IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza, visti gli atti relativi alla
 minore Parodi Letizia, nata a Genova il 20 giugno 1992.
    1.  -  A  seguito  della comparizione personale dei genitori della
 minore questo tribunale veniva investito della richiesta della madre,
 affidataria della figlia, di aumentare l'assegno  di  mantenimento  a
 carico  del  padre  non affidatario rimasto fermo all'ammontare di L.
 250.000, cosi' come stabilito da questo stesso tribunale con  decreto
 in data 30 ottobre 1985.
   Come  esattamente  osservato  dal pubblico ministero, versandosi in
 tema di genitori non uniti  da  vincolo  matrimoniale,  il  combinato
 disposto  degli  artt.  317-bis  del  c.c.  e  38 disp. att. del c.c.
 imporrebbe al tribunale adito di dichiarare la  propria  incompetenza
 sulla   domanda   proposta.   E'   noto  infatti  che  la  competenza
 dell'autorita' giudiziaria minorile non puo' estendersi al di la'  di
 quanto  tassativamente  previsto dall'attuale normativa in materia di
 rapporti  familiari,  fermo  restando  che  sussiste  la   competenza
 residuale   del  tribunale  ordinario  per  tutte  le  procedure  non
 espressamente indicate dall'art. 38, primo comma, delle  disposizioni
 di  attuazione  del  codice  civile.  Altrettanto  pacifico e' che le
 disposizioni sopra ricordate, nell'attribuire al giudice minorile  la
 competenza in materia di affidamento di figli naturali, non prevedono
 la  possibilita'  di  chiedere  e  di  ottenere  dal predetto giudice
 provvedimenti in materia di contributo del genitore  non  affidatario
 al  mantenimento dei figli. Da cio' discende che il genitore naturale
 affidatario il quale intenda agire  per  ottenere  un  titolo  contro
 l'altro  genitore  relativamente  all'obbligo  di  mantenimento della
 prole  deve  necessariamente  rivolgersi  al  tribunale  civile   che
 procedera'  nelle ordinarie forme del processo di cognizione previste
 per le cause relative agli alimenti (si v. per tutte, Cass. 20 aprile
 1991, n. 4273 in Giur. it., 1991, I,1, 634).
    2. - Prescindendo dal tenore letterale delle  norme  in  esame  e'
 opportuno  sottolineare  che,  come si evince anche dalla fattispecie
 oggetto del presente giudizio, numerosi tribunali minorili  hanno  da
 tempo  introdotto  prassi  giurisprudenziali  volte  ad  abbinare  la
 pronuncia ex art. 317-bis del c.c. in tema di  affidamento  a  quella
 relativa  alla  determinazione  del contributo economico a carico del
 genitore naturale non affidatario. E' del tutto evidente che pronunce
 di  questo   tenore,   di   evidente   natura   equitativa,   trovano
 giustificazione nell'opportunita' di evitare alla parte ricorrente la
 necessita' di adire, da un lato, l'autorita' giudiziaria minorile per
 quanto   riguarda   la   pronuncia  sull'affidamento  dei  figli,  e,
 dall'altro, l'autorita' giudiziaria ordinaria al fine di  determinare
 l'entita'  dell'onere economico relativo al genitore non affidatario.
 Siamo  quindi  in  presenza  non  solo  di   esigenze   di   economia
 processuale,  peraltro  del  tutto  evidenti, ma dell'opportunita' di
 evitare alla parte piu' debole  (quasi  sempre  la  donna)  un'attesa
 assai  lunga  legata  ai  tempi  lunghi  della giustizia civile e, in
 particolare,  del  processo  contenzioso  a  livello   di   tribunale
 ordinario,   nonche'  spese  legali  che  talora  sono  difficilmente
 sostenibili da soggetti sovente espressione degli strati sociali piu'
 poveri ed emarginati del paese. Cio' tenuto conto anche del fatto che
 il diritto azionato e' strettamente  collegato  alle  necessita'  del
 minore  di  crescere e svilupparsi in condizioni di vita accettabili,
 obiettivo che talora puo' essere raggiunto soltanto con il contributo
 economico del genitore non affidatario.
    E'  pero'  necessario   qui   ribadire   che   tali   orientamenti
 giurisprudenziali,   pur   collegati   alla   pronuncia  in  tema  di
 affidamento e rispondenti alla necessita' di  impartire  al  genitore
 che  non convive con il figlio prescrizioni di natura economica volte
 a contribuire al suo sostentamento, benche'  sovente  inevitabili  in
 quanto  espressione  di  un  accordo  tra  le  parti  o di una previa
 accettazione da parte delle stesse della decisione del tribunale  per
 i  minorenni  in  punto  assegno  di mantenimento, appaiono alla luce
 degli argomenti sopra esposti  viziate  da  incompetenza  funzionale.
