LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza visti gli atti processuali assunti nel procedimento per ricusazione proposto dal difensore di Battaggia Franco, nato a Venezia il 3 febbraio 1946, attualmente detenuto presso la casa circondariale di Verona. O S S E R V A Con sentenza n. 18 in data 5 ottobre 1994 le sezioni unite della Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso proposto da Battaggia Franco, annullavano l'ordinanza della corte di appello di Venezia, sez. 2a, in data 22 marzo 1994, e rimettevano ad altra sezione di questa Corte la decisione sulla ricusazione proposta dal difensore del Battaggia contro la corte d'assise d'appello, sez. 1a, di Venezia. La decisione veniva affidata a questa quarta sezione. Appare necessario, per la migliore comprensione della vicenda processuale, ripercorrere sia pur schematicamente l'iter dei fatti: 1) con sentenza 28 giugno 1993 il g.i.p. presso il tribunale di Venezia, in esito a rito abbreviato, condannava il Battaggia, all'epoca latitante, a pena di anni 18 di reclusione, ritenuta la continuazione tra i reati di omicidio volontario ed altri, e riconosciuto concorso dell'attenuante del risarcimento dei danni dichiarata equivalente; altri coimputati erano condannati a pene minori; 2) proponendo appello, il Battaggia richiedeva, oltre ad altri motivi, anche la prevalenza delle gia' riconosciute attenuanti; 3) in data 1 marzo 1994, avanti la corte d'assise d'appello, essendo il Battaggia ancora latitante, il suo difensore ed il p.g. proponevano al giudice, ex art. 599.4 del c.p.p., previa rinuncia da parte della difesa di ogni altro motivo di gravame diverso dalla misura sanzionatoria, la pena di anni 12 di reclusione, sulla base della prevalenza della attenuante gia' riconosciuta in primo grado; 4) con ordinanza letta in aula la predetta Corte respingeva la proposta con la dizione "non e' allo stato accoglibile"; 5) subito dopo lo stesso difensore del Battaggia proponeva ricusazione contro la Corte sul rilievo che si era, con cio', pronunciata su parte essenziale del merito, e, preso atto che tra le ipotesi, peraltro tassative, di cui all'art. 34 del c.p.p. non era prevista quella in esame, proponeva questione di costituzionalita' di esso art. 34 del c.p.p. per la mancata previsione dell'incompatibilita' a pronunciare la decisione di merito per il giudice che avesse respinto la proposta di pena ex art. 599 del c.p.p. (c.d. "patteggiamento improprio"); 6) con successivo atto lo stesso difensore ribadiva la proposta ricusazione e la conseguente e collegata questione di costituzionalita', integrandola con opportuna documentazione; 7) il procuratore generale in sede esprimeva parere di inammissibilita' e comunque di manifesta infondateza della proposta questione di costituzionalita'; 8) con ordinanza in data 23 marzo 1994 la corte d'appello di Venezia, sez. 2a, dichiarava inammissibile la proposta ricusazione, sul rilievo che il difensore non era munito della - ritenuta necessaria - procura speciale; 9) su ricorso della difesa, le ss.uu. della Corte di cassazione con sentenza 5 ottobre 1994 annullavano la predetta ordinanza, dichiaravano il difensore legittimato a proporre la ricusazione (atteso lo stato di latitanza del proprio rappresentato, ex art. 165.3 del c.p.p.), e rimettevano la decisione sul merito della ricusazione a senzione diversa della stessa corte d'appello di Venezia; 10) il procuratore generale, con parere 10 febbraio 1995, faceva propria la questione di costituzionalita', riproponendola nei termini di cui in atti. Sentite le parti, ritiene la Corte: a) e' del tutto pacifico che le ipotesi di incompatibilita', siccome inferenti sul principio costituzionale del giudice naturale, siano tassative, e come tali non ammettano ne' interpretazione estensiva, ne' analogica; su tale base la proposta ricusazione dovrebbe essere respinta, posto che il caso che la genera non e' previsto dall'art. 34 del c.p.p.; b) tanto ritenuto, deve affrontarsi la proposta questione di costituzionalita' che vede convergere concretamente sia la difesa che il procuratore generale nel suo parere scritto; e oggi all'udienza ribadito; c) il preliminare