IL PRETORE
    Ha  pronunziato  e  pubblicato mediante lettura del dispositivo la
 seguente ordinanza alla pubblica udienza del  25  ottobre  1994,  nei
 confronti  di  Pantaleo Pietruccia, nata il 16 aprile 1945 a Ruffano,
 ivi residente, via prov. per Casarano, imputata del  reato  p.  e  p.
 dagli  articoli  624  e  625 n. 1 del c.p. per essersi impossessata a
 scopo di profitto, della  somma  di  L.  1.100.000  in  contanti  che
 sottraeva  nell'abitazione  di  proprieta'  di Matafune Antonia nella
 quale si introduceva approfittando  della  momentanea  assenza  della
 proprietaria. In Ruffano il 30 luglio 1988.
                               F A T T O
    Con  decreto  del  2  luglio  1994, il sostituto Procuratore della
 Repubblica presso la pretura  circondariale  di  Lecce  disponeva  la
 citazione  a giudizio, davanti a questa sezione distaccata di pretura
 di Pantaleo Pietruccia da Ruffano per rispondere del reato  p.  e  p.
 dagli artt. 624 e 625 n. 1 del c.p. per essersi impossessata, a scopo
 di  profitto,  della  somma di L. 1.100.000 in contanti che sottraeva
 nell'abitazione di proprieta' di  Metafune  Antonia  nella  quale  si
 introduceva    approfittando    della    momentanea   assenza   della
 proprietaria.
 Al dibattimento del  25  ottobre  1994,  la  parte  lesa  Metafune
 Antonia,  res.  nello  stesso  Comune,  si costituiva parte civile e,
 quindi,  le  parti  chiedevano  i  mezzi  istruttori  di   rispettiva
 pertinenza.
 Subito  dopo, a richiesta di questo pretore, il pubblico ministero
 d'udienza precisava che, in seguito alla denunzia della Metafune  del
 30  luglio 1988 alligata al fascicolo d'ufficio, l'imputata era stata
 interrogata dalla p.g. con  l'assistenza  del  proprio  difensore  di
 fiducia  e,  in  seguito,  il  2  ottobre  1994  era stata rinviata a
 giudizio col decreto sopra indicato, senza  il  compimento  di  altri
 atti istruttori.
 Sulla   base  di  cio',  questo  Pretore  sollevava  d'ufficio  le
 questioni di costituzionalita' riportate  nel  dispositivo  letto  in
 udienza, per i seguenti motivi in
                             D I R I T T O
    1.  -  Non puo' non evidenziarsi, anzitutto, (e cio' anche ai fini
 della non manifesta infondatezza e della rilevanza delle questioni di
 costituzionalita' sollevate) il contenuto e le caratteristiche  della
 denunzia di furto in data 30 luglio 1988 da parte di Metafune Antonia
 Pasqualina  nei  confronti dell'imputata Pantaleo, alligata agli atti
 del fascicolo d'ufficio come si e' gia detto.
 Deve poi rilevarsi che, in data 29 luglio 1994, il p.m. richiedeva
 di essere autorizzato a citare i testi:  Castelluzzo  Giovanni  della
 stazione  C.C. Ruffano; Metafune Antonia Pasqualina; Vergaro Damiana;
 "sulle specifiche modalita' dell'azione delittuosa commessa, e  sulle
 circostanze di tempo e di luogo in cui e' stata perpetrata".
 Infine,  in data 20 gennaio 1994, veniva ammessa da questo pretore
 la richiesta del difensore della parte civile  di  sentire  la  teste
 Vergaro  Damiana, cognata della Metafune, sulle seguenti circostanze:
 "verso le ore  10,30  del  30  luglio  1988  ho  avvisato  Pietruccia
 Pantaleo,  che  era venuta in casa di mia cognata per farle visita -,
 che quest'ultima era appena uscita  ma  sarebbe  tornata  dopo  poco:
 nonostante  cio' la Pantaleo sali' la scala, mostrando di non credere
 alle mie parole. La chiamai piu' volte per convincerla a non entrare.
 Io per le mie condizioni di salute non riuscivo a camminare, per  cui
 scendevo  da  casa  alla  mattina  e rimanevo al piano terra tutto il
 giorno fino alla sera quando risalivo per la notte; pertanto  passavo
 tutto il giorno nel cortile e locali a piano terra".
    Orbene,  come  puo'  evincersi  da  tali premesse, e' indubbio che
 l'imputata Pantaleo, per un fatto reato che avrebbe compiuto in  data
 30  luglio 1988, e' stata citata a giudizio, davanti a questa sezione
 distaccata di Pretura, con decreto del p.m. notificatole in  data  16
 luglio  1994,  per  comparire  all'udienza  del  25  ottobre  1994  e
 rispondere del reato di furto aggravato, come sopra precisato.
 Cio' e' avvenuto senza "informazione di garanzia" ex art. 369  del
 c.p.p.,  senza  interrogatorio dell'imputato e senza il compimento di
 nessun atto istruttorio. Tanto e' previsto,  pero',  dalla  normativa
 vigente:  in  quanto, anzitutto, per cio' che concerne l'informazione
 di garanzia, ex art. 38 della legge delega  del  1987  e  369,  comma
 primo  s.c.,  la  stessa  deve  esser inviata "sin dal compimento del
 primo atto al quale il difensore  ha  diritto  di  assistere"  previo
 avviso ex art. 364 del c.p.p . Cosi' come stabilito e precisato dalla
 Corte  di cassazione con sentenza del 13 gennaio 1993, n. 4784, "onde
 evitare che i tipici atti a sorpresa (es. perquisizioni e  sequestri)
 possano  restare  seriamente  pregiudicati, tant'e' che l'art. 365 c.
 prevede che per essi il difensore  non  ha  diritto  di  ricevere  il
 preventivo avviso ma solo facolta' di assistervi".
 Pertanto, nel caso in esame, non essendo stato compiuto alcun atto
 istruttorio,  non  vi  era obbligo per il P.M. di inviare la suddetta
 "informazione".
 Inoltre, non puo' obliterarsi  quanto  osservato  da  parte  della
 dottrina, in sede di esame della disciplina del "Procedimento davanti
 al  Pretore" ex art 549 e segg. del c.p.p. e 103 della legge delega e
 cioe che: "nel rito innanzi al  pretore  non  e'  prevista  l'udienza
 preliminare  (art.  416  e  seg.  del  c.p.p.),  momento  centrale di
 verifica sull'operato di una parte (il p.m.); per  cui  protagonista,
 in  tal  processo,  resta  il  p.m.  cui e' data facolta' di emettere
 direttamente il decreto di citazione a giudizio, e condurre,  quindi,
 al  dibattimento  l'imputato,  senza  informazione di garanzia, senza
 interrogarlo  (anche  perche'  non  e'  stato  riprodotto   l'obbligo
 previsto  a  pena  di  nullita' dell'art. 376 del c.p.p., abrogato) e
 senza alcuna rivelazione preventiva di  atti  o  elementi  di  accusa
 (salvo   naturalmente   che  non  ritenga  di  svolgere  le  indagini
 preliminari con la disciplina  di  cui  agli  artt.  551  e  553  del
 c.p.p.). Al giudice per le indagini preliminari e', invece, riservato
 l'esame  della  richiesta  di  archiviazione  e  della  richiesta  di
 emissione del decreto penale  di  condanna.  Ne'  puo'  desumersi  il
 contrario  da quanto previsto dall'art. 554 del c.p.p., che si limita
 a stabilire "Concluse le indagini (facoltative, come si e' detto)  il
 pubblico  ministero  trasmette  agli  atti al g.i.p. con richiesta di
 archiviazione o di decreto penale di condanna ovvero  emette  decreto
 di citazione a giudizio".
 Peraltro,  a  differenza  di  quanto  stabilito  dal secondo comma
 dell'art. 405 s.c. e cioe' che il p.m. richiede il  giudizio  davanti
 al  G.I.P.  presso  il  Tribunale entro sei mesi dalla data in cui il
 nome della persona alla quale e' attribuito il reato e' iscritto  nel
 registro  del reato; salve, ovviamente, le proroghe di cui agli artt.
 406  e  407  s.c.  (e  cio'  in   considerazione   delle   differenti
 caratteristiche  di quel rito desumibili dalla disciplina di cui agli
 artt. 405 e segg.), nessun termine  e'  espressamente  stabilito  per
 l'emissione del decreto di citazione a giudizio davanti al Pretore.
