LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita' promosso dal procuratore generale della Corte dei conti nei confronti di Palma Antonio e Laurito Aniello nella qualita' il primo di commissario prefettizio e l'altro di dipendente del comune di Cannalonga (provincia di Salerno); Visto l'atto introduttivo del giudizio iscritto al n. 306/e.l. del registro di segreteria; Visti gli altri atti e documenti di causa; Udito nella pubblica udienza del 7 dicembre 1994 il consigliere relatore prof. Michael Sciascia; Udito altresi' nella medesima udienza il vice procuratore generale dott. Filippo Esposito; RILEVATO IN FATTO Il procuratore regionale presso questa sezione, con atto di citazione in data 30 luglio 1993 ha chiamato a giudizio i sigg. Palma Antonio e Laurito Aniello, chiedendone la condanna in solido al pagamento in favore del comune di Cannalonga della somma di L. 12.552.304, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali, nonche' in favore dello Stato alle spese del giudizio. La richiesta di parte attrice si fonda sull'inquadramento del convenuto sig. Aniello Laurito in qualifica non spettante del ruolo del comune di Cannalonga. Il Laurito, nominato "aggiunto di segreteria", a seguito di concorso interno, con delibera giuntale n. 122 del 30 novembre 1991, venne inquadrato nel sesto livello retributivo funzionale, ai sensi del d.P.R. n. 347/1983, con deliberazione giuntale n. 201 del 9 dicembre 1985. Infine il commissario prefettizio dott. Antonio Palma, con deliberazione n. 79 del 20 novembre 1987, 1 a rettifica del precedente inquadramento, attribui' al predetto la settima qualifica funzionale. La procura generale presso questa sezione guirisdizionale regionale nel suindicato atto di citazione osserva che il comune di Cannalonga, in base al censimento del 1981 (con 1174 abitanti) era classificato di IV categoria, per cui la qualifica massima attribuibile al dipendente Laurito era la sesta, ai sensi dell'art. 2, ultimo comma, del d.P.R. n. 347/1983, e non la settima, attribuita ad personam con la delibera commissariale sopraindicata. Inoltre il requirente aggiunge che le mansioni svolte dall'impiegato, descritte puntualmente nella delibera di giunta municipale n. 201 del 9 dicembre 1985, propriamente rientravano fra quelle della sesta qualifica funzionale, secondo la previsione dell'allegato A del d.P.R. n. 347/1983. L'attribuzione de qua, secondo il pubblico Ministero, ha provocato a detto comune un danno determinato in L. 12.552.304 considerando le differenze stipendiali dalla data di decorrenza dell'illegittimo inquadramento fino al collocamento a riposo del dipendente medesimo avvenuto il 30 settembre 1992. Del danno cosi' calcolato sono stati chiamati a rispondere in solido tra di loro il commissario prefettizio che adotto' la delibera in questione ed il beneficiario della medesima per aver dato causa alla deliberazione n. 79/1987 e averne tratto vantaggio. Si sono costituiti nel presente giudizio i convenuti, i quali hanno presentato memorie difensive. In esse hanno eccepito preliminarmente la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 58, comma quarto, della legge 8 giugno 1990 n. 142 ed hanno quindi aggiunto nel merito che, in sede di prima applicazione del citato art. 40, sarebbe stato possibile nei comuni di IV classe l'inquadramento ad personam nella VII qualifica funzionale del dipendente il quale alla data del 1 gennaio 1983 rivestiva tale posizione apicale; che comunque l'ente locale non avrebbe sofferto alcun danno di carattetre patrimoniale, essendosi costantemente avvalso della attivita' del sig. Laurito, il quale ha svolto - senza soluzione di continuita' - mansioni della VII qualifica; che il suddetto dipendente ha svolto attivita' di natura amministrativa e contabile consistente nella istruttoria formale di atti e di provvedimenti e nella elaborazione di dati, con diretta responsabilita per i risultati delle attivita' esplicate e di quelle dell'intero ufficio. Il