solo garantire all'incolpato un effettivo diritto di difesa
 che  in  concreto  era  stato  assicurato al Pietroni con il deposito
 della trascrizione  di  tutte  le  testimonianze  assunte  e  con  la
 concessione di un termine per memorie.
    Il Pietroni ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell'art.
 65 della legge professionale, sulla base di sei motivi.
    Resiste il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti.
    Gli altri intimati non hanno svolto attivita' difensiva.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    Superate  le questioni preliminari, viene all'esame della Corte il
 terzo motivo con il quale il Pietroni censura la  sentenza  impugnata
 per avere ritenuto inesistente la denunziata violazione del principio
 del  contraddittorio  e  del  diritto di difesa, sostenendo l'art. 56
 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, non consentendo la partecipazione
 dell'incolpato o del suo difensore alla escussione  dei  testimoni  e
 alla raccolta delle altre prove nel procedimento disciplinare dinanzi
 al  Consiglio  regionale  dell'ordine, preclude l'effettivo esercizio
 del  diritto  di  difesa  e  discimina  il   giornalista   da   altri
 professionisti,  il  cui  ordinamento prevede persino che l'incolpato
 possa dedurre prova a discarico, ponendosi in contrasto  sia  con  il
 dettato   costituzionale  sia  con  la  Convenzione  europea  per  la
 salvaguardia dei diritti dell'uomo.
    Il   collegio   ritiene   che   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale,   posta   in  relazione  agli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione,  sia  rilevante,   dipendendo   dalla   sua   soluzione
 l'accoglimento   o   il   rigetto   del  motivo  di  ricorso,  e  non
 manifestamente infondata.
    L'art. 56 della legge n. 69 del 1963, che regola  il  procedimento
 disciplinare  dei  giornalisti,  dispone  che  il Consiglio regionale
 dell'ordine   deve   svolgere   un'attivita'    istruttoria,    volta
 all'acquisizione   di   sommarie  informazioni  e  alla  raccolta  di
 eventuali prove, senza alcuna  limitazione,  idonee  a  dimostrare  i
 fatti  che,  a norma dell'art. 48 della legge, costituiscono illeciti
 disciplinari, ma non consente che possa parteciparvi  il  giornalista
 interessato  perche' prevede che questo deve essere sentito nelle sue
 discolpe soltanto dopo il compimento e la  comunicazione  degli  atti
 istruttori e la formale contestazione dei fatti accertati.
    Non  puo'  dubitarsi  che,  potendo  l'attivita'  istruttoria  del
 Consiglio risolversi, come nel caso in esame, nell'interrogatorio  di
 persone  informate  dei fatti, all'indiziato di illecito disciplinare
 e' preclusa la possibilita' di contrastare la formazione delle  prove
 a  suo  carico  con la richiesta di chiarimenti o con la deduzione di
 testimoni a discarico, essendogli consentita la  difesa  soltanto  ex
 post  e  unicamente  con  dichiarazioni  verbali e con il deposito di
 documenti e memorie che non rendono completa l'attuazione del diritto
 di difesa.
    Invece  in  altri  ordinamenti  professionali  il  legislatore  ha
 predisposto  strumenti  che  tutelano compiutamente l'incolpato nella
 fase istruttoria del procedimento disciplinare.
    In particolare l'ordinamento forense approvato con r.d. 22 gennaio
 1934, n. 36 stabilisce (artt. 48-0) che con l'atto  introduttivo  del
 procedimento   deve  essere  comunicato  all'incolpato  l'elenco  dei
 testimoni a carico che saranno interrogati  con  assegnazione  di  un
 termine  entro  il  quale,  personalmente  o a mezzo di un difensore,
 possa  prendere  visione  degli  atti  del   procedimento,   proporre
 deduzioni  e  indicare  testimoni  a  discarico,  e dispone che nella
 seduta fissata per l'assuzione dei testimoni la raccolta delle  prove
 avviene  alla  presenza  dell'incolpato  e del suo difensore che puo'
 esporre oralmente le deduzioni istruttorie formulate per iscritto.
    Questa normativa, che assicura in maniera completa l'esercizio del
 diritto di difesa  nel  procedimento  disciplinare,  e'  conforme  al
 principio,  sancito  dall'art.  6  della  Convenzione  europea per la
 salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  del
 4  novembre  1950 ratificata dall'Italia con la legge n. 848 del 1955
 secondo cui ogni accusato ha diritto di difendersi da se stesso o con
 l'assistenza  di  un  difensore e di interrogare o fare interrogare i
 testimoni  a  carico  nonche'   di   ottenere   la   convocazione   e
 l'interrogatorio  dei  testimoni  a discarico nelle stesse condizioni
 dei testi a carico.
    Sembra al Collegio che il  diverso  trattamento  disciplinare  dei
 giornalisti,  che contrasta con il richiamato principio generale, non
 sia razionalmente giustificato.
    Secondo logica e giustizia non sono  ravvisabili  differenziazioni
 tra   l'ordinamento   professionale   degli  avvocati  e  quello  dei
 giornalisti,   entrambi   regolatori   dell'attivita'    di    liberi
 professionisti  iscritti  in  albi  obbligatori  per legge, ne' tra i
 procedimenti disciplinari da essi previsti,  entrambi  predisposti  a
 salvaguardia  della  deontologia professionale e a tutela dei diritti
 dei terzi.
    Neppure sussiste diversita' tra le sanzioni irrogabili, che  vanno
 dalla  censura  alla radiazione dall'albo e percio' incidono, sia per
 gli avvocati che per i giornalisti, sulla  dignita'  dell'uomo  sotto
 l'aspetto   dell'autostima  e  della  coscienza  del  proprio  valore
 nell'ambito dei rapporti sociali, che  costituisce  un  valore  posto
 dalla Costituzione a base dei diritti della persona umana.
    Pertanto  non  sembra privo di fondamento l'assunto del ricorrente
 secondo cui, non essendo oggettivamente  diversa  la  situazione  del
 giornalista   da   quella  dell'avvocato  sottoposti  a  procedimento
 disciplinare, la normativa dell'ordinamento dei giornalisti  dovrebbe
 essere  conforme  al dettato dell'art. 6 della convenzione richiamata
 che e' norma dello Stato.
    Si impone la sospensione del giudizio con  rimessione  degli  atti
 alla Corte costituzionale affinche' dica se l'art. 56, comma 2, della
 legge  3  febbraio 1963, n. 69, nella parte in cui non prevede che il
 giornalista incolpato  possa  partecipare  alla  fase  istruttoria  e
 indicare  testimoni  a  discarico,  sia in contrasto con gli artt. 3,
 comma 1, e 24, comma 2, della Costituzione.