 Ne  consegue  che,  non  potendosi  far  ricorso a quanto disposto
 dall'art. 549 del c.p.p. (Norme applicabili al  procedimento  davanti
 al Pretore) - anche per non porsi in contrasto con il disposto di cui
 all'art.  103  della  legge  delega  -  in  definitiva,  il p.m. puo'
 disporre la citazione a giudizio dell'imputato  senza  compiere  atti
 istruttori,  con  il  solo obbligo di notificare il decreto (senza la
 necessita' di indicare le fonti di prova a differenza della richiesta
 di rinvio a giudizio ex art. 405 del c.p.p.) all'imputato stesso e al
 suo difensore, almeno quarantacinque giorni prima della data  fissata
 per  il  giudizio  ex  art.  555  u.p.  del c.p.p. (Naturalmente deve
 tenersi conto, in deroga, della particolare disciplina  del  giudizio
 abbreviato,   dell'applicazione   della   pena   su   richiesta,  del
 procedimento per decreto e del giudizio direttissimo, ex arrt. 560  e
 566 del c.p.p.).
    2.  -  A  questo  punto,  e',  comunque,  opportuno,  a parere del
 giudicante - per la evidente pertinenza col tema in esame - riportare
 testualmente quanto risulta  del  "Monitoraggio  del  nuovo  processo
 penale   ordinario   e   minorile",  relativo  al  primo  quadriennio
 dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale del 1989,
 effettuato, per tutto l'arco  del  quadriennio,  dall'ufficio  quinto
 della  Direzione  generale  affari  penali  del Ministero di grazia e
 giustizia  (ufficio  ricerche,  documentazioni  e   monitoraggio)   e
 coordinato,  nell'ultima  fase,  dal  Servizio  studi, statistiche e,
 programmi (costituito presso il Gabinetto del Ministro  con  d.m.  16
 gennaio  1992), in ossequio a quanto disposto dall'art. 15 del d.lgs.
 28 luglio 1989 n. 273. Omissis . "Iscrizione delle notizie di reato".
 Omissis .. Va, infine, tenuto conto della proporzione tra  il  numero
 delle  notizie  di  reato iscritte presso le procure della Repubblica
 presso la pretura e quello delle stesse notizie  iscritte  presso  le
 procure  della  Repubblica  presso il tribunale: notizie di reato per
 autore,  identificato  o  ignoto;  -  periodo  dall'ottobre  1989  al
 dicembre 1993 -: Procura presso la Pretura 174,18%; Procura presso il
 Tribunale:  24,2% omissis .. "La prima elementare osservazione e' che
 il procedimento pretorile, normalmente considerato  come  secondario,
 se  non  addirittura  'speciale', investe la maggior parte del carico
 giudiziario".
 "Un qualunque progetto di revisione del codice non puo' non tenere
 nella dovuta considerazione tale rito per la immediata  incidenza  su
 tutta  la  giustizia  penale".  Omissis  ..  "Il  giudizio  presso la
 pretura" omissis .. "Per cio' che concerne le preture, sono pervenuti
 complessivamente  a  giudizio,  nel  periodo  in  questione,  937.990
 procedimenti  relativi  a 958.624 imputati liberi, 74.101 detenuti in
 carcere e 5.190 agli arresti domiciliari. Il tempo intercorrente  tra
 la  citazione  e  la  data dell'udienza, cresce, anche in Pretura, in
 misura esponenziale negli anni. Difatti il  numero  dei  procedimenti
 per  i  quali  passano  piu' di sei mesi tra la citazione e l'udienza
 sono 5.308 nel 1990, 43.634 nel 1991, 92.495 nel 1992 e  148.691  nel
 1993.  Questo  e'  un  sintomo  di gravissimo malessere e conferma la
 tendenza  all'ingolfamento  del  dibattimento con effetti prevedibili
 sulle prescrizioni dei reati".
 E' necessario rammentare in proposito che  tutto  cio'  era  stato
 esattamente  previsto  da magistrati, avvocati e docenti universitari
 negli "Incontri di studio sul nuovo codice di procedura  penale,  del
 novembre  1988 e giuguo 1989 sullo specifico argomento: "Procedimento
 davanti al  pretore  nel  nuovo  c.p.p.",  nel  corso  dei  quali  si
 osservava  testualmente  quanto segue: omissis .. "La direttiva n. 12
 sulla nuova competenza del pretore e' stata attuata dall'art.  7  del
 c.p.p.,  che, dopo aver fissato il limite generale (reati per i quali
 la legge stabilisce una pena detentiva non superiore  nel  massimo  a
 quattro  anni  ovvero  una  pena  pecuniaria  sola  o  congiunta alla
 predetta pena detentiva) indica  dodici  figure  di  reato  che,  pur
 prevedendo  una  pena  detentiva  superiore  ai quattro anni, vengono
 attribuite alla competenza del pretore.  Insomma  si  conferma  e  si
 amplia  di  molto  la  competenza  fissata  con la legge del 1984. E'
 evidente che la nuova competenza si estende anche  alla  legislazione
 penale  speciale; cosi', ad es. il pretore sara' competente anche per
 i fatti di cui all'art. 72 della legge  22  dicembre  1975,  n.  685,
 comma  secondo,  sugli  stupefacenti  e cioe' detenzione, trasporto e
 commercio di sostanze classificate nelle tabelle II e IV della legge.
 Ma il combinato disposto del primo comma dell'art. 7  e  del  secondo
 comma, ultima parte, dell'art. 5 stesso codice (la Corte di assise e'
 competente  per i delitti previsti nel titolo I del libro II del cod.
 pen. Delitti contro la personalita' dello Stato, sempre che per  tali
 delitti  sia  stabilita  la  pena  della reclusione non inferiore nel
 massimo a dieci anni), assegna  alla  competenza  del  pretore  oltre
 quindici  figure criminose gia' di competenza della Corte di assise".
 Omissis .. E' certo che la competenza del Pretore,  tutta  in  salita
 sin  dal 1865, ha raggiunto limiti davvero ragguardevoli sia sotto il
 profilo della  quantita'  (secondo  autorevoli  calcoli,  il  pretore
 dovrebbe  trattare  tra il 75 e l'80% di tutti gli affari penali) che
 della qualita' (si pensi, per es., ai reati di competenza della Corte
 di Assise e all'omicidio colposo)". Omissis ..  "Quindi  l'80%  degli
 affari  penali: ma allora il vero procedimento ordinario, quanto meno
 sotto il profilo quantitativo e' quello pretorile. Se cio' e' vero ne
 discendono due conseguenze: la prima  e'  che  forse  una  attenzione
 maggiore  andava dedicata a questo processo, anche se - va detto - il
 legislatore vi ha dedicato  un  intero  libro,  l'VIII,  con  quattro
 titoli  e 19 articoli - da 549 e 567 - e modifiche a quattro articoli
 dell'ordinamento giudiziario (2, 7, 70 e 72); la seconda  e'  che  le
 sorti  del  nuovo  processo  penale  si  giocano essenzialmente nelle
 Preture.  Particolare  attenzione  e  particolare  cura  va,  quindi,
 dedicata  alle Preture: una revisione radicale dei mandamenti e delle
 circoscrizioni   va   attuata   immediatamente.   Provvedimenti   che
 apprestano  il  personale, le strutture ed i mezzi sono necessari per
 tutti gli Uffici Giudiziari; ma,  con  particolare  riguardo  per  le
 Preture  che  sosterranno  l'impatto maggiore, sono indilazionati; la
 posta in gioco e' elevata, perche'  si  tratta  del  successo  o  del
 fallimento  del  primo  codice della Repubblica italiana". Ed ancora:
 negli "Incontri di studio e documentazione per i magistrati: Problemi
 interpretativi  ed   applicativi   del   nuovo   c.p.p.   alla   luce
 dell'esperienza  realizzata  nel  primo  periodo di applicazione", si
 evidenziava quanto segue: "I problemi del p.m. in Pretura". omissis..