procuratore regionale presso questa sezione ha poi depositato una nota integrativa in data 7 novembre 1994, ove ha insistito sulla richiesta contenuta nella citazione, in quanto la sopravvenuta disposizione di cui alla legge 28 ottobre 1994 n. 596 che ha introdotto, all'art. 3 della legge 24 dicembre 1993 n. 537, il comma 6-bis tale non avrebbe affatto innovato in materia di responsabilita'. Cio' in quanto la norma de qua avrebbe sanato le illegittimita' degli inquadramenti, ma non l'illiceita' dei comportamenti di coloro che hanno concorso a porli in essere, cosi' come affermato da questa stessa Corte con riguardo all'art. 28 della legge 31 maggio 1990 n. 128, quale contempla analoga norma di "sanatoria" per gli Amministratori delle uu.ss.ll. In via subordinata il procuratore regionale ha sollevato questione di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 3, comma primo (sei profili), 24, comma primo, e 97, comma primo, della Costituzione. Nell'udienza del 7 dicembre 1994, assenti i convenuti, il vice procuratore generale dott. Filippo Esposito ha confermato le richieste contenute nell'atto di citazione e nella nota aggiuntiva del procuratore regionale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. - La sezione con sentenza non definitiva in pari data ha respinto l'eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalla difesa del convenuto Palma ed ha assolto dalla domanda attrice il convenuto Aniello Laurito. Definiti, quindi, la pregiudiziale di rito e l'ambito soggettivo passivo del giudizio, ha rinviato a questa ordinanza il compito di approfondire la rilevanza dei profili di illegittimita' costituzionale ai fini della decisione della presente causa e la loro non manifesta infondatezza, al fine di investire la Corte costituzionale, quale giudice delle leggi. 2. - All'uopo si appalesa quindi necessario accertare se tale eccepita illegittimita' costituzionale si presenti in relazione di pregiudizialita' necessaria rispetto alla definizione del presente giudizio, ossia se essa sia rilevante. Orbene dimostrandosi fondata nel merito la prospettazione del Pubblico Ministero, come invero appare dagli atti depositati, in ordine alla mancanza dei presupposti per il disposto inquadramento del dipendente de quo nella settima qualifica, si dovrebbe da parte di questo giudice tenere conto della sopravvenuta disposizione "sanante" di cui alla legge 28 ottobre 1994 n. 596 che, in sede di conversione del d.-l. 27 agosto 1994 n. 515, con l'art. 2, comma primo, ha inserito all'art. 3 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 il comma 6-bis. La disposizione sopravvenuta, infatti, dichiara "validi ed efficaci" gli inquadramenti illegittimi, semprecche' la pianta organica del comune non sia sopradimensionata rispetto al rapporto dipendenti-popolazione. Orbene dagli atti depositati dalla procura regionale, consistenti in una nota del segretario comunale, risulta che il comune di Cannalonga non ha mai superato il rapporto dipendenti-popolazione previsto dal comma quattordicesimo del citato art. 3. Pertanto la norma de qua appare senz'altro applicabile astrattamente all'inquadramento del Laurito nel VII livello, che e' stato quindi reso "valido ed efficace". Di qui l'ulteriore aspetto della questione, ossia se permanga l'illiceita' del comportamento tenuto dal convenuto Palma a fronte di un inquadramento che, pur essendo stato effettuato illegittimamente, e' divenuto "valido ed efficace" in virtu' di susseguente legge. Avendo il legislatore reso validi, e quindi legittimi "ex tunc" tali inquadramenti, viene meno l'elemento dell'antigiuridicita' del comportamento di chi lo ha disposto pur in violazione delle leggi all'epoca vigenti. Ad opposta soluzione si sarebbe pervenuti se il legislatore avesse operato una "sanatoria" del genere di quella utilizzata nell'art. 28, comma secondo, della legge 31 maggio 1990 n. 128 per le unita' sanitarie locali, con cui - restando ferma l'invalidita' delle delibere - sono stati temporaneamente fatti salvi gli effetti degli inquadramenti pur illegittimamente disposti. Un comportamento e' illecito se ed in quanto - oltre a concorrere l'elemento oggettivo e quello psicologico - si ponga in contrasto con l'ordinamento giuridico, ovvero possieda la qualita' dell'antigiuridicita', che e' l'essenza dell'illecito stesso. Allorche' il comportamento sanzionato e' consistito nella circostanza storica dell'aver, l'amministratore o il funzionario, adottato o concorso a vario titolo ad adottare un atto amministrativo, allora la legittimita' di questo - da accertarsi in via pregiudiziale ed incidentale ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E - costituisce l'elemento fondamentale per valutare la sussistenza dell'antigiuridicita' del comportamento. Ed un atto valido non puo' in se', ove non accompagnato da altre e diverse circostanze contrastanti con l'ordinamento giuridico, determinare una sanzione risarcitoria a carico di chi esso adotto', perche' siffatto comportamento sarebbe lecito. Se diversamente si opinasse, si giungerebbe all'assurdo di sanzionare comportamenti di coloro che hanno posto in essere atti legittimi sia nella forma che nella sostanza. Di conseguenza la questione di legittimita' costituzionale eccepita dal pubblico ministero diviene rilevante ai fini di decidere la presente causa, poiche' - dando applicazione alla censurata disposizione di legge - si giungerebbe a conclusioni comunque diverse ed opposte da quelle cui si sarebbe pervenuti in mancanza di esse. 3. - In via subordinata parte attrice censura la disposizione di legge in discorso, in quanto contrasterebbe con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione. Indubbiamente la disposizione legislativa de qua determina una diffusa disparita' di trattamento tra soggetti che versano nella medesima situazione giuridica in dispregio a quanto previsto dall'art. 3 della Costituzione. Ma, ai fini del presente giudizio, intercorrente tra il pubblico ministero, quale sostituto processuale del comune di Cannalonga - titolare del rapporto sostanziale di credito - e un soggetto, come il convenuto Palma, legato ad esso da un rapporto di servizio, non hanno rilevanza discriminatoria quei profili prospettati dal procuratore regionale concernenti i dipendenti, ancorche' i sospetti di illegittimita' costituzionale indubbiamente sembrano fondati e da esaminare, ove sollevati dal giudice amministrativo o d'ufficio dalla stessa Corte costituzionale. Infatti l'idoneita' discriminatoria de qua deve essere valutata non in astratto - rispetto a tutte le possibili situazioni coinvolte -, ma in concreto con riferimento ai rapporti giuridici rientranti nell'oggetto del giudizio in corso, in quanto il giudizio di non manifesta infondatezza deve coniugarsi necessariamente a quello della rilevanza delle questioni prospettate. Pertanto sono da disattendere - non rilevando in questa sede, ove si conosce del preteso rapporto creditorio tra comune e suo amministratore pur straordinario -, le censure, rispetto all'art. 3 della Costituzione, indicate nella menzionata nota aggiuntiva, ed in particolare i profili dal secondo al sesto i quali evidenziano la disparita' di trattamento che la disposizione di cui al piu' volte citato comma 6-bis crea tra dipendenti beneficiari e non della "sanatoria". Una siffatta disparita' viene prospettata o tra dipendenti nell'ambito dello stesso ente (secondo profilo) o con riferimento ad appartenenti ad enti diversi destinatari o meno della sanatoria (terzo profilo), o che abbiano ottenuto inquadramenti rispetto a precedenti e/o successivi contratti collettivi (quarto profilo) o secondo che gli atti di inquadramento siano stati adottati prima o dopo il termine del 31 agosto 1983 (quinto profilo) o rispetto ai rimanenti impiegati pubblici (sesto profilo-prima parte). E' evidente che, con riferimento alla presente causa, tutte le anzidette prospettazioni si presentano invero, con riguardo