IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa civile promossa
 con ricorso notificato in data 14 aprile 1992,  causa  chiamata  alla
 udienza   collegiale   del   16   febbraio   1995  da  Rodi  Agostino
 rappresentato e difeso dall'avv. Mario  Aurigo,  come  da  mandato  a
 margine  del  ricorso,  con  domicilio  eletto  presso  lo studio del
 medesimo, opponente, contro il fallimento Litografia del Sole S.r.l.,
 in persona del curatore  avv.  Bruno  Festi  rappresentato  e  difeso
 dall'avv.  Simona Cazzaniga come da mandato in calce alla comparsa di
 risposta,  con  domicilio  eletto  presso  lo  studio  del  medesimo,
 resistente.
 Sullo svolgimento del fatto.
   Con  ricorso  notificato  in  data  14  aprile 1992, Rodi Agostino,
 interponeva opposizione ex art. 98  della  l.f.,  lamentando  che  il
 giudice  delegato al fallimento Litografia del Sole S.r.l. in sede di
 verifica, aveva ridotto il proprio credito fondato  sul  rapporto  di
 agenzia,  ammettendo  il  minor  importo  di  L.  14.443.625 e in via
 chirografaria anziche' privilegiata, sull'inesatto presupposto  della
 inesistenza  del  rapporto di agenzia; chiedeva, quindi, l'ammissione
 di L. 56.734.209, di cui una parte  per  F.I.R.R.  e  una  parte  per
 indennita'  suppletiva  di  clientela,  il  tutto in via privilegiata
 oltre spese.
    Si costituiva in giudizio il curatore, il quale eccepiva  che  non
 esisteva   il  presupposto  dell'invocato  privilegio  in  quanto  il
 rapporto in essere non poteva essere qualificato  di  agenzia  ma  di
 collaborazione  continuata  e coordinata nel settore della consulenza
 grafica.  Contestava  altresi'  la  quantificazione  del  credito   e
 concludeva per il rigetto dell'opposizione.
    Dimessi  documenti,  dato  corso  all'istruttoria  orale, la causa
 veniva assegnata in decisione all'udienza collegiale  sopra  indicata
 sulle conclusioni delle parti, come in epigrafe trascritte.
 Sui motivi della decisione
    Il giudizio di opposizione a stato passivo, ancorche' mutui talune
 regole   dai  processi  di  gravame,  e'  un  giudizio  ordinario  di
 cognizione di  primo  grado,  in  cui  l'opponente  assume  la  veste
 dell'attore,  in  guisa  che  a  suo  carico  e' addossato l'onere di
 dimostrare l'esistenza del credito  e  dei  fatti  costitutivi  della
 obbligazione   in  modo  che  il  giudice  possa  qualificarli  e  se
 richiesta, riconoscere una causa di prelazione.
 Sulla qualificazione del rapporto.
    In ordine alla qualificazione del rapporto occorre rilevare che la
 difesa  dell'opponente  si  fonda  sull'esito  dell'istruttoria orale
 dalla quale emerge che il Rodi, per tre anni, ha svolto attivita'  di
 acquisizione  di ordini presso la Standa, di stampati da distribuirsi
 sul territorio nazionale; sul punto vanno segnalate le  testimonianze
 di Cortiana, Colombo e Cremaschi che hanno univocamente confermato la
 circostanza.
    Diversamente,  la  difesa  del  fallimento  si  basa sul testo del
 contratto intercorso fra le  parti  (a  partire  dall'accordo  del  1
 luglio  1987,  poi  rinnovato),  nel  quale al Rodi risulta assegnato
 l'incarico di provvedere alla preparazione e al coordinamento tecnico
 e  grafico  dei  "pieghevoli  Standa",  nonche'  al  controllo  della
 produzione  e  alla spedizione, mansioni queste ben diverse da quelle
 del rapporto di  agenzia.  Tenuto  conto  delle  prove  raccolte,  la
 curatela  deduce  che  se  vi  e'  stata  attivita'  di promozione di
 vendite, questa era accessoria rispetto a quella  pattuita,  sicche',
 comunque, il privilegio non potrebbe essere riconosciuto.
