ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio sull'ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato
 sollevato dal Procuratore della Repubblica  presso  il  Tribunale  di
 Napoli  nei  confronti  del  Ministro  dell'interno e del Ministro di
 grazia e giustizia, in relazione agli artt. 1, 2, 3, 4,  5  e  8  del
 decreto  24  novembre 1994, n. 687 (Regolamento recante norme dirette
 ad individuare i criteri di formulazione del programma di  protezione
 di coloro che collaborano con la giustizia e le relative modalita' di
 attuazione),  emanato  dal  Ministro  dell'interno di concerto con il
 Ministro di grazia e giustizia, con ricorso depositato in Cancelleria
 il 20 aprile 1995 ed iscritto al n.  55  del  registro  ammissibilta'
 conflitti;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 17 maggio 1995 il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
   Ritenuto che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
 Napoli, con ricorso  depositato  il  20  aprile  1995,  ha  sollevato
 conflitto  di  attribuzione nei confronti del Ministro dell'interno e
 del Ministro di  grazia  e  giustizia  in  relazione  al  decreto  24
 novembre   1994,   n.  687  (Regolamento  recante  norme  dirette  ad
 individuare i criteri di formulazione del programma di protezione  di
 coloro  che  collaborano  con la giustizia e le relative modalita' di
 attuazione), emanato dal Ministro dell'interno  di  concerto  con  il
 Ministro  di grazia e giustizia e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 294 del 17 dicembre 1994;
      che, in particolare, il  ricorrente  chiede  che  questa  Corte,
 ritenuto  ammissibile il conflitto, annulli gli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e
 8 del citato decreto, i quali, a suo avviso,  "incidono  nella  sfera
 delle  attribuzioni  del pubblico ministero, quali a lui riconosciute
 dalla Carta costituzionale, e violano gli articoli 13,  101,  secondo
 comma,  104,  108  e  112  di  tale  Carta,  sia  sotto  l'aspetto di
 interferenze  e   condizionamenti   frapposti   all'indipendenza   ed
 autonomia   della   magistratura   e   all'esercizio   dell'attivita'
 giudiziaria, sia sotto quello della  violazione  di  norme  primarie,
 come  quelle  delle  preleggi,  dell'Ordinamento  giudiziario, per le
 quali e' fatta espressa riserva  di  legge  dall'articolo  108  della
 Costituzione,  e  del  codice processuale penale, alcuni articoli del
 quale sono stati modificati o derogati da tale regolamento";
      che, ai fini dell'ammissibilita' del  conflitto,  il  ricorrente
 sostiene  che,  nella  specie,  la legittimazione attiva debba essere
 riconosciuta  al  pubblico  ministero,  quale  organo  competente   a
 dichiarare  la volonta' del potere cui appartiene, tenuto anche conto
 che l'attivita' del pubblico ministero si presenta, sotto  molteplici
 aspetti, con caratteri squisitamente propri, autonomi e decisori, che
 anch'esso e' una "autorita' giudiziaria" e che la funzione requirente
 (art.  112  della  Costituzione)  e'  ricompresa  tra le attribuzioni
 riferibili al potere giudiziario;
    Considerato che, ai sensi dell'art.  37,  terzo  e  quarto  comma,
 della   legge  11  marzo  1953,  n.  87,  questa  Corte  e'  chiamata
 preliminarmente a decidere con  ordinanza  in  camera  di  consiglio,
 senza  contraddittorio,  se  il  ricorso  sia  ammissibile, in quanto
 esista la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla  sua
 competenza,  con  riferimento alla presenza dei requisiti, soggettivi
 ed oggettivi, richiamati nel primo comma del medesimo art. 37;
      che,  per   quanto   concerne   i   requisiti   soggettivi,   va
 innnanzitutto   riconosciuta  -  come  questa  Corte  ha  piu'  volte
 affermato  (cfr.  sentenze  nn.  462,  463  e  464  del  1993)  -  la
 legittimazione  del  pubblico  ministero  a  sollevare  conflitti  di
 attribuzione, in quanto organo al quale,  nel  complesso  del  potere
 giudiziario,   e'   attribuita,   ai   sensi   dell'art.   112  della
 Costituzione, la titolarita' diretta  ed  esclusiva  delle  attivita'
 d'indagine finalizzate all'esercizio obbligatorio dell'azione penale;
      che,  in  ordine alla proposizione del ricorso nei confronti del
 Ministro dell'interno, deve escludersi che la legittimazione  passiva
 spetti   al   Ministro   medesimo,  in  quanto  va  ribadito  che  le
 attribuzioni dei singoli ministri non assumono uno specifico  rilievo
 costituzionale  nei  rapporti  con gli organi giurisdizionali, se non
 nelle   ipotesi   delle  competenze  direttamente  ed  esclusivamente
 conferite al Ministro di grazia e giustizia in base agli  artt.  107,
 secondo  comma,  e  110 della Costituzione (cfr. sentenze nn. 383 del
 1993, 379 del 1992, 150 del 1981);
      che la legittimazione a resistere va,  invece,  riconosciuta  al
 Governo della Repubblica, abilitato a prendere parte ai conflitti tra
 i poteri dello Stato in base alla configurazione dell'organo statuita
 nel  primo  comma dell'art. 95 della Costituzione, ed al quale l'atto
 impugnato deve ritenersi imputabile;
      che va, inoltre, esclusa la legittimazione passiva del  Ministro
 di grazia e giustizia, in quanto nella specie il suo intervento si e'
 inserito  nella  fase  preparatoria dell'atto, la cui titolarita', ai
 fini che qui interessano, va pertanto  attribuita  essenzialmente  al
 Ministro dell'interno;
      che,   per   quanto   concerne   i  requisiti  oggettivi,  viene
 prospettata dal ricorrente la lesione  della  sfera  di  attribuzioni
 costituzionalmente  spettante  al  pubblico  ministero  - individuata
 negli artt. 13, 101, 104, 108 e 112 della Costituzione -, ad opera di
 un atto del potere esecutivo;
      che, in conclusione, in questa fase delibativa,  il  ricorso  va
 dichiarato   ammissibile   nei   confronti   del  Governo,  salva  ed
 impregiudicata la  pronuncia  definitiva  anche  sul  punto  relativo
 all'ammissibilita';