alle posizioni di dipendenti pubblici, come ipotetiche disparita' di trattamento tra situazioni estranee al rapporto sostanziale dedotto dallo stesso procuratore regionale e, quindi, sono nel concreto irrilevanti in ragione del giudizio in corso. L'unico aspetto non privo di pregio nella presente sede e' quello (contenuto nel sesto profilo-seconda parte) relativo a disparita' di trattamento tra l'amministratore citato in giudizio e gli amministratori degli altri enti pubblici non destinatari della "sanatoria". Parimenti pertinente, anche se con una necessaria precisazione, e' la prima delle allegate censure de quibus (primo profilo), allorche' si presenta una disparita' di trattamento tra il comune titolare del rapporto sostanziale, oggetto di questo procedimento giurisdizionale - e naturalmente di tutti quelli versanti nelle medesime condizioni -, e i comuni non destinatari della contestata disposizione di cui al comma 6-bis. E' pero' da notare che essa non ha luogo - come affermato impropriamente - tra comuni finanziariamente dissestati e non - non distinguendo in tal senso la legge in parola -, ma tra comuni, siano essi dissestati o meno, che abbiano la pianta organica del personale sopradimensionata o sottodimensionata rispetto alla popolazione residente secondo criteri fissati dallo stesso articolo nel comma quattordicesimo. In ordine a tali ultime censure, va approfondita la questione della loro non manifesta infondatezza. Certamente l'art. 3 della Costituzione impone ai legislatore di garantire - come condizione essenziale di un ordinato svolgimento della vita sociale nei suoi vari aspetti - la par condicio tra tutti i soggetti dell'ordinamento giuridico, talche' nessuno di essi possa venirsi a trovare - senza una valida giustificazione fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino l'adozione (Corte costituzionale sentenza 16 febbraio 1963 n.7) - in posizione deteriore o privilegiata rispetto agli altri. Se sulla posizione svantaggiata e' evidente la ratio della norma costituzionale, lo e' allo stesso modo in ordine ai privilegi ingiustificati; talche' al beneficio degli uni corrisponde generalmente il pregiudizio, diretto o comunque diffuso, di altri, sussistendo sempre una correlazione tra posizioni giuridiche, a volte collegate in veri e propri rapporti giuridici. E tale uguaglianza - al di la' dell'atecnica terminologia costituzionale, che menziona "tutti i cittadini" -, si riferisce a tutti i soggetti dell'ordinamento giuridico, sia persone fisiche che giuridiche, siano esse private o pubbliche. Cio' conduce a ritenere che sembra costituzionalmente inammissibile, non ricorrendo alcuna valida ragione giustificatrice, il privilegio dell'irresponsabilita' per il compimento di atti che altrimenti sarebbero certamente dannosi per un ente pubblico, quale il comune di Cannalonga. All'uopo non e' dato comprendere le ragioni di tale scelta del legislatore, che collega il favor a circostanze contingenti, nemmeno ben individuate temporalmente, come il rapporto abitanti-pianta organica, senza tener assolutamente in conto ne' l'impatto finanziario sugli enti dissestati e su quelli (in gran maggioranza) comunque in difficolta' finanziarie ne' le effettive necessita' organiche di tali enti ne' specificare con la dovuta chiarezza il momento temporale cui riferirsi per l'effettuazione del calcolo del rapporto de quo. Tanto piu' che non si collega la "sanatoria" alla disponibilita' in pianta organica della qualifica e del profilo illegittimamente" concessi, che quindi si risolvono, specie se attribuiti ad personam, in meri ed ingiusti favoritismi. E tale privilegio introdotto dal citato comma 6-bis pone tutti gli amministratori comunali dei comuni destinatari di essa - e tra di essi del convenuto Palma - in posizione di vantaggio rispetto sia agli amministratori di altri comuni, che continuano ad essere assoggettati a varie forme di responsabilita' personali, che al comune di appartenenza - e nella specie