    Ad avviso del collegio effettivamente nella attivita' prestata dal
 Rodi  non  e'  identificabile  quella propria del rapporto di agenzia
 che, e' bene ricordarlo, consiste nel promuovere affari da  parte  di
 chi  con organizzazione di mezzi assume un rischio d'impresa (Cass. 8
 gennaio 1993, n. 84; Cass. 10 gennaio 1984,  n.  183);  nel  caso  di
 specie questa connotazione tipica non pare ricorrere ove si consideri
 la   volonta'   delle   parti  (lettera  d'incarico)  confermata  dal
 comportamento successivo tenuto (il Rodi per oltre tre  anni  mai  ha
 lamentato  l'inquadramento  propostogli).  I  contatti con il cliente
 Standa ben possono conciliarsi con l'attivita' cui per  contratto  il
 Rodi era tenuto. D'altra parte e' tipico che all'agente sia assegnato
 un  certo  ambito  territoriale  entro il quale operare, mentre nella
 fattispecie di cui si discute l'opponente doveva  occuparsi  solo  di
 un'impresa (per quanto di rilevanti dimensioni).
    Non  reputa, quindi, il tribunale che al sig. Rodi possa competere
 la  prelazione  di  cui  all'art.  2751-bis  n.3)  del  c.c.    Sulla
 prestazione  di  lavoro  autonomo  e  sui  privilegi  di cui all'art.
 2751-bis del c.c.
    Escluso  che  l'opponente  possa  essere  considerato  un  agente,
 escluso  che  possa essere inquadrato come lavoratore subordinato, ne
 consegue che deve essere qualificato come prestatore d'opera e quindi
 come  lavoratore  autonomo.  Scorrendo  l'elenco   delle   cause   di
 prelazione  ci  si  avvede  che nessuna disposizione tutela, sotto il
 profilo del riconoscimento di un privilegio, il lavoro  autonomo.  Vi
 e'  una  norma,  l'art.  2751-bis  del c.c. che contempla le cause di
 prelazione  che  attengono  ad  obbligazioni  sorte  nell'ambito   di
 prestazioni  di  natura  esplicitamente  o  latamente  lavorativa, ma
 nessuna di queste previsioni comprende il lavoro  autonomo.  E'  noto
 che  in  materia di privilegi si ritiene applicabile il principio del
 divieto dell'interpretazione analogica sul presupposto  della  natura
 eccezionale  della  normativa  che  prevede  le  cause  di prelazione
 rispetto al principio della par condicio creditorum.
    Questo indirizzo trova conferma in vari pronunciamenti delle corti
 di merito e di legittimita' (fra le  piu'  recenti,  Cass.  30  marzo
 1992, n. 3878; Cass. 27 febbraio 1990, n. 1510).
    Resta   quindi   all'interprete   solo  la  facolta'  di  far  uso
 dell'interpretazione estensiva che, peraltro, in questa materia e' di
 difficile configurazione attesa la analiticita' della legislazione.
    Se si pone attenzione alla norma di cui all'art. 2751-bis del c.c.
 e' intuitivo che  una  operazione  ermeneutica  di  questo  tipo  non
 conduce  ad  alcun  risultato. Infatti il lavoratore autonomo, per la
 definizione che ne da il codice, non e' un lavoratore  subordinato  e
 ad  esso  non  puo'  essere  assimilato (l'art. 2222 del c.c. dispone
 espressamente che l'opera o il servizio vengono  svolti  "  ..  senza
 vincolo  di  subordinazione"); non e' un professionista in quanto per
 l'espletamento della prestazione non e' prevista l'iscrizione in albi
 o elenchi appositi, ne' l'opera prestata ha natura intellettuale; non
 e' un agente in quanto l'attivita' che svolge non si realizza con  la
 promozione  di  contratti  per  conto  del  preponente (art. 1742 del
 c.c.); non e' un coltivatore diretto  in  quanto  presta  la  propria
 opera  al  di fuori del collegamento con un fondo agricolo; non e' un
 imprenditore artigiano (e  tanto  meno  una  cooperativa)  in  quanto
 svolge  la  propria  opera  o  servizio  con  lavoro  prevalentemente
 proprio, e senza quella dotazione di mezzi tipica dell'imprenditore.
