IL PRETORE Osserva che gli odierni in imputati venivano inizialmente citati a giudizio in ordine ai reati di cui agli artt. 20, lett. c), legge n. 47/1985; 1-sexies, legge n. 431/1985; 624 del c.p. per avere, essenzialmente, esercitato attivita' estrattiva in area di cava appartenente al comune di Asiago e sottoposta a vincolo paesaggistico in assenza di concessione edilizia, dinanzi a diverso pretore di questa stessa pretura circondariale; quest'ultimo, svolta l'istruzione dibattimentale, nel corso della quale veniva anche espletata perizia, e rilevato che il fatto poteva dirsi "diverso" avendo gli imputati eseguito non gia' attivita' estrattiva ma "lavori di sistemazione ambientale" (va peraltro detto che in sede di esposizione introduttiva la stessa Difesa aveva preannunciato di volere dimostrare, a propria discolpa, la sussistenza di tale circostanza), disponeva la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Conseguentemente, gli stessi imputati venivano nuovamente citati a giudizio per rispondere delle stesse violazioni di legge loro inizialmente ascritte (con la sola inserzione, nell'originario capo d'imputazione, accanto alla "attivita' estrattiva" anche di "lavori di sistemazione ambientale") avanti allo stesso pretore il quale, rilevata la sussistenza di causa d'incompatibilita' derivante dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 455 del 1994, dichiarava la propria astensione; a seguito, quindi, di accoglimento dalla dichiarazione di estensione ad opera del presidente del tribunale ex art. 36 del c.p.p. il procedimento veniva finalmente assegnato a questo pretore. Veniva quindi, all'odierna udienza, effettuata la istruzione dibattimentale nel corso della quale venivano, su richiesta del pubblico ministero espletati gli esami dei medesimi testi gia' esaminati dal primo pretore ed assunto l'esame del perito gia' nominato dal primo pretore. Cio' posto e premesso che, stando al costante orientamento della suprema Corte sul punto, il fatto di cui al nuovo decreto di citazione non appare diverso rispetto al primo essendo la condotta ascritta gli imputati rimasta inalterata ed essendo comunque gli stessi stati posti in grado sin dall'inizio di difendersi sul fatto dei lavori di sistemazione ambientale (come detto la stessa difesa si era proposta di dimostrare tale circostanza), osserva questo giudice come, all'esito della predetta istruzione, dovrebbe, a questo punto, anche d'ufficio, darsi lettura integrale o parziale degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento o, comunque, indicare specificamente gli stessi ai fini della utilizzabilita' a norma dell'art. 511 del c.p.p. (disposizione, questa, da ritenere come l'unica formalmente applicabile nella specie come del resto rilevato, per altra situazione, dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 17 del 1994, non potendo ricorrersi alla disposizione del successivo art. 511-bis esplicitamente dettata, con riferimento all'ipotesi degli atti indicati nell'art. 238 del c.p.p., per il caso di verbali di prove di "altro" procedimento penale, ovvero per situazione evidentemente differente da quella di specie riguardante verbali di prove del "medesimo" procedimento penale). Ritiene, tuttavia, questo pretore, che tale applicazione, con la conseguente utilizzabilita' dei verbali della istruzione dibattimentale svolta innanzi al primo Giudice, poi dichiaratosi incompatibile, comporterebbe gravi incongruenze e distonie rispetto ai principi generali posti a fondamento del codice di rito si' che, come piu' oltre specificato, apparirebbe non manifestamente infondata la violazione degli artt. 3, 76, 97 della Costituzione. Ed invero va anzitutto osservato che la lettura di tali verbali verebbe effettuata da un giudice diverso rispetto a quello che ebbe ad assumere a suo tempo le prove si' che potrebbe fondatamente dubitarsi circa il rispetto, nella specie, del principio d'immutabilita' del giudice sancito dall'art. 525 del c.p.p. a meno di non voler reputare che la "partecipazione al dibattimento" di cui al predetto articolo possa risolversi anche solo nella semplice operazione formale della lettura degli atti, conseguenza, questa, del tutto irragionevole data la ratio stessa della norma e l'impiego del termine "dibattimento" evidentemente riferibile ad una fase processualmente ben identificata e non coincidente con la semplice lettura. Da tale incongruenza, a parere di questo giudice non risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 17/1994 citata (che infatti riguardava la pretesa illegittimita' degli artt. 238 e 512 del c.p.p. e non gia', specificamente, dell'art. 511 del c.p.p.), deriverebbe quindi la violazione del principio d'immediatezza (di cui quello d'immutabilita' rappresenta un corollario: v. Cass. 22 gennaio 1980, Rogliero) e la conseguente violazione dell'art. 76 della Costituzione per inosservanza, da parte del legislatore delegato, della direttiva n. 66 della legge delega n. 81/1987 relativamente all'immediatezza e concentrazione del dibattimento. In secondo luogo va rilevato che l'utilizzabilita' dei suddetti verbali condurrebbe, di fatto, a creare, allo interno di una fase, quale quella dibattimentale, che dovrebbe essere improntata, per sua natura essenziale, al metodo dell'oralita' (v. direttiva n. 2 della legge delega peraltro riguardante l'intero processo in generale) una sorta di "istruzione" scritta rappresentata appunto da quegli atti che, pur assunti oralmente dal primo pretore nel contraddittorio delle parti, sono di fatto "imposti" al secondo giudice (per essere, tra l'altro, gli stessi, gia' inseriti sin dall'inizio nel fascicolo per il dibattimento) in forma inevitabilmente scritta e senza che questi sia posto in grado, nell'eventuale diformita' sussistente tra le dichiarazioni rese nella prima occasione e quelle rese nella seconda, di disporre di un criterio processualmente