a quello di Cannalonga -, il quale viene a trovarsi correlativamente in una situazione di "soggezione" dovendo necessariamente subire gli effetti pregiudizievoli di un atto compiuto da un suo amministratore in violazione della legge e quindi degli interessi stessi dell'ente pubblico. Dunque e' stata determinata una situazione di disparita' del comune di Cannalonga - e di tutti i comuni destinatari della norma contestata -, che e' stato inoltre privato della possibilita' di tutelarsi giudizialmente - anche in violazione dell'art. 24 della stessa Costituzione, il quale afferma che "Tutti possono agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi" -, tramite il procuratore regionale presso la competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, per ottenere dalla suprema giurisdizione contabile il risarcimento del danno perpretato alle sue finanze, nonche' per esercitare il suo potere-dovere di autotutela con l'annullamento degli atti illegittimi specie se dannosi. Nello stesso momento la disposizione censurata ha quindi attribuito, per i motivi sopraillustrati, al convenuto una ingiustificata posizione di privilegio sia nei confronti degli amministratori dei comuni non destinatari della "sanatoria" e degli altri enti pubblici non locali che particolarmente del comune "di appartenenza" (cioe' nella specie quello di Cannalonga), nonche' a quest'ultimo ente un'ingiustificata posizione di svantaggio nei confronti dell'amministratore medesimo. 4. - Pertinente e fondata appare, poi, la censura di illegittimita' costituzionale del citato comma 6-bis, sollevata in relazione all'art. 97 della Costituzione. La somma Carta si occupa specificatamente della pubblica amministrazione agli artt. 97 e 98, fissando inderogabilmente principi fondamentali di organizzazione e funzionamento di essa. Il citato art. 97 in particolare, come ha notato la dottrina costituzionalistica, appartiene a quel numeroso gruppo di norme costituzionali, aventi ad oggetto la posizione di principi intesi a regolare l'attivita' statuale e, segnatamente quella legislativa, obbligandola ad indirizzarsi in un certo senso o ad astenersi dal rivolgersi in altro, e comunque ponendole dei limiti. In particolare, quando la Costituzione detta alcuni criteri a cui si deve conformare la legge, questa e' senz'altro anticostituzionale se non dispone nel modo e nei limiti voluti dalla somma Carta. Esaminando in tale prospettazione le disposizioni costituzionali sull'organizzazione della pubblica amministrazione, si deve osservare che l'art. 97 rappresenta - come ha giustamente segnalato il procuratore regionale - il limite della discrezionalita' del legislatore in tale materia. Senza addentrarsi nell'approfondimento delle nozioni di buon andamento e di imparzialita' della pubblica amministrazione - peraltro ben individuati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale -, che costituiscono i criteri affermati dalla suddetta disposizione costituzionale, va comunque osservato che essi si riferiscono anche alla disciplina del pubblico impiego, se ed in quanto in ipotesi questa possieda l'idoneita' ad influire in via immediata sul funzionamento e/o sull'organizzazione dell'amministrazione. E' innegabile che il comma 6-bis dell'art. 3 piu' volte citato si ponga in contrasto con il criterio del buon andamento, in quanto determina un'alterazione della pianta organica - sia essa di diritto o di fatto, a seconda delle interpretazioni che si vogliano dare ad essa - e quindi della struttura burocratica comunale e provinciale, consolidando situazioni determinatesi al di fuori di una valutazione del merito e delle capacita' individuali. Inoltre l'aver indifferenziatamente incluso tra gli enti destinatari della disposizione di legge altresi' quelli dissestati non puo' non determinare un ulteriore aggravamento della situazione finanziaria di questi, laddove si ponga mente sulla circostanza che buona parte dei problemi di siffatti enti deriva dal peso economico