 "Per  quanto  concerne il processo pretorile va detto che, sin da
 prima della sua entrata in vigore, era  stato  rilevato  come  questo
 nascesse  come  un  rito  debole,  una  sorta  di fratello minore mal
 riuscito del vero  processo  penale,  strutturato  per  le  aule  del
 tribunale.  Era  gia'  stata osservata con perplessita' la previsione
 che consente al p.m. il rinvio a giudizio senza controllo alcuno,  il
 ruolo   ibrido   e  dimidiato  del  g.i.p.  in  assenza  dell'udienza
 preliminare, la posizione subalterna (che si verifica in  particolare
 in  pretura)  delle  parti  civili  e  degli  enti  esponenziali,  un
 dibattimento in cui viene consentita come normale l'esclusione  della
 cross-examination  e  la  verbalizzazione  manuale.  Ma  al di la' di
 questi  limiti,  che  sinora   abbiamo   solo   parzialmente   potuto
 verificare, indubbiamente ha profondamente inciso il tradimento della
 riforma,  consumato  quando il nuovo codice e' stato fatto entrare in
 vigore,  non  solo  senza  che  venisse   operata   quella   profonda
 modernizzazione  insita  nelle sue stesse disposizioni (si pensi solo
 alla  verbalizzazione  meccanizzata),  ma  addirittura  riuscendo   a
 peggiorare  (rispetto alle vecchie preture) le condizioni strutturali
 con cui, in  particolare,  i  nuovi  uffici  di  procura  sono  stati
 costretti  a  partire.  Ma  la  questione  e'  piu'  complessa  e  le
 conseguenze poi verificatesi erano  anche  difficilmente  prevedibili
 appieno:  in  realta'  con il nuovo processo sono stati fatti saltare
 delicati equilibri e prassi formatisi da anni  che,  in  termini  del
 tutto  anomali  quanto  necessitati, consentivano ad interi uffici di
 andare  avanti  e  di  avere  un  intervento  magari  non  del  tutto
 soddisfacente, ma spesso efficace e rispondente alle domande sociali.
 In  particolare,  in  pretura la realta' e' che nessun ufficio e' mai
 stato nelle condizioni di far fronte all'imponente massa cartacea che
 quotidianamente perviene.  Se  una  tale  situazione  preesisteva  e'
 innegabile   che   il  nuovo  processo  l'abbia  fatta  letteralmente
 esplodere per diversi ordini di fattori.   Anzitutto, la  carenza  di
 strutture, i nuovi incombenti spesso complessi e formalistici imposti
 al    magistrato    e    la   distribuzione   dei   vecchi   apparati
 burocratico-amministrativi   delle   preture   (che   sapevano   come
 canalizzare  la  valanga  di atti che pervenivano quotidianamente) ha
 reso  evidente  e  fatto  arrivare  sul  tavolo  del  magistrato,  in
 particolare  nelle  procure,  un  cumulo  di carte incredibili di cui
 molte di qualita' altrettanto incredibile (dalle  denuncie  per  art.
 650  del  c.p.  per  non aver fornito le generalita' del guidatore in
 caso  di  violazione  dei  limiti  di   velocita',   a   quelle   per
 accattonaggio,  alla  segnalazione  delle  persone sorprese a dormire
 nelle stazioni ferroviarie): Inoltre  lo  stesso  spirito  del  nuovo
 codice,   che   impone   la   diretta  disponibilita'  della  Polizia
 Giudiziaria alla magistratura, comporterebbe  che  le  procure  della
 Repubblica,  se  tutto funzionasse, non potrebbero piu' essere Uffici
 postali, meri recettori di notitiae criminis, comunque  rilevate,  ma
 l'elemento   propulsore   e   dirigente  di  indagini,  evidentemente
 selezionate,  sia  come   oggetto,   sia   come   qualita';   Infine,
 l'introduzione   di   termini   per   la  conduzione  delle  indagini
 preliminari che non rendono piu'  possibili  accantonamenti,  piu'  o
 meno  momentanei  ed  espliciti, imponendo un'immediata (e prossoche'
 impossibile) attivazione di tutto. Omissis. La seconda  questione  e'
 relativa  al  carico penale. Va detto con chiarezza che nessun codice
 puo' reggere ad un afflusso di affari penali come quello  che  si  ha
 nel  nostro  Paese.  Anche  qui, solo in apparenza, nulla e' cambiato
 rispetto  a  prima,  arrivando  in  teoria  lo   stesso   numero   di
 segnalazioni di reato con il vecchio e con il nuovo codice.
 Difatti  l'introduzione  di  termini,  prima  per la comunicazione
 delle notizie di reato  e  poi  per  lo  svolgimento  delle  indagini
 preliminari,  ha fatto saltare i delicati equilibri su cui reggeva il
 nostro  sistema.  All'entrata  in  vigore  del  codice  si  e'  cosi'
 verificato   un  vero  e  proprio  ingorgo  nella  registrazione  dei
 fascicoli, ingorgo tuttora non risolto se il numero  di  procedimenti
 non registrati nelle procure presso le Preture delle grandi citta' si
 conta  a  dicine  di  migliaia.  E  adesso, a mesi di distanza, siamo
 coscienti che non riusciremo in alcun modo a  far  fronte  al  carico
 penale  sopravvenuto.  Di  qui scelte drammatiche sui criteri con cui
 determinare che fatti  perseguire  e  quali  lasciare  negli  armadi.
 Questa situazione non puo' essere retta a lungo, ne' una soluzione e'
 data  dalle periodiche proroghe dei termini che sinora si sono avute.
 E' invece necessaria una coraggiosa  deflazione  del  carico  penale,
 ricorrendo   ai   vari  strumenti  che  possono  consentire  un  tale
 risultato;  dalla  decriminalizzazione,  alla  depenalizzazione   con
 degrado    ad    illecito   amministrativo,   dall'estensione   della
 perseguibilita'  a  querela,  all'introduzione  di   cause   di   non
 punibilita' omissis ..
    3. - Cio' necessariamente premesso, con riferimento alle questioni
 di  costituzionalita' di cui al dispositivo letto in udienza, ritiene
 ora  il  giudicante,   di   analizzare   le   norme   sospettate   di
 incostituzionalita',  iniziando da quanto disposto dall'art. 30 della
 legge 16 febbraio 1987, n. 81 (delega legislativa  al  governo  della
 Repubblica per la emanazione del nuovo cod. di proc. penale) e, cioe'
 l'obbligo  del  p.m.  di  comunicare  all'imputato  e,  in copia alla
 persona offesa, gli estremi dei  reati  per  cui  sono  in  corso  le
 indagini,  a  partire dal primo atto al quale il difensore ha diritto
 di assistere".
 Pietruccia
 Orbene, occorre, anzitutto, per  compiutezza  di  indagine,  tener
 presente  cio'  che  la  Corte Costituzionale, in varie decisioni, ha
 stabilito per quanto  concerne  l'art.  24  della  Costituzione:  "Il
 diritto  di  difesa  ricomprende,  non  solo  la  pretesa al regolare
 svolgimento di un giudizio, che consenta  liberta'  di  dedurre  ogni
 prova a discolpa e garantisca piena esplicazione del contraddittorio,
 ma   anche  quella  di  ottenere  il  riconoscimento  della  completa
 innocenza; da considerare il bene della vita costituente  l'ultimo  e
 vero  oggetto  della  difesa,  rispetto  al quale le altre pretese al
 giusto  procedimento  assumono  funzione  strumentale".  omissis   ..
 "All'affermazione  categorica  del  diritto  inviolabile  di  difesa,
 proprio anche per la portata generale della norma  che  la  contiene,
 non si accompagna, nel testo costituzionale, l'indicazione, dotata di
 pari  forza  cogente,  del  o  dei modi di esercizio di quel medesimo
 diritto.  Con  la  conseguenza  che  e'  consentito  al  legislatore,
 valutando  la  diversa  struttura  dei  procedimenti  i diritti e gli
 interessi in gioco, le peculiari finalita' dei  vari  stati  e  gradi
 della  procedura,  dettare  specifiche  modalita' per l'esercizio del
 diritto di difesa, alla tassativa condizione, pero', che esso  venga,
 nelle  differenti  situazioni processuali, effettivamente garantito a
 tutti su un piano di uguaglianza" omissis .. (C.  cost.  15  dicembre
 1967  n.151, Giur. cost. 1967, 1974; C. cost. 14 luglio 1971, n. 175,
 Foro it., 1971, I, 2453; C. cost. 16  dicembre  1971,  n.  202,  ivi,
 1972,  I,  2;  C.  cost.  20 marzo 1975 n. 70, ivi, 1975, I, 1052; C.
 cost. 16 luglio 1972, n. 72, Giur. cost. 1979, I, 596;  C.  cost.  21
 luglio  1983,  n.  224; C. cost. 10 ottobre 1979, n. 125, Giur. cost.
 1979, I, 852, con note di G. Zagrebelsky e G. Vassalli).