codificato per valutare, sotto il profilo probatorio, il contrasto stesso o anche solo per sondare l'attendibilita' della persona esaminata; e' infatti di tutta evidenza che non potrebbe certo ricorrersi ad opera delle parti, ad esempio, al meccanismo della contestazione e della successiva eventuale acquisizione disciplinato dall'art. 500 c.p.p. dal momento che lo stesso, unicamente finalizzato al "recupero", dalla fase delle indagini preliminari, di atti che non potrebbero essere acquisiti compiutamente o genuinamente col metodo orale nel contraddittorio delle parti (v. Corte costituzionale n. 255/1992), non potrebbe certo operare con riguardo alla situazione de qua, caratterizzata appunto da dichiarazioni rese, entrambe le volte, nella fase dibattimentale ed aventi natura di "prova" in senso stretto; peraltro, ritiene il pretore, la disciplina non troverebbe ragionevole giustificazione neppure ricorrendo al principio della "non dispersione dei mezzi di prova" quale ragione suscettibile di derogare al principio dell'oralita' (vedi sentenza Corte costituzionale teste' citata) posto che, nella specie, i testi ed il perito verrebbero comunque esaminati una seconda volta dal giudice designato a trattare nuovamente il processo. Piuttosto, proprio a tale proposito, e' da osservare che laddove, difformemente dal convincimento di chi scrive, tale disciplina di acquisizione e lettura dei precedenti verbali di prove fosse ritenuta esente da qualsivoglia illogicita' od irragionevolezza, allora, inevitabilmente, non potrebbe non dirsi irrazionale e contrario, comunque, al principio di "immediatezza" e, in particolare, a quello della massima semplificazione caratterizzante il rito pretorile (v. direttiva n. 103 della legge-delega) l'avere comunque previsto la possibilita' di assumere nuovamente, una seconda volta, i testi gia' esaminati in precedenza sui medesimi fatti ed esaminare ancora una volta il perito sugli stessi identici accertamenti dallo stesso gia' svolti in precedenza, venendo in sostanza (data anche, ad avviso di questo pretore, la sostanziale immutazione del fatto) tale ulteriore attivita' processuale a risolversi in un inutile e defatigante duplicazione di atti (contrastante, tra l'altro, col principio del buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 della Costituzione). Ne deriverebbero quindi, in ogni caso, per quanto fin qui detto, la violazione dell'art. 76 della Costituzione a seguito del mancato rispetto, da parte del legislatore delegato, in un'ipotesi o nell'altra, della direttiva n. 2 relativa all'adozione del metodo orale e della direttiva n. 103 relativa alla massima semplificazione nel rito pretorile e la violazione dell'art. 3 della Costituzione per lesione del principio di "ragionevolezza" (dalla stessa Corte costituzionale piu' volte elevato a canone di rango costituzionale perche' implicitamente ricompreso nel principio di eguaglianza). Ed ancora, posto che la ragione dell'affermata incompatibilita' del giudice che abbia rilevato la diversita' del fatto a partecipare al giudizio successivo deve essere rinvenuta nell'atto di sostanziale surrogazione, da parte del giudice del dibattimento, nei poteri spettanti al pubblico ministero ex artt. 516 e 518 del c.p.p. si' che egli, cosi' facendo, superi la distinzione necessaria tra funzioni requirenti e giudicanti (cfr. sentenze Corte cost. nn. 439, 453 e 455 del 1994 e n. 292 del 1992), allora, portando il principio alle sue estreme conseguenze, tutta l'attivita' dibattimentale precedente e sfociante nella trasmissione degli atti potrebbe esere considerata alla stregua, in realta', di una fase di "indagini preliminari" relative alla ipotesi di reato diversa, quanto al fatto, rispetto a quella originariamente individuata dal titolare dell'azione penale si' che la stessa, a maggior ragione, non potrebbe certo essere contenuta e documentata nel fascicolo per il dibattimento pena l'irragionevole disparita' di trattamento tra atti compiuti nella fase propriamente detta delle "indagini preliminari", non inclusi, tranne ipotesi eccezionali, nel fascicolo suddetto e atti compiuti invece in tale fase, precedente alla trasmissione degli atti, ed esposti alla valutazione del secondo giudice come vere e proprie fonti di "prova" con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione. Al medesimo risultato, peraltro, puo' giungersi anche sotto diverso profilo: se, infatti, la trasmissione degli atti al pubblico ministero da parte del giudice che abbia rilevato la diversita' del fatto (facendo o meno corretta applicazione del meccanismo processuale previsto dall'art. 521 del c.p.p.) comporta necessariamente la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari (posto che il pubblico ministero deve necessariamente emettere, come nella specie avvenuto, nuovo decreto di citazione a giudizio), la permanenza dei verbali delle prove assunte nella "prima" fase di istruzione dibattimentale nel fascicolo per il dibattimento non puo' trovare alcuna ragionevole giustificazione posto che tale istruzione non potrebbe non essere ritenuta strettamente collegata al primo, decreto di citazione, poi "superato" dal secondo, emesso a seguito della trasmissione degli atti stessi. Va percio' sollevata la questione, a parere di questo giudice non manifestamente infondata, per quanto detto sopra, e rilevante, per quanto evidente in relazione alla non eludibile necessita' di dare lettura o comunque indicare gli atti utilizzabili ai fini della decisione, di legittimita' costituzionale dell'art. 511, comma primo, del c.p.p., con riferimento agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione nella parte in cui prevede la possibilita' di dare lettura dei verbali delle prove assunte nello stesso procedimento penale in fase dibattimentale da diverso giudice successivamente dichiaratosi incompatibile per ritenuta diversita' del fatto originario.