vaglio di rilevanza va indubbiamente superato positivamente, atteso che, ove accolta, la questione si riflette addirittura sulla potestas judicandi del giudice ricusato; si e' posta la Corte il problema della rilevanza anche sulla considerazione che l'ordinanza 1 marzo 1994 della corte d'assise di appello non motiva specificatamente le ragioni per le quali non ha accolto la proposta ex art. 599 del c.p.p. (si e' gia' detto che la dizione che leggesi nel relativo verbale e' "non e' allo stato accoglibile"); tuttavia tale formula, che ripete in modo pedissequo quella normativa (si veda art. 599.5 del c.p.p.: "se ritiene di non poter accogliere, allo stato, la richiesta", in ipotesi contiene gia' in se', inevitabilmente, e pur se in modo implicito, un giudizio sulla proposta stessa; del resto la valutazione di rilevanza della questione va posta non gia' in relazione alla motivazione in concreto (che puo' essere piu' o meno felice), ma sul paradigma normativo; nel caso si pone quindi il problema se, come proposto dalle parti, una tale reiezione concretizzi una valutazione sul merito o su parte essenziale di esso, qual'e' la misura sanzionatoria, tale che implichi una violazione dei principi costituzionali invocati; insomma, la rilevanza della questione sussiste indipendentemente dalla motivazione, e si pone sul paradigma normativo, qualunque sia stata la considerazione adottata dal giudice a sostenere il proprio convincimento nel caso concreto; d) in relazione a quanto proposto, e per verita' per argomentazione ampiamente condivisa da questa Corte, il ragionamento deve procedere ora sulla presa d'atto della natura sostanziale del giudizio che e' chiamato a dare il giudice nell'accogliere o respingere la proposta di "patteggiamento improprio" ex art. 599.4 del c.p.p., essendo evidente che ove essa fosse da intendere di natura per cosi' dire astratta, generica, quasi paradigmatica, ne deriverebbe in modo sicuro che in tale valutazione il giudice, non entrando nel merito del decidere, non si pone in situazione di incompatibilita'; non ne deriverebbe quindi vulnerazione del principio di terzieta', e dunque non avrebbe ragion d'essere la proposta questione di costituzionalita' che, in tal caso, dovrebbe essere dichiarata manifestamente infondata; e) in realta' cosi' non e'; osserva la Corte che la norma in esame (art. 599.4 del c.p.p.) non esplicita in base a qual tipo di considerazioni il giudice debba accogliere o non accogliere la proposta; appare del tutto evidente a questa Corte che la valutazione, proprio perche' la proposta riguarda la misura della pena, debba essere fatta quanto meno, ma essenzialmente, proprio sulla ragionevolezza della pena proposta; proprio per il motivo che la norma non stabilisce una direttiva motivazionale, non c'e' dubbio che si debba far riferimento ai principi generali in materia; dunque la valutazione sull'accoglibilita' o meno della proposta ex art. 599.4 del c.p.p. non puo' non basarsi che sulla congruita' della pena; tale congruita' non puo' che essere concreta, cioe' ragguagliata all'imputato da giudicare e al fatto in imputazione; del resto in punto di congruita' della pena il riferimento necessario e' all'art. 133 del c.p. che impone parametri del tutto concreti, e cioe' adagiabili sulla persona e sul fatto da giudicare, non gia' in astratto; cio' trova riscontro in decisioni puntuali e conformi della Corte di legittimita' che indica in subiecta materia la valutazione di congruita' concreta; si veda sul punto: cass. sez. VI, 20 settembre 1991, 9842, ric. Verterano; cass. sez. VI 26 febbraio 1993, 1869, ric. Cirillo; cass. sez. VI, 18 marzo 1994, 3380, ric. Paolicelli ("congrua al reato giudicato"); ove poi si allarghi il campo di valutazione, e si rifletta come in base all'art. 599.4 del c.p., la pena concordata e proposta si basa altresi' sulla sussistenza anche di circostanze attenuanti, il giudizio di bilanciamento (come nella presente fattispecie), le sanzioni sostitutive, la qualificazione giuridica (con riferimento al primo comma dello stesso articolo), non ci possono essere piu' dubbi che la valutazione che il giudice e' chiamato a fare non sia meramente