 Con particolare riferimento  alla  "comunicazione  giudiziaria  ex
 art.  304  c.p.p. abrogato, la stessa Corte cosi' si e' espressa: "La
 mancata previsione dell'obbligo di inviare l'avviso  di  procedimento
 nelle  ipotesi  in  cui  il Pretore non ritenga di esperire attivita'
 istruttoria non lede in alcun modo la difesa  dell'imputato  e  delle
 altre parti del processo, non estendendosi la garanzia costituzionale
 del  diritto  di difesa sino alla tutela della aspirazione di evitare
 lo strepitus fori
 (C. cost.; 29 dicembre 1972, n. 197, Giur. cost. 1972,  2203)".  "Non
 contrasta  con  l'art.  24  della  Cosituzione, l'art. 390 del c.p.p.
 nella parte in cui prevede l'obbligo della comunicazione  giudiziaria
 se  il  Pretore  intende  procedere  alla  emissione  del  decreto di
 citazione a giudizio senza effettuare alcuna istruttoria, sulla  sola
 base  delle  indagini preliminari svolte dalla polizia giudiziaria di
 propria iniziativa (C. cost., 13 febbraio 1974, n. 29;  Giur.  cost.,
 1974, 102)".
 La  comunicazione  giudiziaria non e' imposta dalla Costituzione e
 rappresenta  pertanto  un  istituto  di  favore   non   assolutamente
 indispensabile all'esercizio del diritto di difesa che il legislatore
 ordinario  ha  ritenuto,  nella sua discrezionalita', di introdurre a
 migliore garanzia di coloro che possono avere nel processo  penale  e
 possono  assumere la qualita' di parte. (C. cost., 28 luglio 1976, n.
 208, Giust. pen., 1976, I, 331; C. cost. 13  febbraio  1974,  n.  29,
 Giur. cost., 1974, 102).
 In particolare, con quest'ultima sentenza la Corte, - naturalmente
 nell'ottica  dell'allora  vigente  c.p.p.  del  1930  - dichiarava la
 infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art.  390  del
 cod. proc. pen., in relazione all'art. 225 dello stesso codice, nella
 parte  in  cui  non prevedono, per gli atti di istruzione preliminare
 compiuti  di  propria  iniziativa  della  polizia,  l'obbligo   della
 comunicazione   giudiziaria  che  e'  imposta  per  i  medesimi  atti
 allorche' siano effettuati a richiesta del magistrato, in riferimento
 agli  artt.  3 e 24, secondo comma, della Costituzione; "All'uopo con
 la stessa sentenza, il giudice delle leggi precisava: omissis  ..  In
 sostanza gli atti preliminari della polizia giudiziaria anticipano il
 procedimento  ma  non  sono fase di esso e, pertanto, esulano strictu
 senso dagli stati e gradi  di  procedimento  presidiati  dal  diritto
 inviolabile  della difesa (sentenza n. 197 del 1972 e n. 20 del 1974,
 Foro it., 1973, I, 324; id., 1974, I, 995). E se questa Corte, con la
 sua sentenza n. 86 del 1968 (id., 1968 I 1681), ha esteso le garanzie
 proprie dell'istruzione (introdotte con la riforma di cui alla  legge
 18  giugno 1955 n. 517) agli atti compiuti dalla polizia giudiziaria,
 cio' non implica che la comunicazione giudiziaria debba andare  oltre
 i  confini  fissati  dalla  legge ordinaria. Omissis .. rientra nella
 discrezionalita' del legislatore ordinario determinare  la  sfera  di
 applicazione  della  comunicazione  stessa. E la sua estraneita' agli
 atti preliminare d'iniziativa della polizia giudiziaria non  viola  i
 diritti  della  difesa, che sono adeguatamente protetti dal combinato
 disposto degli artt. 225, 304-bis, 304-ter e 304-quater. E' esatto il
 rilievo, contenuto nell'ordinanza di rimessione, che la difesa, nella
 sua globalita', non si esaurisca in cio' che prevedono  gli  articoli
 ora menzionati, ma se si da' ingresso ad atti che richiedono l'avviso
 al  difensore,  il  prevenuto  ne  riceve notizia e, con cio' stesso,
 viene a conoscenza delle indagini  in  corso  a  suo  carico  e  puo'
 prendere   tutte  quelle  misure  che  ritiene  a  lui  agevoli,  con
 particolare riguardo alle memorie e istanza  (artt.  145  e  304-bis,
 terzo  comma,  del  cod. proc. pen.), che e' logico siano ammissibili
 ora anche in sede sommarie informazioni della polizia giudiziaria ivi
 compresa la richiesta di audizione di testimoni a discarico. Omissis.
 Infine,  l'esclusione  della  comunicazione  giudiziaria  non  e'
 irragionevole: potrebbe, se mai, apparire abnorme la disposizione che
 prevedesse  l'indiscriminato  e  generalizzato  avvertimento circa le
 indagini preliminari, sia per la difficolta' di tenere  sullo  stesso
 piano  dell'inquisito  gli  altri  interessati  (cui  pure  spetta la
 comunicazione: art. 8 e 9 della legge 5 dicembre 1969 n. 932; art.  5
 della  legge 15 dicembre 1972 n.773), spesso del tutto ignoti, specie
 all'inizio delle indagini stesse; sia perche' la comunicazione  (che,
 per  l'ora  citato  art.  3  dalla legge n. 773 del 1972, deve essere
 dettagliata e ciscostanziata con indicazione delle  disposizioni  che
 si pretendono violate e della data del fatto), sarebbe di remora e di
 ostacolo,  in  una  fase  cosi' delicata e discreta, a che la polizia
 giudiziaria, nell'espletamento delle sue funzioni istituzionali (art.
 219 del  cod.  proc.  pen.),  assicurasse  le  prove  e  ne  evitasse
 l'inquinamento".
 E'  necessario  tener presente altresi' quanto precisato sul punto
 dalla stessa Corte con  la  sentenza  del  24  aprile  1975,  n.  99,
 allorquando  dichiarava costituzionalmente illegittimo per violazione
 dell'art. 24 della Costituzione, l'art. 304 del c.p.p. (abrog.) nella
 parte in cui non prevede che la "comunicazione giudiziaria", nei casi
 di procedimento penale a carico di imputato  minorenne,  sia  inviata
 anche  all'esercente  la  patria  potesta'  o  la  tutela su di lui,:
 omissis .. "La questione e' fondata, sia pure  solo  con  riferimento
 all'art.  304  del  c  .p.p  . Per vero l'art. 17 del gia' menzionato
 r.d.-l. n. 104 del 1934 riguarda non l'istruttoria. ma  la  fase  del
 giudizio ed in relazione ad essa prevede esplicitamente che copia del
 decreto  di  citazione sia notificata per conoscenza all'esercente la
 patria  potesta'  o tutela; e sfugge, pertanto alle censure mosse dal
 giudice a quo.
 A diversa conclusione deve  invece  giungersi,  come  si  e'  gia'
 accennato, per cio' che concerne l'art. 303 del c.p.p.
 A  tale proposito va considerato che la peculiare natura del processo
 penale e degli interessi in esso coinvolti richiede  la  possibilita'
 della  diretta personale partecipazione dell'imputato. Acquista cosi'
 rilievo accanto  alla  difesa  tecnica,  cui  attende  il  difensore,
 l'autodifesa,  che ha riguardo a quel complesso di attivita' mediante
 le quali l'imputato e' posto in  grado  di  influire  sullo  sviluppo
 dialettico  del  processo e di contribuire cosi', attivamente, ad una
 piu' sicura ricerca della verita' materiale (sent. n. 186 del 1973).
   L'uno e l'altro aspetto del  diritto  di  difesa  trovano  puntuale
 riscontro  nell'art. 24, comma secondo, della Costituzione, che, come
 questa Corte ha di recente ribadito, tutela  l'autodifesa,  non  meno
 della difesa tecnica, quale diritto primario dell'imputato, immanente
 a  tutto  l'iter  processuale,  dalla  fase  istruttoria  a quella di
 giudizio, sino al  momento  di  chiusura  del  dibattimento,  in  cui
 l'imputato  deve  avere per ultimo la parola (sent. n. 205 del 1971).
 omissis .. basti considerare  che  la  comunicazione  giudiziaria  ha
 proprio  lo  scopo di rendere edotta la persona indiziata di un reato
 dell'inizio della procedura a suo carico, in modo da consentirgli  di
 predisporre  tempestivamente  la  sua difesa nella fase piu' delicata
 del processo, quella  in  cui  viene  impostata  l'accusa  e  vengono
 raccolte le prime prove. Ne' va dimenticato, che il diritto di difesa
 del  duplice  aspetto  che  sopra  e' stato sottolineato, e' in primo
 luogo garanzia di contraddittorio.