    La griglia della norma di cui all'art. 2751-bis del c.c.  presenta
 quindi maglie non sufficientemente serrate per comprendere tutti quei
 soggetti  che  maturano un credito nell'esplicazione di una attivita'
 direttamente o latamente lavorativa.
    Esiste, quindi, una zona grigia nel mondo del lavoro che non viene
 tutelata adeguatamente nel caso di insolvenza del committente.
    V'e' da chiedersi allora  se  tale  differente  trattamento  possa
 essere  giustificato,  ovvero se la disparita' di disciplina sia tale
 da  provocare  il  sospetto   della   illegittimita'   costituzionale
 dell'art. 2751-bis del c.c.
    Ad avviso del Collegio non e' irragionevole che il lavoro autonomo
 sia  trattato meno favorevolmente del lavoro subordinato, quanto meno
 per il fatto che nel secondo caso il dipendente e' soggetto al potere
 di  supremazia  del  datore  di  lavoro,  e'   soggetto   al   potere
 disciplinare,  e'  esposto  al  rischio dell'insolvenza del datore di
 lavoro con connotazioni di  maggior  gravita'  in  quanto  di  regola
 esplica  quell'attivita'  in  via  esclusiva  (sicche' se fallisce il
 datore di lavoro, il dipendente non puo' immediatamente procurarsi le
 fonti di sostentamento se non cercando  una  nuova  collocazione  sul
 mercato).
    Ma la disparita' di trattamento non e' irragionevole neppure se il
 confronto  viene  proposto  con  il  lavoratore  autonomo  che presta
 un'opera di natura intellettuale. La piu' favorevole  tutela  di  cui
 gode il prestatore d'opera intellettuale puo' essere giustificata dal
 fatto   che   per   talune   attivita'   l'esercizio  e'  subordinato
 all'iscrizione in appositi albi o elenchi per i quali vi sono  regole
 che  ne disciplinano l'accesso; mentre per le attivita' intellettuali
 non protette la giustificazione della particolare tutela puo'  essere
 vista  nel fatto che la prestazione intellettuale presuppone comunque
 uno  "studio  applicativo"  particolare   evidentemente   considerato
 meritevole di protezione.
    Per  quanto riguarda la disparita' di trattamento con l'agente, la
 spiegazione puo' essere fornita se si ritiene (come fa la  prevalenza
 della  dottrina e della giurisprudenza di merito ) che l'attribuzione
 del privilegio di cui al n.3  dell'articolo  2751-bis  del  c.c.  sia
 diretta a colui che svolge l'attivita' di agente e non al rapporto di
 agenzia  in  se'  (come parrebbe dalla lettura della norma), quindi a
 tutela di un soggetto che svolge il proprio lavoro in un  "clima"  di
 parasubordinazione  (si veda sul punto la volonta' del legislatore di
 trattare  l'agente  alla  stregua  del  lavoratore   subordinto   con
 riferimento  alla tutela processuale purche' l'attivita' venga svolta
 con un contributo prevalentemente personale -  art.  409,  n.  3  del
 c.p.c.).
    Rispetto  al  coltivatore diretto, la ratio di un trattamento piu'
 deteriore puo' essere individuta  nel  rischio  particolarissimo  che
 colora  l'impresa  agricola  che  gia'  fruisce  di  uno statuto piu'
 favorevole  (la  non  assoggettabilita'  al  fallimento).  Del  tutto
 ingiustificata  appare  invece  la  disparita'  di trattamento con il
 privilegio che assiste l'impresa  artigiana.    Sulla  non  manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 2751-bis  n. 5, del c.c. nella parte in cui non prevede eguale tutela
 per ogni lavoratore autonomo.
    Il privilegio di cui all'art. 2751-bis n. 5,  del  c.c.  e'  stato
 giustificato  in  quanto  si  e'  ritenuto (per la prima volta con la
 Novella del 1975) che i crediti maturati dall'impresa artigiana per i
 servizi prestati e per la vendita dei manufatti  rappresentassero  la
 remunerazione  del lavoro spiegato dall'imprenditore artigiano; si e'
 quindi assimilata la figura dell'artigiano a quella del prestatore di
 una attivita' lavorativa, sorvolando sul fatto  che  l'artigiano  e',
 comunque, un imprenditore.