 Infatti  in  tali  casi  il  giudice minorile, nell'impossibilita' di
 fondare la sua decisione su di una specifica norma non puo' che  fare
 riferimento  ad  un'interpretazione  analogica delle norme in tema di
 separazione e divorzio che  appare  quantomeno  forzata.  A  cio'  si
 aggiunga   che   la  menzionata  mancata  previsione  legislativa  di
 provvedimenti di condanna in questo settore rende assai  problematica
 l'efficacia  di  tali pronunce e la loro attitudine a divenire titolo
 esecutivo quando si versi nell'ipotesi,  tutt'altro  che  infrequente
 nella  pratica,  di  ottenere  l'adempimento  forzato dell'obbligo da
 parte del debitore che non adempia spontaneamente.
    Nel caso di specie la sottolineata  incompetenza  e'  ancora  piu'
 marcata  in  quanto  la richiesta materna di adeguamento dell'obbligo
 alimentare a carico del padre e' del  tutto  autonoma  da  quella  di
 affidamento  e richiede un unico specifico provvedimento, vale a dire
 una pronuncia di condanna  al  pagamento  mensile  di  una  somma  di
 denaro.
    Tutto  cio'  premesso  ritiene  il tribunale, in piena conformita'
 alla tesi del pubblico ministero, che gli artt. 317-bis  del  c.c.  e
 38,  disp.  att.  del c.c., nella parte in cui non hanno previsto una
 specifica competenza del giudice minorile  ad  emettere  pronunce  in
 tema di assegno di mantenimento a favore del figlio naturale da porsi
 a  carico  del  genitore non affidatario (o, comunque, non convivente
 con il figlio) consentano di prospettare al giudice delle  leggi  una
 questione di costituzionalita' non manifestamente infondata.
    3.  -  Ad avviso di questo collegio, infatti, l'attuale situazione
 normativa  in  materia  familiare  determina  indiscutibilmente   una
 situazione  di  grave  disparita'  di trattamento per situazioni che,
 dovendo essere esaminate sotto il  profilo  esclusivo  dell'interesse
 del minore, risultano del tutto identiche.
    Per  quanto concerne i principi generali il dovere dei genitori di
 mantenere ed educare i figli e'  riconosciuto  con  pari  vigore  sia
 dalla  Carta  costituzionale (art. 30, primo comma, Cost.), sia dalla
 legge ordinaria (artt. 147 e 261 del c.c.) che pongono  sullo  stesso
 piano  la  prole  sia  essa  legittima  o  naturale.  Ed  infatti  la
 violazione di  tali  doveri  (dai  quali  discendono  veri  e  propri
 obblighi  giuridici  di natura personale e patrimoniale) da parte dei
 genitori  puo'  integrare  gli  estremi  per   l'applicazione   degli
 interventi  oggettivamente  sanzionatori  di cui agli artt. 330 e 333
 del c.c., senza che a nulla rilevi la circostanza dell'essere i figli
 nati in pendenza o fuori dal matrimonio.
    Per quanto specificamente riguarda  le  controversie  relative  al
 mantenimento dei figli pare potersi sostenere che siamo di fronte non
 ad  ordinarie  azioni  di regresso assimilabili a quelle nascenti tra
 soggetti coobbligati in solido (cosi' come invece ritenuto  in  Cass.
 20  aprile  1991,  n.  4273,  cit.),  bensi'  ad  azioni, discendenti
 dall'esplicita' previsione di doveri in capo ai genitori, volte a far
 valere un diritto soggettivo autonomo del  minore  che,  per  il  suo
 stato  di  incapacita',  viene  rappresentato  da  uno  dei  genitori
 esercente la potesta'. Ed infatti il  legislatore,  sia  in  tema  di
 separazione personale tra coniugi (art. 155 del c.c.), sia in materia
 di  divorzio  (art.  6,  terzo comma, della legge 1 dicembre 1970, n.
 898 cosi' come modificato dalla  legge  6  marzo  1987,  n.  74),  ha
 previsto  che  il  tribunale  ordinario  "con  esclusivo  riferimento
 all'interesse morale e materiale dei figli", determina la misura e il
 modo con cui il genitore non  affidatario  deve  provvedere  al  loro
 mantenimento, sottolineando quindi il fatto che siamo di fronte ad un
 diritto   indisponibile  tra  le  parti  della  controversia  con  la
 conseguenza che, sul punto, il giudice e' del tutto svincolato  dalle
 relative domande.