 Il che e' quanto dire, che esso puo' dirsi assicurato  solo  nella
 misura  in  cui si dia all'interessato la possibilita' di partecipare
 ad una effettiva dialettica processuale (sentenza n. 190 del 1970)  e
 di  contribuire,  cosi' attivamente, ad una piu' sicura ricerca della
 verita' materiale, possibilita' che, per quanto si e' detto, nel caso
 di  specie  considerato,  non  e'   pienamente   realizzabile   senza
 l'intervento,  oltre  che  del  difensore,  dell'esercente  la patria
 potesta' o la tutela". Omissis ..
 Con successiva sentenza n. 248 del 1983, infine, la medesima Corte
 (con  decisione  ritenuta  di  estrema  importanza  dalla   dottrina,
 "essendo   stato   superato   in  senso  garantistico  l'orientamento
 giurisprudenziale precedente, anticipando l'operativita' del  diritto
 di  difesa  ad  un  momento  in  cui  non  e'  ancora  intervenuta la
 'soggettivazione' dell'indizio di reita' ed introducendo un  parziale
 contraddittorio   tra   controllore   -   pubblico  laboratorio  -  e
 controllato - titolare dello scarico - nell'ambito di  una  procedura
 ammmistrativa   che   si   svolge  anteriormente  all'intervento  del
 magistrato penale), dichiarava: illegittimo, per violazione dell'art.
 24 della Costituzione, l'art.  15,  settimo  comma,  della  legge  10
 maggio  1976,  n.  319,  come  sostituito  dall'art. 18 della legge 2
 dicembre 1979, n.  650,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il
 laboratorio provinciale di igiene e profilassi dia avviso al titolare
 dello   scarico   affinche'   possa  presenziare,  eventualmente  con
 l'assistenza di un consulente tecnico, all'esecuzione dell'analisi".
 All'uopo la Corte precisava testualmente: omissis .. La  questione
 e'  fondata.  Questa Corte ha gia' precisato che il diritto di difesa
 sarebbe violato qualora la  nozione  di  procedimento  nel  quale  il
 secondo  comma  dell'art.  24 della Costituzione garantisce la difesa
 come   diritto   inviolabile  venisse  intesa  in  senso  restrittivo
 escludendo le attivita' "preordinate" a una pronuncia penale  che  si
 traducono  in  processi  verbali  di  cui e' consentita la lettura in
 dibattimento "poste in essere al di fuori del normale intervento  del
 magistrato  (sent.  n.  86/1988,  Foro it., 1968, I, 1689). In base a
 tale orientamento, la Corte ha compreso nel concetto di  procedimento
 nel  quale  si  deve  realizzare  il  diritto  di difesa, gli atti di
 polizia giudiziaria  di  cui  all'art.  225  del  c.p.p.;  (sent.  n.
 86/1988)  e  la  fase di revisione dell'analisi prevista dall'art. 44
 del r.d.-l. 15 ottobre 1925 n. 2033 in materia di  repressione  delle
 frodi  nelle  preparazioni e nel commercio di sostanze di uso agrario
 (sent. n. 149/1969, id.,  1970,  I,  8).  Situazioni  paragonabili  a
 quelle  oggetto  di  giudizio di legittimita' costituzionale definite
 con le sopracitate sentenze si riscontrano, per quanto ora si  dira',
 nella fattispecie all'esame della Corte".
    E'  opportuno  riportare  ora  quanto  rilevato nella relazione al
 codice di procedura penale del 1988 con riferimento all'art. 369 gia'
 citato: "L'art. 369, concernente l'informazione di garanzia e'  stato
 introdotto  per  attuare  la  direttiva  38, parte quinta. Dai lavori
 preparatori della legge-delega emerge chiaramente che il  legislatore
 con  tale  direttiva,  considerando  che,  in  concreto,  il  vigente
 istituto  della  comunicazione  giudiziaria  (frutto  della  modifica
 apportata,  con  legge  15  dicembre  1972,  n.  773,  all'avviso  di
 procedimento introdotto con legge 15 dicembre 1969, n.932),  anziche'
 assolvere  a  quelle  funzioni  garantistiche  per le quali era stato
 concepito, spesso ha determinato rilevanti lesioni della  reputazione
 di  indiziati  a  carico  dei  quali successivamente non e' risultato
 alcun concreto elemento di responsabilita', ha voluto ovviare a  tale
 grave  inconveniente  adottando  una  soluzione  che, pur conservando
 sostanzialmente e concretamente la funzione di garantire  l'esercizio
 del  diritto  difesa  da  parte dell'imputato, anche nella fase delle
 indagini preliminari, evita di produrre a  persone,  che  magari  non
 saranno mai rinviate a giudizio, danni - anche in termini di indagini
 e  di  costi  umani - propri del procedimento penale. Nella redazione
 dell'articolo si e' anche tenuto conto del recente disegno  di  legge
 governativo  n.  499/s,  comunicato  alla  presidenza del Senato il 5
 ottobre   1987,   concernente   la   modifica   della   comunicazione
 giudiziaria.  Nella  relazione,  fra l'altro tale disegno di legge e'
 presentato come una anticipazione del nuovo codice.
 L'espressione   'comunicazione   giudiziaria'   e'  stata,  cosi',
 sostituita con quella 'informazione di garanzia', apparsa piu' idonea
 a qualificare l'istituto in esame. Detta informazione di garanzia non
 viene piu' data all'inizio dell'indagine, ma,  coerente  con  la  sua
 funzione istituzionale, sin dal compimento del primo atto al quale il
 difensore  ha diritto di assistere. E' solo in tale momento, infatti,
 che sorge l'esigenza di notiziare l'imputato del procedimento  a  suo
 carico,  giacche' solo in relazione al compimento degli atti suddetti
 puo' in concreto estrinsecarsi l'attivita' del difensore".
 Nei primi commenti per detto  nuovo  istituto  si  osservava  che,
 comunque,  rimaneva  valido  quanto  affermato  in  precedenza  dalla
 costante giurisprudenza di legittimita'  e  di  merito,  secondo  cui
 detta  comunicazione  era  dovuta  soltanto  quando lo sviluppo delle
 indagini fosse tale da consentire la fondata attribuzione, a  taluno,
 della  qualifica di "indiziato" (o, secondo la nuova terminologia, di
 "persone sottoposte ad indagini").  Piu'  precisamente  la  Corte  di
 cassazione,  con  puntuale  uniformita' sino al 1988, aveva affermato
 che  la  comunicazione  giudiziaria  puo'  assolvere   seriamente   e
 fattivamente  la  funzione  garantistica  che la legge le attribuisce
 solo se effettuata nei confronti nei soggetti raggiunti  da  concreti
 elementi processualmente valutabili.
 L'obbligo di essa pertanto, implica e presuppone che nei confronti
 del soggetto esistano prove o quanto meno indizi di reita' e non solo
 dei  meri  sospetti.  Con  la  'comunicazione' infatti, il giudice e'
 tenuto ad indicare le norme di legge violate e la data del  fatto  in
 concreto addebitato, e cioe' specifiche indicazioni incompatibili con
 le presupposizioni di un mero sospetto (tra le ult.: Cass. Pen. sez.I
 19 gennaio - 20 febbraio 1987, n.93).
    4.   -  Il  giudicante,  prendendo  atto  dell'orientamento  della
 giurisprudenza (ordinaria e costituzionale)  e  delle  determinazioni
 del  legislatore  del 1989, sopra necessariamente riportate, non puo'
 esimersi  di  osservare,  anzitutto,  -  sulla  base  anche  di   una
 lunghissima esperienza pretorile gia' sino al 1989 - che "l'avviso di
 procedimento"  o "la comunicazione giudiziaria" (ora "informazione di
 garanzia"), in tanto hanno potuto provocare agli indiziati  a  carico
 dei quali successivamente non e' risultato alcun concreto elemento di
 resposabilita' i gravi pregiudizi indicati nella richiamata relazione
 al  nuovo  c.p.p.,  in  quanto,  tra  l'altro, nonostante le numerose
 istanze in tal senso da parte degli operatori del  diritto  -  e  non
 soltanto  di quelli - il legislatore non ha ancora sancito il divieto
 di indiscriminata pubblicazione di  tale  informativa  del  p.m.  che
 meritava, per le sue caratteristiche sopra evidenziate, l'obbligo del
 segreto  ex art. 71 della legge delega e 329 del c.p.p. oltre che per
 il rispetto degli artt. 2 e 24 della Costituzione  e  delle  numerose
 convenzioni internazionali in materia.