formale, estrinseca, quasi asettica, bensi' pregnante e penetrante su materia che altro non puo' definirsi che merito del decidere; f) ma se la valutazione in parola entra nel merito del decidendum, o almeno di parti cosi' essenziali del decidendum, quali la pena, la sua congruita' (anche attraverso il meccanismo del bilanciamento) la sussistenza di attenuanti, ne consegue che il pronunciamento relativo inevitabilmente gia' implica una espressione processuale non ripetibile poi nelle persone degli stessi giudicandi senza violare il principio della terzieta' e senza violare il principio fondamentale del divieto di duplicazione del pronunciamento sullo stesso tema e sulla stessa persona; g) osserva in proposito la Corte che non diversamente la Corte costituzionale, nelle sentenze 25 marzo 1992, n. 124, 26 ottobre 1992, n. 399, e 16 ottobre 1993, n. 439, proprio sul presupposto di fatto di valutazione di attenuanti e congruita' della pena, ha dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 34 del c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del g.i.p. che abbia disatteso la richiesta di patteggiamento proprio, ex art. 444 del c.p.p., a partecipare alla successiva udienza preliminare; si osserva che in tali casi sussiste la medesima ragione logico-processuale e che l'unica differenza (il collegamento a riduzione premiale) non entra nella dinamica argomentativa della declaratoria di incostituzionalita'; si ravvisa insomma una piu' che significativa uguaglianza di presupposti logico-giuridico, posto che sia dato per affermato, come devesi alla stregua di quanto sopra, che la valutazione da compiere sull'accoglibilita' della proposta ex art. 599.4 del c.p.p. (che potrebbe cosi' definire il grado di giudizio) debba essere fatta in concreto, e cioe' valutando ex art. 133 del c.p. la persona ed il fato da giudicare; h) rileva ancora questa Corte come non abbiano pregio, o per lo meno non tale da capovolgere la valutazione di non manifesta infondatezza della proposta questione, quelle argomentazioni che, anziche' basarsi sulla sostanza della valutazione da compiersi ex art. 599.4 del c.p.p. (se si tratti cioe' di pronunciamento penetrante nel merito), si orientano a restringerne il campo, sottolineando che si tratta comunque di decisione per cosi' dire interlocutoria, non diversamente, si dice, da valutazione - asseritamente consimili - quali quelle in tema libertatis. L'opinione non e' da condividere, posto che le due situazioni non coincidono nei presupposti, atteso che la decisione de libertate non e' precipua su quello che sara' poi il thema decidendum, basandosi su parametri, peraltro legislativamente prefissati (il che non e' in tema di art. 599.4 del c.p.p., che e' dunque piu' discrezionale, e quindi piu' impegnativa) di pericolosita' sociale che vedono il merito solo quale incidens del diverso decidendum. Si deve considerare poi che il procedimento ex art. 599 del c.p.p. tende ad una definizione di un grado del decidere, avendo cosi' una valenza di prima giurisdizione che, indubbiamente, l'altra situazione non ha; i) tale sistema porta a dover ritenere non manifestamente infondata la proposta questione: art. 34 del c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice, che abbia disatteso la richiesta di pena congiutamente proposta da imputato e p.g. ex art. 599.4 del c.p.p., non possa partecipare alla successiva decisione di merito sul proposto gravame. Con riferimento: 1) art. 3 della Costituzione: violazione del principio di parita' tra cittadini in analoga posizione, posta corrispondenza logico giuridica con la situazione di cui all'art. 444 del c.p.p. e richiamati i gia' citati precedenti decisori della stesa Corte costituzionale; 2) art. 24 e art. 25 della Costituzione: violazione dei diritti di difesa e del principio del giudice naturale come inteso nell'ordinamento vigente, ivi compreso il sistema dell'incompatibilita' che ne e' parte integrante ed essenziale; 3) art. 76 della Costituzione: violazione dei principi della legge delega per il c.p.p., con riferimento alla direttiva punto n. 2, per mancata applicazione del principio di terzieta' del giudice decidente sul merito.