ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 446 e 448 del
 codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 13 luglio
 1994  dal  Pretore  di  Bassano  del Grappa nel procedimento penale a
 carico di Alberti Pier  Giorgio  iscritta  al  n.  562  del  registro
 ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  5  aprile  1995  il  Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
    Ritenuto  che  a  seguito del rigetto dell'istanza di applicazione
 della pena concordata fra imputato e pubblico ministero,  il  pretore
 di  Bassano  del  Grappa - dichiaratosi incompatibile a giudicare del
 merito, ai sensi dell'art. 34,  comma  2,  del  codice  di  procedura
 penale,  come  modificato  dalla  sentenza  n. 186 del 1992 di questa
 Corte - rimetteva gli atti ad altro magistrato dello  stesso  ufficio
 giudiziario;
      che,  all'udienza  fissata per la celebrazione del dibattimento,
 il diverso magistrato della Pretura di Bassano del Grappa, incaricato
 della trattazione dibattimentale - richiesto dell'applicazione  della
 stessa  pena,  gia' indicata nella prima domanda di "patteggiamento",
 con la sola esclusione della sostituzione della sanzione detentiva in
 luogo di quella pecuniaria  -  con  ordinanza  del  13  luglio  1994,
 sollevava  questione  di  costituzionalita' delle disposizioni di cui
 agli artt. 446 e 448 del codice di procedura penale;
      che, ad avviso del  rimettente,  la  Corte  di  cassazione,  con
 orientamento  pressoche'  consolidato,  assicurerebbe  alle  parti la
 facolta'  di  reiterare  l'istanza  di  "patteggiamento"  sino   alla
 dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  di primo grado, senza
 considerare se la nuova  domanda  risulti  uguale  o  difforme  dalla
 precedente;
      che  ne  conseguirebbe,  per  la  illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale dichiarata  con
 la  sentenza  n. 186 del 1992, la trasmigrazione del processo dinanzi
 ad altrettanti e diversi giudici quante sono le pronunce di reiezione
 della richiesta concordemente formulata dalle parti,  fino  a  quando
 non  si  pervenga  all'auspicata  applicazione  della pena (e cio' in
 contrasto con gli articoli 25, primo comma, e 97, primo comma,  della
 Costituzione);
      che,  in particolare, il complesso delle disposizioni impugnate,
 alla luce delle modifiche intervenute nell'ambito  dell'art.  34  del
 codice  di  rito, comporterebbe una lesione del principio del giudice
 naturale, in quanto ne consentirebbe la scelta ad opera delle  parti,
 con  ulteriore violazione del canone di buon andamento della pubblica
 amministrazione, non inibendo la molteplicita' di reiterazioni  delle
 istanze  (in  teoria sino all'infinito) contro ogni buon senso, e non
 solo  in  considerazione  delle  ridotte  dimensioni   degli   uffici
 giudiziari;
      che  vi  sarebbe  anche  una  lesione dell'art. 25, primo comma,
 della Costituzione, in rapporto all'art. 591, lett. b), del codice di
 procedura penale, in quanto  con  il  meccanismo  delle  richieste  a
 catena  si configurerebbe un'impugnazione vera e propria del giudizio
 negativo  precedentemente   formulato   da   un   altro   magistrato,
 impugnazione  non  prevista  dalla  legge e devoluta a un giudice non
 precostituito a tal fine (come lo e' invece il giudice d'appello);
      che   la   questione  sarebbe  rilevante,  dal  momento  che  il
 giudicante dovrebbe finalmente pronunciarsi sul merito del  processo,
 qualora  potesse  - in contrasto con l'interpretazione della Corte di
 cassazione  -  dichiarare   inammissibile   la   nuova   istanza   di
 applicazione della pena su richiesta delle parti;
      che la questione di costituzionalita', cosi' sollevata, verrebbe
 pertanto  a riguardare sia l'art. 446 del codice di procedura penale,
 come interpretato dalla Corte di cassazione - vale a dire  nel  senso
 di  consentire  alle  parti di reiterare la richiesta di applicazione
 della pena - sia l'art. 448, del pari non correttamente  interpretato
 nel  senso  che non permetterebbe ugualmente al giudice di dichiarare
 inammissibile la nuova richiesta  di  applicazione  della  pena  gia'
 rigettata  dal  primo  giudice  (dichiaratosi  incompatibile ai sensi
 dell'art. 34 del codice di rito);
      che il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
 difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, ha concluso - nell'atto
 di  intervento  -  per  l'inammissibilita'  o  l'infondatezza   della
 sollevata  questione,  avendo il giudice a quo riproposto il problema
 gia' definito dalla Corte costituzionale con la sentenza n.  439  del
 1993.
    Considerato  che con tale decisione, questa Corte ha gia' chiarito
 che  e'  errato  il  presupposto  interpretativo  dell'ordinanza   di
 rimessione  (vale  a dire la possibilita', per le parti, di reiterare
 indefinitamente  la  medesima  richiesta  di  "patteggiamento");  non
 recando l'ordinanza del pretore di Bassano elementi nuovi rispetto al
 quadro  considerato  con  la  sentenza  n.  439 del 1993, tali da far
 rivedere  l'orientamento  gia'  espresso  nei   termini   della   non
 fondatezza.
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.