 Ed,  intanto, si continuano a registrare molto spesso, per persone
 che magari non saranno mai  rinviate  a  giudizio,  "danni  anche  in
 termini di immagine e di costi umani propri del procedimento penale".
 Inoltre,  ritiene il giudicante che quanto leggesi nella relazione
 del nuovo c.p.p. con riferimento all'istituto  dell'informazione,  di
 garanzia  -  e  cioe'  che la stessa non viene data dall'inizio delle
 indagini ma sin dal compimento del primo atto al quale  il  difensore
 ha  diritto di assistere, sorgendo solo in tale momento l'esigenza di
 notiziare l'imputato del procedimento a suo carico, giacche' solo  in
 relazione   al  compimento  degli  atti  suddetti  puo'  in  concreto
 estrinsecarsi l'attivita'  del  difensore  -  rende  doverose  alcune
 considezioni.
 All'uopo  e' necessario richiamare sia la sentenza n. 248 del 1983
 della   Corte   costituzionale   -   sopra   riportata   -   relativa
 all'estensione  del  concetto di "procedimento" al fine di realizzare
 piu'  adeguatamente  il  diritto  alla  difesa  ex  art.   24   della
 Costituzione,  sia  quella  del 24 settembre 1975 n.  99 - pure sopra
 riportata - con riferimento alla reale funzione della  "comunicazione
 giudiziaria"  (ora informazione di garanzia) ed alla necessita' della
 stessa  "per  rendere  edotta  la  persona  indiziata  di  un   reato
 dall'inizio  della  procedura a suo carico, in modo da consentirle di
 predisporre tempestivamente  la  sua  auto-difesa  e  di  contribuire
 (anche  al  di  la'  della  difesa tecnica), attivamente, ad una piu'
 sicura ricerca della verita' materiale".
 Ne' puo' obliterarsi quanto previsto, non solo dall'art.  367  del
 c.p.p.,  secondo cui in (tutto) il corso delle indagini preliminari i
 difensori hanno facolta' di presentare memorie e richieste scritte al
 p.m., ma, soprattutto, dall'art. 374 p.p. del  c.p.p.  (Presentazione
 spontanea)  secondo  cui  "chi ha notizia che nei suoi confronti sono
 svolte indagini ha facolta' di presentarsi al p.m.  e  di  rilasciare
 dichiarazioni".
 Il  tutto, a parere del giudicante, puo' far ritenere che, anche a
 prescindere dal compimento di atti ai quali il difensore  ha  diritto
 di  assistere,  si  appalesa  ugualmente  indispensabile per la piena
 realizzazione del diritto di difesa ex art.  24  della  Costituzione,
 informare  ufficialmente  e  segretamente  l'indagato  (senza  che lo
 apprenda  dalla  voce  o  dall'opinione   pubblica   "giornalistica")
 dell'inizio  di  un  procedimento penale a suo carico, sia pure con i
 limiti e le cautele evidenziati dalla dottrina e dalla giurisprudenza
 di cui sopra si e' detto, onde evitare qualsivoglia pregiudizio  alle
 indagini della p.g. e del p.m.
 Compito,   quest'ultimo,  ovviamente,  (ma  non  assolutamente  ed
 illimitatamente   discrezionale)   del   legislatore   (su    impulso
 auspicabile, in particolare, dalla Commissione per la revisione delle
 norme  del  codice  di procedura penale e disposizioni complementari,
 istituita con d.m. 12 novembre 1994) cui spetta anche  il  potere  di
 fissare  un ragionevole lasso di tempi, con possibili proroghe, entro
 cui il p.m. presso la  pretura  circondariale,  -  in  considerazione
 delle  particolari  caratteristiche  del  procedimento relativo, gia'
 diffusamente evidenziate - allorquando non ritenga ancora di chiedere
 al g.i.p. pretorile il decreto di archiviazione e  di  compiere  atti
 istruttori  al  fine di emettere il decreto di citazione a giudizio -
 per qualsivoglia  motivo  legittimo  -,  debba  informare  l'indagato
 dell'inizio  di  un  procedimento  a suo carico per consentirgli, con
 effettivita',   quanto   considerato   ed   affermato   dalla   Corte
 costituzionale  nelle  sentenze  n.  99  del 1975 teste' richiamata e
 dagli stessi artt. 367 e 394  p.p.  del  nuovo  c.p.p.  in  ossequio,
 anzitutto,  all'art.  24  della  Costituzione  italiana e nell'ambito
 della interpretazione di questa norma  da  parte  del  giudice  delle
 leggi, come sopra evidenziato.
 La  necessita'  ora  posta  in  risalto  e'  determinata, appunto,
 dall'obbligo di non  violare  detta  norma  fondamentale  del  nostro
 ordinamento  costituzionale,  pur  con  la  consapevolezza  che detta
 informativa non e' imposta specificatamente dalla Carta  fondamentale
 dello Stato.
 Ma  non  e'  ne'  rilevante  ne'  decisivo,  neppure, a parere del
 giudicante, riconoscere che la garanzia costituzionale del diritto di
 difesa possa estendersi sino alla tutela dell'aspirazione  (comunque,
 non  da sottovalutare) di scongiurare lo strepitus fori. Trattandosi,
 invece,  di  evitare  -  come  potrebbe  verificarsi  con   l'attuale
 disciplina legislativa sopra richiamata - che l'indagato venga citato
 a  giudizio  dibattimentale  (senza  alcuna  colpa, naturalmente, del
 p.m.,  per  quanto  si  e'  detto  e  si  dira')  a  distanza  di  un
 notevolissimo  lasso  di  tempo - presumibilmente addirittura sino ai
 termini prescrizionali - senza aver mai saputo che e' stato  iniziato
 nei  suoi  confronti  un  procedimento  penale, con l'intuibile grave
 pregiudizio del suo diritto di difendersi, nel senso precisato  dalla
 stessa Corte costituzionale (in particolare: sent. n. 99 del 1975).
 Ne' puo' dirsi che il rimedio di cui si parla sia in contrasto con
 i  principi  del nuovo Codice di procedura penale, essendo stato anzi
 espressamente stabilito nell'art. 2 della legge  delega  per  la  sua
 emanazione  (legge  16  febbraio  1987,  n.  81)  che  "il  codice di
 procedura penale  deve  attuare  i  principi  della  Costituzione  ed
 adeguarsi  alle  norme  delle  convenzioni  internazionali ratificate
 dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale"
 con i criteri della "massima semplificazione  nello  svolgimento  del
 processo" e con la "partecipazione dell'accusa e della difesa su basi
 di parita' in ogni stato e grado del procedimento".
 Orbene,   appare   evidente,   a   parere   del   giudicante,  che
 l'inconveniente   paventato   in   pregiudizio   dell'indagato    nel
 procedimento pretorile sia, non solo in contrasto con detti principi,
 ma  finisca  anche  con  impedire, per l'involontario mancato apporto
 difensivo, l'eventuale eliminazione di  numerosi  procedimenti  prima
 ancora  del  dibattimento; non dovendosi, all'uopo, obliterare quanto
 stabilito gia' dall'art. 37 della legge  delega  (potere  dovere  del
 p.m.  di  compiere  indagini  in  funzione dell'esercizio dell'azione
 penale e dell'accertamento  di  fatti  specifici,  ivi  compresi  gli
 elementi  favorevoli  alll'imputato) sia dell'art. 358 del c.p.p. (il
 p.m. compie ogni attivita' necessaria ai fini indicati nell'art.  326
 e  svolge altresi' accertamenti su fatti e circostanze a favore della
 persona sottoposta alle indagini).
 In ogni caso, la scarsissima possibilita' dell'indagato e del  suo
 difensore  di  intervenire,  senza  la  suddetta  "informativa",  per
 dedurre le discolpe, puo' pure non incentivare  il  p.m.  a  compiere
 indagini  preliminari  di  sua  competenza  con  qualsivoglia  esito,
 giungendosi al dibattimento - in seguito al decreto  di  citazione  a
 giudizio  pretorile - senza elementi di prova che ivi deve "formarsi"
 ed inducendo il giudice del dibattimento a svolgere - con  affanno  e
 lunghissima  notoria  perdita  di tempo - che indagini preliminari di
 competenza della p.g. e del pubblico ministero.