derivante dal personale. E l'aggravarsi ed il perpetuarsi di tale crisi finanziaria riduce o impedisce o protrae la possibilita' per comuni e province, e specie di quelli dissestati, di realizzare il precetto costituzionale del "buon andamento" della pubblica amministrazione. In aggiunta, la disposizione contestata contraddice l'altro criterio in parola, cioe' quello dell'imparzialita', che si risolve essenzialmente nel rispetto della giustizia sostanziale. Infatti viene impedito in primo luogo all'ente locale di operare un'adeguata e corretta ponderazione di interessi pubblici relativi ad obiettivi ed effettive necessita' operative di ciascun ente, che poi si riflettono in una strumentale strutturazione della pianta organica. In secondo luogo viene poi a realizzarsi un'ingiustificata compressione della professionalita' di coloro che non sono stati beneficiati illegittimamente da inquadramenti in qualifiche superiori, stabilizzando situazioni di prevaricazione spesso correlate ad inammissibili intromissioni di parte e determinando una corrente e comprensibile insoddisfazione e frustrazione di aspirazioni legittime con conseguente disaffezione dei non beneficiati e detrimento delle potenzialita' della struttura amministrativa accompagnata dalla diffusione della convinzione che l'impegno e la preparazione non premiano. Pertanto la scelta del legislatore nel porre tale contestata disposizione altresi' appare, nella sua palese irrazionalita', una violazione dell'art. 97, comma primo, della Costituzione. 5. - Il Collegio, oltre ai summenzionati profili di incostituzionalita' eccepiti da parte attrice in relazione agli artt. 3, comma primo, 24, comma primo, e 97, comma primo, della Costituzione - tutti giudicati rilevanti e non manifestamente infondati -, ritiene di sollevare d'ufficio, con riferimento anche agli artt. 128 e 81, comma quarto, della Carta costituzionale, ulteriori analoghi aspetti che appaiono parimenti rilevanti e non manifestamente infondati. Per quanto riguarda l'art. 128 della Costituzione, esso prevede che le province ed i comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni. Ne consegue che sia inammissibile ogni compressione delle autonomie locali che non si limiti a fissare principi generali nel quadro di un disegno istituzionale di siffatti enti conforme comunque alla Costituzione od a fornire indicazioni operative, ma detti norme di comportamento o financo imponga alterazioni nella loro struttura o nel loro funzionamento, specie se queste non siano motivate da esigenze di coordinamento ritenute essenziali, come in particolare quelle di ordine finanziario, che si riflettono sulla comunita' nazionale per il vigente sistema di finanza derivata. La stessa legge 8 giugno 1990, n. 142, la quale - nel dare esecuzione alla previsione costituzionale, ancorche' dopo quarantadue anni dalla sua entrata in vigore - detta i principi fondamentali nella materia, all'art. 1, comma terzo, impedisce che leggi della Repubblica possano "introdurre deroghe ai principi della presente legge se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni" ed all'art. 51, comma ottavo, ultimo periodo dispone chiaramente che "Nell'ambito dei principi stabiliti dalla legge, rimane inoltre riservata agli atti normativi degli enti, secondo i rispettivi ordinamenti, la disciplina relativa alle modalita' di conferimento della titolarita' degli uffici nonche' alla determinazione ed alla consistenza dei ruoli organici complessivi". Orbene, il citato comma 6-bis ha autoritativamente "superato" o almeno "stabilizzato" situazioni di illegittimita' precedentemente determinate con colpa o dolo da amministrazioni ordinarie o peggio straordinarie, alterando autoritativamente la struttura burocratica e la pianta organica di province e comuni, i quali vengono privati - con una c.d. "leggina", cioe' una legge speciale la quale peraltro non ha previsto l'abrogazione espressa dell'art. 51, comma ottavo, ultimo periodo, della legge