    Anche  per quanto concerne gli aspetti processuali il legislatore,
 oltre ad avere attribuito al giudice particolari poteri ufficiosi  in
 tema  di  prova  circa  la  capacita'  dei  genitori a contribuire al
 mantenimento dei  figli,  ha  previsto  particolari  procedure  quali
 quelle   camerali   (sia   per  il  divorzio  congiunto  che  per  le
 separazioni)  tali  da  garantire  la  celerita'  del  giudizio,   la
 pronuncia  di  provvedimenti  cautelari  nell'interesse  dei figli in
 tutti i casi in  cui  la  causa  prosegue  nelle  forme  contenziose,
 nonche',  per  quanto concerne la modifica delle condizioni stabilite
 in sede di separazione, l'applicazione delle  piu'  agili  norme  sui
 procedimenti in camera di consiglio.
    A  completamento  di  quanto  fin  qui  si e' detto' e' il caso di
 sottolineare come il legislatore, anche precedentemente alla  riforma
 del  diritto  di  famiglia,  abbia  sempre attribuito la competenza a
 pronunciarsi sulle controversie alimentari relative ai  figli  minori
 allo stesso giudice investito della causa di separazione e divorzio e
 della  pronuncia  sull'affidamento dei figli, ritenendo evidentemente
 in questo caso inscindibili tra loro le questioni patrimoniali e  non
 patrimoniali.
    A    fronte    di   questo   quadro   normativo   complessivamente
 soddisfacente, almeno in linea di principio, nulla e' stato  previsto
 per  quanto  concerne  l'attuazione  del  diritto al mantenimento dei
 figli naturali ne' quando la famiglia di fatto non esista (essendo la
 prole frutto di una relazione non accompagnata  dalla  coabitazione),
 ne' quando essa venga meno in un secondo tempo dopo un periodo piu' o
 meno lungo di convivenza.
    Le  controversie  relative  all'affidamento di questa categoria di
 minori sono affidate ai tribunali per i minorenni  che,  a  norma  di
 legge,  come  gia'  si  e'  sottolineato,  si  dovrebbero  limitare a
 prevedere una regolamentazione delle  modalita'  di  esercizio  della
 potesta'  con esclusione dell'obbligo di mantenimento irrazionalmente
 lasciato alla competenza del tribunale ordinario. Da cio' deriva  per
 questa categoria di minori una condizione deteriore le cui principali
 conseguenze  negative sono le seguenti: a) la necessita' di adire due
 giudici diversi per la cognizione di una situazione in realta'  unica
 avendo   ad   oggetto   gli   obblighi  inscindibili  di  educazione,
 istruzione, e mantenimento; b) la inevitabile applicazione all'azione
 alimentare del rito ordinario  foriero  di  inevitabili  ritardi  nel
 riconoscimento  del  diritto  e  di  oneri  processuali  ed economici
 maggiori  rispetto  a  quanto  non  avverrebbe  nell'ambito  di   una
 procedura  camerale; c) il rendere la pronuncia in materia alimentare
 strettamente dipendente dall'iniziativa e dalla domanda  della  parte
 attrice  in  contrasto  con  la  tendenziale  indisponibilita'  fra i
 genitori dei diritti spettanti ai figli.
    4. - Nella fattispecie in esame, a fronte  della  gia'  menzionata
 richiesta di adeguamento dell'importo dell'assegno alimentare, questo
 tribunale  non  puo'  che ribadire quanto si e' rilevato circa la non
 accettabilita' di una normativa che impedisce al giudice naturale del
 minore  di  pronunciarsi  sull'entita'  dell'esatto   contributo   da
 corrispondersi  da  parte  del padre a favore della figlia pur avendo
 questo stesso giudice gia' fissato tutti gli altri  criteri  relativi
 all'affidamento  e  alla regolamentazione dei rapporti tra genitori e
 figli. Tale situazione comporta una grave disparita'  di  trattamento
 tra  figli  naturali  (come  la  minore  intestataria  della presente
 procedura) e figli nati nel matrimonio,  discriminazione  che  appare
 non  solo  irrazionale ma illegittima in quanto non giustificata alla
 stregua dei principi costituzionali e non superabile  sulla  base  di
 una  interpretazione  analogica  delle norme in tema di separazione e
 divorzio.
    La disparita' evidenziata costituisce violazione degli artt.  3  e
 30 della Costituzione e, specificamente, del principio di uguaglianza
 sotto  il  profilo particolare della identita' di tutela che la legge
 deve riconoscere ai figli legittimi e naturali.
   La questione proposta appare  inoltre  assolutamente  rilevante  ai
 fini della decisione sulla domanda proposta dalla madre della minore.
 Il  tribunale  adito  non puo' esimersi dalla pronuncia sulla propria
 competenza essendo il giudice competente a conoscere le  controversie
 sulla  potesta'  della  minore Letizia Parodi in forza dell'art. 317-
 bis del c.c. Del resto la valutazione in  punto  competenza,  essendo
 pregiudiziale,  comporta  inevitabilmente  l'esame  delle norme delle
 quali si chiede l'impugnazione davanti alla Corte costituzionale,  la
 cui applicazione rileva dunque nella controversia in corso.