 Avvalora questa ultima preoccupazione la Corte costituzionale  con
 l'importante  sentenza  n.  445 del 26 settembre-12 ottobre 1990 ove,
 sia pure in parte, questa problematica viene  lucidamente  affrontata
 con  riferimento  alla  ritenuta  incostituzionalita'  dell'art. 554,
 secondo comma, del c.p.p., stabilendo, conclusivamente, quanto segue:
  .Omissis.  "Come  efficacemente  osserva  l'ordinanza del giudice di
 Vercelli, non puo' affatto  dirsi  che  il  disposto  dell'art.  554,
 secondo comma, 'soddisfi realmente le esigenze di semplificazione che
 informano  il rito innanzi al pretore'. Il costringere il giudice per
 le  indagini  preliminari  -  che  'a  fronte  di  una  richiesta  di
 archiviazione  contrassegnata  da  assenza  o  carenza  di  indagini,
 ritenga  di non accoglierla' - ad innescare sempre' il meccanismo del
 decreto di citazione a giudizio piuttosto  che,  piu'  semplicemente,
 come  previsto  dall'art. 409 del c.p.p., darsi luogo all'indicazione
 di  nuove  indagini'  entro  un  termine   strettamente   prefissato,
 significa,  da  un  lato,  precludere  in  modo  prematuro lo sblocco
 rappresentato dall'archiviazione,  che  a  seconda  dell'esito  delle
 nuove  indagini, potrebbe essere riproposta dal pubblico ministero e,
 questa volta, condiviso dal  giudice  per  le  indagini  preliminari;
 dall'altro  lato,  significa far mettere obbligatoriamente in moto le
 complesse  incombenze  traducentesi  negli  atti   introduttivi   del
 giudizio,  senza che vi sia oggettivamente l'insuperabile necessita':
 cosi' appesantendo i ruoli del dibattimento  per  rinviare  a  quella
 sede  -  che  dovrebbe,  invece,  essere  deflazionata  al  massimo -
 accertamenti assai  piu'  speditamente  e,  comunque,  immediatamente
 realizzabili  in  fase di indagini preliminari. La conseguenza, sotto
 quest'aspetto, e' che proprio il rito pretorile, da disciplinare  per
 delega  secondo  criteri di massima semplificazione, viene sottoposto
 ad inevitabili complicanze, mentre il  rito  di  base  fruisce  della
 possibilita'  di  acquisire  agilmente,  nel  termine  indispensabile
 fissato dal giudice, ulteriori chiarimenti, comunque preziosi per  le
 determinazioni del pubblico ministero" Omissis ..
 Ne  consegue,  a  parere  del  giudicante,  la  non manifestamente
 infondatezza degli artt. 38 della legge delega del 1987,  369  e  554
 del  c.p.p.  laddove  prevedono  nel  procedimento pretorile soltanto
 l'informazione di garanzia sin dal primo atto al quale  il  difensore
 ha   diritto  di  assistere  senza  nessun  termine  ragionevole  per
 informare l'indagato - nei modi piu' adeguati e opportuni possibili -
 che e' stato iniziato un procedimento a suo carico e non  si  ritiene
 ancora   di  chiedere  l'archiviazione  o  compiere,  comunque,  atti
 istruttori o disporre il decreto di citazione a giudizio  davanti  al
 pretore.  Cio'  per  violazione  degli artt. 24 (per le ragioni sopra
 precisate), 3 (diversificazione irragionevole  e  incoerente  tra  il
 rito  preliminare  presso  il  Tribunale  e quello presso il pretore:
 sentenza  Corte  costituzionale  nn.  445  del  1990  e   112   della
 Costituzione  (esclusivita'  del p.m. a compiere atti preliminari per
 l'obbligatorio esercizio dell'azione penale).
    5.  -  Laddove  pero'   codesta   on.   Corte   dovesse   ritenere
 manifestamente infondata la questione di costituzionalita' cosi' come
 ora   prospettata  e,  permanesse,  quindi,  la  non  obbligatorieta'
 dell'informazione di garanzia nel  caso  sopra  specificato,  ritiene
 questo   pretore  di  sottoporre  alla  stessa  -  sia  pure  in  via
 subordinata, per quanto sopra detto - quella relativa  all'art.  554,
 primo  comma,  del  c.p.p.  in  riferimento agli artt. 3, 24, secondo
 comma, e 112 della Costituzione, nella parte in cui autorizza il p.m.
 a rinviare l'imputato a giudizio senza  compiere  alcuna  indagine  e
 senza  prima  sentire  l'indagato;  o comunque, ritenuta rilevante la
 questione di legittimita' nella parte in cui la norma succitata viene
 interpretata nel senso surriferito.
 Questione   sollevata   anche   dal  pretore  di  Arezzo,  sezione
 distaccata di Sansepolcro, con  ordinanza  del  21  giugno  1994,  in
 Gazzetta  Ufficiale  del  21  giugno  1994, con la motivazione che si
 condivide e si riporta in parte di seguito, integrata da quanto sopra
 si   e'   precisato   correlativamente:    omissis    .."Nel    corso
 dell'istruttoria  dibattimentale  odierna  emergeva  che  il rinvio a
 giudizio era stato  disposto,  non  solo  senza  aver  prima  sentito
 l'imputato,  ma  anche  senza  avere compiuto alcuna indagine tesa ad
 accertare la fondatezza della denuncia o ad individuare resistenza di
 prove. In relazione a  tale  situazione  questo  pretore  ritiene  di
 sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 554,
 primo comma, del c.p.p. che cosi' statuisce: 'Concluse  le  indagini,
 il p.m. trasmette gli atti al g.i.p. con richiesta di archiviazione o
 di  decreto  penale  di condanna ovvero emette decreto di citazione a
 giudizio'. La questione di  legittimita'  costituzionale  che  questo
 pretore  ravvisa  investe  tale  norma  laddove  autorizza  il p.m. a
 rinviare a giudizio l'imputato senza compiere alcuna indagine,  senza
 prima   sentirlo   o,  comunque,  laddove  la  suddetta  norma  viene
 interpretata in tal senso. Si potrebbe anche dire  che  la  norma  e'
 incostituzionale  per la sua genericita', in quanto non stabilisce un
 minimun di attivita' di indagine  da  compiere  prima  del  rinvio  a
 giudizio.  Su questo punto e' opportuno richiamare l'attenzione della
 Corte perche' il fenomeno sta assumendo proporzioni inusitate, prassi
 costante. La giustificazione che si da'  normalmente  e'  l'eccessivo
 carico  di  lavoro  del  pubblico  ministero  pretorile.  omissis  ..
 Comunque, eventuali difficolta',  se  ci  sono,  non  possono  essere
 scaricate  sul  giudice  del  dibattimento  le  cui possibilita' sono
 davvero esigue rispetto  ai  mezzi  di  cui  puo'  disporre  il  p.m.
 Omissis .. da tale modo di fare derivano conseguenze gravi e negative
 quali:  l'inusitato  aumento  dei processi come conseguenza del fatto
 che viene a mancare qualsivoglia  riscontro  sulla  fondatezza  delle
 accuse;  l'allungamento del tempo occorrente per celebrarli, perche',
 quanto piu' le accuse sono infondate e basate su sospetti, tanto piu'
 l'imputato e' portato a difendersi con  una  valanga  di  prove  che,
 essendo  richieste  per  la prima volta in udienza, spesso presentano
 difficolta' di assunzione. Omissis .. 'il  proliferare  dei  processi
 allontana  sempre  di piu' il tempo della loro celebrazione favorendo
 la prescrizione dei reati. Di fatto il  pretore  non  e'  chiamato  a
 celebrare  processi  ma a svolgere indagini preliminari di competenza
 degli organi di polizia giudiziaria e  del  pubblico  ministero  (tra
 l'altro,  quasi  sempre,  delegante  in  udienza  un  v.  procuratore
 onorario, per le gravi carenze organiche dagli uffici  della  procura
 della  Repubblica  presso  la pretura circondariale di cui si dira').
 Per le conseguenze  cui  puo'  dare  luogo,  la  norma  in  questione
 costituisce  una  grave  smagliatura  nel  sistema processuale penale
 vigente. Puo' essere considerata una specie di  buco  nero  ove  puo'
 passare  di  tutto:  dall'accusa  piu'  infondata  e  presuntuosa, al
 tentativo  di  ricatto,  alla  strumentalizzazione  della   giustizia
 penale. Che la norma in questione per il suo contenuto e comunque per
 il  modo  in  cui  viene  interpretata  sia in contrasto con la legge
 ordinaria e con quella costituzionale sembra evidente.  Il  principio
 di consentire ad una persona indagata di difendersi entro un lasso di
 tempo  ragionevole  e' uno dei cardini del nostro ordinamento penale.