n. 142/1990, cosi' come testualmente indicato, in esecuzione del citato art. 128 della Costituzione, dall'art. 1, comma terzo, della stessa legge - della potesta' di autorganizzazione nell'ambito dei principi fissati da leggi statali generali. Potesta' questa che puo' esercitarsi anche attraverso l'uso dei poteri discrezionali di annullamento d'ufficio in via di autotutela nei confronti di deliberazioni illegittimamente assunte ove ritenute non conformi all'interesse pubblico concreto ed attuale dell'ente. Tale disposizione neppure trova una giustificazione di ordine generale e d'interesse nazionale ne' appare motivata da esigenze di natura economica o finanziaria. Anzi essa viene ad aggravare la loro crisi finanziaria, specie nei confronti degli enti dissestati, e comunque incide sulle autonome scelte delle istituzioni territoriali di base, le quali sono altresi' condizionate dai fondi a disposizione; talche' il doversi necessariamente farsi carico per tempi lunghi di maggiori oneri per il personale inquadrato pur illegittimamente in qualifiche superiori impedisce di perseguire finalita' di immediato interesse per le comunita' locali rappresentate. Inoltre ogni ingiustificata alterazione autoritativa della struttura burocratica e nella pianta organica crea impedimenti o impossibilita', a fronte degli anzidetti tanti limiti di ordine finanziario attualmente esistenti, nella programmazione ed attuazione di programmi ed obiettivi di sviluppo. 6. - La norma fondamentale, di cui al quarto comma dell'art. 81 della Costituzione, poi, impone al legislatore di prevedere, allorche' dispone una spesa, i mezzi per far fronte ad essa. E cio' anche se viene imposta una spesa a carico dei bilanci degli enti locali, i quali sono privi, nel vigente sistema pubblico - salvo marginali eccezioni -, di potesta' tributaria, dipendendo la finanza locale, per la quasi totalita', dai trasferimenti disposti dallo Stato sulla base di leggi generali, per cui il peso economico effettivo viene a gravare in tutto o in parte sul bilancio statale. Occorre quindi anche in questi casi l'individuazione di mezzi finanziari aggiuntivi rispetto a quelli gia' previsti, facendoli derivare da nuove o maggiori entrate ovvero da minori spese. Altrimenti sarebbe consentito al legislatore statale, disponendo spese tramite il sistema del trasferimento di risorse - peraltro finanziariamente inesistenti in termini di cassa - ad enti pubblici e segnatamente a quelli locali, di sfuggire al dovere costituzionale cui al citato art. 81, comma quarto, con la conseguenza di gravare ulteriormente la finanza statale - in relazione alla quale la spesa consiste nel "trasferimento" di fondi - e la c.d. "finanza pubblica allargata" di oneri aggiuntivi tra l'altro imposti autoritativamente agli enti medesimi. Al contrario va quantificata l'incidenza di ogni disposizione di legge a carico della finanza statale - sia pure sotto la forma di ulteriori trasferimenti di fondi a favore degli enti pubblici - e vanno previsti adeguati strumenti di copertura dei flussi finanziari. Orbene il complesso normativo di cui al d.-l. 27 agosto 1994, n. 115 ed alla legge di conversione 28 ottobre 1994, n. 596, nell'introdurre all'art. 2, comma primo, la contestata disposizione sanante, non porta al successivo art. 9 intitolato "Copertura finanziaria", ne' in alcuna altra parte del testo legislativo, alcuna indicazione concernente mezzi di copertura della specifica spesa. Del tutto insufficiente e' la previsione contenuta nel citato art. 9 che si riferisce espressamente a specifici interventi indicati negli espressamente richiamati artt. 1 e 4 dello stesso contesto legislativo, ignorando le spese di cui all'art. 2 che pur ha disposto la contestata sanatoria. Daltronde la "stabilizzazione" di inquadramenti illegittimi rappresenta un elemento innovativo rispetto al quadro normativo preesistente e determina di conseguenza una spesa nuova precedentemente non prevista dalla normativa sostanziale.