    Non  e' qui il caso di ripetere (in quanto ininfluente) quanto sia
 dibattuto il problema della  qualificazione  dell'impresa  artigiana,
 sia  sul  fronte  del  riconoscimento  del  privilegio, sia su quello
 dell'esonero dal fallimento.
    Ai fini che  qui  interessano  bastera'  ricordare  che  l'impresa
 artigiana  (per  effetto  della legge n. 443/1985) ha visto nel tempo
 dilatare i propri limiti dimensionali  al  punto  che  non  e'  certo
 agevole  una  distinzione con la c.d. piccola industria. Nondimeno il
 legislatore non  e'  intervenuto  per  rivisitare  la  norma  di  cui
 all'art.  2751-bis  n.  5,  del  c.c.,  sicche' oggi vengono protetti
 crediti  che  pur  riferibili  ad  attivita'  di  natura  tipicamente
 lavorativa,  sono  imputati  a  soggetti  che  impiegano nel processo
 produttivo rilevanti capitali  e  ancor  piu'  significativi  livelli
 occupazionali.
    Ma se questa scelta non puo' essere sindacata in quanto rientrante
 nella  discrezionalita'  del  legislatore,  puo'  al contrario essere
 valutato il fatto che il legislatore abbia omesso di  considerare  il
 lavoro   autonomo   ai  fini  della  attribuzione  di  una  causa  di
 prelazione.
    Il diverso regime protettivo appare irragionevole dal momento  che
 si  accorda  una  tutela  piu' ampia al credito dell'imprenditore che
 trae la  remunerazione  del  proprio  lavoro  dall'esercizio  di  una
 impresa   rispetto   al   credito   del   prestatore   d'opera   (non
 intellettuale) che ricava le proprie fonti di reddito  dall'esercizio
 di  una attivita' prevalentemente personale (si pensi alle figure del
 pony express, delle modelle, degli accompagnatori turistici, ecc ..).
    La  ragione  di  un  trattamento  differenziato non puo' ricavarsi
 dalla tutela accordata dalla Costituzione  solo  ai  primi  (art.  45
 della  Costituzione), dal momento che la fonte primaria tutela, ancor
 prima (art.35 della Costituzione) "il lavoro in tutte le sue forme ed
 applicazioni". Che la norma sia  posta  a  tutela  anche  del  lavoro
 autonomo  e'  stato  in  passato  affermato proprio dal giudice delle
 leggi  (Corte  costituzionale  26  luglio   1988,   n.   880;   Corte
 costituzionale 27 giugno 1984, n. 180).
    Il tribunale ritiene, quindi, che sia non manifestamente infondata
 la  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 2751-bis, n.
 5, del c.c. nella parte in cui non  prevede  che  il  privilegio  sia
 riconosciuto  a  tutti  i  lavoratori autonomi per i crediti nascenti
 dall'opera o dai servizi  prestati.  I  parametri  costituzionali  di
 confronto sono quindi l'art. 3 e l'art. 35 della Costituzione.
 Sulla rilevanza della questione.
    Che   cosi'   impostata  la  questione  di  costituzionalita'  sia
 rilevante ai fini  di  decidere  l'odierna  controversia  e'  agevole
 desumerlo  dal fatto che nella qualificazione del rapporto lavorativo
 svolto dall'opponente  sono  state  state  escluse  le  altre  figure
 ricomprese  nell'art.  2751-bis  del  c.c.  In  buona  sostanza,  ove
 l'eccezione  venisse  disattesa  dalla   Corte,   all'opponente   non
 resterebbe che la collocazione del credito nel passivo chirografario,
 ove  invece  venisse  accolta,  competerebbe  l'ammissione al passivo
 privilegiato.
    Sussistono, pertanto, le condizioni  per  sospendere  il  presente
 giudizio  in  attesa  della  pronuncia della Corte costituzionale cui
 vanno rimessi gli atti ai sensi dell'art. 23 della legge  n.  87  del
 1953.