 E' recepito addirittura per le violazioni amministrative che  se  non
 contestate  entro  cinque  mesi  dal fatto non sono piu' punibili. Lo
 scopo e' evidentemente quello di consentire una difesa  efficace  che
 rischia  di  essere vanificata col passare del tempo'. Omissis .. Per
 quanto riguarda le  norme  costituzionali  che  si  possono  ritenere
 violate  questo pretore si limita a richiamare gli artt. 3, 24 e 112.
 Il principio di eguaglianza e' violato sono un  duplice  aspetto:  in
 quanto  l'attribuzione della qualifica di imputato, che e' certamente
 una posizione scomoda e di inferiorita' rispetto a  quella  di  parte
 lesa, viene attribuita dando credito solo ad una sola delle parti che
 hanno  interesse  alla vicenda. Questo e' certamente grave per quelle
 situazioni di reciprocita che molto di frequente sono alla base delle
 situazioni dalle quali scaturiscono le querele o le  denuncie  specie
 quando provengono non da organi dello Stato preposti all'accertamento
 dei   reati  ma  da  privati;  il  principio  e'  anche  violato  con
 riferimento alla posizione di chi viene rinviato a giudizio di fronte
 al tribunale che gode garanzie molto maggiori. Ne' la giustificazione
 puo' essere individuata nella minore gravita' dei reati di competenza
 del pretore; situazioni che non sempre si verifica. Basti pensare  ai
 maltrattamenti    in    famiglia,   alla   ricettazione,   al   furto
 pluriaggravato. Il diritto alla difesa non solo  e'  violato,  ma  e'
 addirittura  eliminato  alla  radice  nello  stato e nella fase delle
 indagini. Dire che in realta' tutte le garanzie dell'imputato vengono
 assicurate nel dibattimento non convince, sia per  la  diversita'  di
 posizione  in  cui  viene a trovarsi la persona imputata sia perche',
 intervenendo il dibattimento e la conoscenza dell'accusa  a  distanza
 di   anni,  le  possibilita'  di  difesa  vengono  o  possono  essere
 vanificate  dal  decorso  del  tempo.  Basti  pensare  al  fatto  che
 l'imputato  potrebbe  non  piu'  ricordare o che testimoni importanti
 potrebbero  essere  scomparsi  o  che  riscontri  possibili  a  breve
 distanza  dal  fatto  non  sarebbero piu' tali. L'art. 112 e' violato
 perche', di fatto  l'esercizio  dell'azione  penale  e'  delegato  al
 privato,  e  perche'  possono  essere  portati in dibattimento - e di
 fatto vengono portati - processi sforniti di prove. In conclusione lo
 scrivente  non  puo'  non  richiamare  la  sentenza  n.  445  del  26
 settembre-12  ottobre 1990 dove questa problematica viene lucidamente
 affrontata  con   riferimento   alla   ritenuta   incostituzionalita'
 dell'art.  554,  secondo  comma, del c.p.p.   che pur aveva un ambito
 molto piu' modesto con conseguenze meno gravi. omissis ..".
 Naturalmente, per far fronte ad  eventuali  nuove  incombenze  che
 potrebbero  scaturire dall'esito positivo delle proposte questioni di
 costituzionalita' di cui sopra, gli uffici delle  procure  presso  le
 preture   circondariali   dovrebbero   contestualmente  essere  poste
 finalmente in condizioni strutturali e di operativita' adeguate  -  a
 livello  anche umano - per scongiurare gli inverosimili inconvenienti
 di cui sopra - non a caso - si e'  fatto  ampiamente  cenno,  insieme
 alle  prospettive  di  vere  e  proprie  paralisi.  Tenendo presente,
 all'uopo, che, a parere del giudicante, anche le gravi e  persistenti
 carenze  e imperfezioni di questa natura possono - determinare - come
 sta avvenendo - la violazione non soltanto dei  principi  informatori
 del  nuovo  codice di produra penale, ma pure di basilari norme della
 Carta fondamentale dello Stato oltre quelle gia'  richiamate  e  piu'
 specificatamente l'art. 97, primo comma.
    6.  -  In  ordine di gradualita' e alternativa, il giudicante deve
 ora  prospettare  a  codesta  on.   Corte   l'ultima   questione   di
 costituzionalita'  contenuta  nel  dispositivo  di  questa ordinanza,
 tenuto conto che nel caso in  esame,  l'imputata  Pantaleo,  dopo  la
 denuncia  a  suo carico, secondo quanto riferito dal p.m. di udienza,
 fu sentita dai Carabinieri di Ruffano.
 Orbene, ex art. 350 u.p. 514 e 503, terzo comma, del  c.p.p.,  dei
 verbali   delle   dichiarazioni   rese   dall'imputata  alla  polizia
 giudiziaria, spontaneamente o assunte in presenza del difensore,  non
 e'  consentita  l'utilizzazione in dibattimento salva la possibilita'
 per il p.m. ed i difensori di sevirsene per contestare in tutto o  in
 parte il contenuto delle deposizioni.
 Pertanto,   in   mancanza   di   informazione   di   garanzia,  di
 interrogatorio dell'indagato e del compimento di atti  istruttori  da
 parte  del  p.m.;  pretorile,  secondo  la vigente disciplina - ferme
 restando tutte  le  considerazioni  svolte  a  supporto  delle  altre
 questioni   sollevate  -  l'ulteriore  impossibilita'  di  utilizzare
 adeguatamente (naturalmente nei limiti  dei  principi  relativi  alla
 formazione della prova nel nuovo processo penale a distanza, a volte,
 come  si  e'  visto,  di  molti  anni  dal  fatto, gli unici elementi
 ricavabili dalle indagini  preliminari  condotte  dalla  p.g.  in  un
 momento  relativamente  prossimo  all'accadimento, con riferimento al
 contatto ed alla partecipazione dell'indagato, potrebbe pregiudicare,
 a parere del giudicante, a seconda del contenuto delle  dichiarazioni
 da lui rese in quella sede, sia il diritto di difesa dell'imputato in
 dibattimento,  sia  la  funzionalita'  dell'accusa in questa fase del
 procedimento, per  il  difetto  di  una  sia  pur  minima  dialettica
 processuale  da  coordinare  e  sviluppare  sotto  il  controllo  del
 giudice.
 Ne consegue la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 costituzionalita'  degli  art.  350,  secondo, terzo e settimo comma,
 514, primo comma, e 503, terzo comma, del  c.p.p.  laddove  escludono
 l'acquisizione e l'utilizzabilita' delle dichiarazioni spontanee rese
 dall'indagato  o  assunte  alla presenza del difensore dalla p.g., se
 non limitatamente all'ipotesi di contestazione di  cui  all'art.  503
 s.c., per violazione degli artt. 24 e 112 della Costituzione.
 A questo punto non e' superfluo evidenziare che sussiste, anche, a
 parere  del  giudicante,  la  rilevanza delle questioni sollevate con
 riferimento a procedimento in esame.
 Invero, laddove la Corte dovesse accoglierle, anzitutto,  l'omesso
 avviso  di  procedimento nel senso sopra precisato o "informazione di
 garanzia" da parte del p.m. nei confronti dell'imputata comporterebbe
 o la nullita' assoluta ex art. 179 del c.p.p.; - perche'  concernente
 "l'iniziativa   del  pubblico  ministero  nell'esercizio  dell'azione
 penale" - o quella definita dalla dottrina e dalla giurisprudenza  "a
 regime  intermedio", corrispondente, nella nuova disciplina, a quelle
 di cui all'art. 180 del vigente c.p.p. che colpirebbe, il decreto  di
 citazione  a  giudizio,  gli  atti antecedenti e quelli successivi ex
 art. 555  s.c.,  conseguenzialmente  coinvolto  nonostante  l'attuale
 formulazione.   Cosi'   pure,   nella   gradata   ipotesi  di  omesso
 interrogatorio dell'imputata stessa anteriormente  all'emissione  del
 decreto  di  citazione  a  giudizio;  con necessaria trasmissione, in
 entrambi in casi, degli atti al p.m. non trattandosi  di  regressione
 anomala  del  procedimento  alla  fase anteriore (arg. a cont. tra le
 altre, Cass. pen. s.u. 13 luglio 1993, n. 19).
 Infine,   nell'ulteriore   ipotesi  di  piena  utilizzabilita'  in
 dibattimento delle dichiarazioni rese  dall'imputata  alla  p.g.,  la
 rilevanza e' in re ipsa per le ragioni gia' espresse in merito.