Ricorre il Consiglio superiore della magistratura, in persona del vice presidente pro-tempore prof. Piero Alberto Capotosti, a cio' autorizzato con delibera 16 febbraio 1995, rappresentato e difeso, giusta procura a margine del presente atto, dal prov. avv. Federico Sorrentino, presso il cui studio in Roma, Lungotevere delle Navi, 30, elegge domicilio, contro il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione I, in persona del suo presidente in carica, e il Ministro in carica per la grazia e la giustizia, per la risoluzione del conflitto tra poteri dello Stato determinato dai seguenti atti: a) ord. 7 dicembre 1994, n. 2915 della I Sezione del T.A.R. del Lazio, con la quale, su ricorso del dott. Benito Vergari, e' stato ordinato "all'amministrazione (id est al C.S.M.) di porre in essere, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione della presente ordinanza, tutti gli adempimenti necessari per dare compiuta esecuzione all'ordinanza 1644 del 22 giugno 1994, riservando, in caso di ulteriore inottemperanza, di provvedere alla nomina di un commissario ad acta ai fini dell'esecuzione medesima"; b) ord. 25 gennaio 1995, n. 109 della I Sezione del T.A.R. del Lazio, con la quale, sempre su ricorso del dott. Benito Vergari, e' stato nominato commissario ad acta il Ministro di grazia e giustizia "il quale, direttamente, o attraverso persona da lui specificamente delegata, che operi sotto la sua vigilanza, provvedera', in sede di attuazione delle ordinanze sopra richiamate (1664/94 e 6873/94) e senza la necessita' dell'intervento di alcun altro organo, a sollevare il dott. Francesco Cortegiani dall'ufficio di presidenza del tribunale di Catania e ad immettere nelle medesime funzioni, interinalmente e fino alla data della definizione del ricorso nel merito, il dott. Vergari, gia' rivestente le funzioni di presidente reggente il medesimo tribunale alla data di adozione del provvedimento sospeso"; c) provvedimento 3 marzo 1995 - prot. 1637g/CS/1537 - con cui, in esecuzione dell'ordinanza di cui sub b), il Ministro ha delegato le funzioni di commissario ad acta al presidente Carlo Adriano Testi, direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e degli affari generali; d) provvedimento 3 marzo 1995 - prot. 1637g/CS/1538 - con cui il predetto direttore generale ha sollevato, interinalmente e fino alla data di decisione del ricorso, il dott. Francesco Cortegiani dall'ufficio di presidente del tribunale di Catania ed ha contestualmente immesso il dott. Benito Vergari nelle funzioni di presidente reggente del medesimo tribunale. F A T T O 1. - Con ricorso notificato il 7 maggio 1994, il dott. Benito Vergari impugnava dinanzi al T.A.R. del Lazio, chiedendone in via incidentale la sospensione, il d.P.R. 18 aprile 1994 che, su conforme delibera 16 marzo 1994 del C.S.M. aveva conferito al dott. Francesco Cortegiani l'ufficio direttivo di presidente del tribunale di Catania. Sebbene il provvedimento fosse gia' stato eseguito con l'immissione del dott. Cortegiani nell'ufficio in questione, la I Sezione del T.A.R. del Lazio, con ordinanza 22 giugno 1994, n. 1644, ne sospendeva l'esecuzione. La relativa motivazione era cosi' redatta: "Ritenuto, ad una delibazione sommaria, che sussistono elementi di fumus boni iuris, ravvisabili soprattutto sotto il profilo della carenza di un'adeguata motivazione in ordine alla preferenza per le attitudini del controinteressato, quali espresse attraverso la manifestata conoscenza delle esigenze del tribunale di Catania e la prospettazione di soluzioni atte a soddisfare tali esigenze, in assenza della valutazione comparativa della conoscenza gia' dimostrata, in ordine alle medesime esigenze, dal ricorrente, in ragione delle funzioni semidirettive e di reggenza ivi svolte e delle iniziative da questi svolte in concreto". Quest'ordinanza, appellata sia dal controinteressato che dal C.S.M. veniva peraltro confermata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato che, con ordinanza 19 ottobre 1994, n. 1290, dichiarava inammissibile l'appello del dott. Cortegiani e, con ordinanza 16 dicembre 1994, n. 1580, rigettava quello del C.S.M. 2. - A seguito del ricorso, notificato il 9 novembre 1994, con il quale il dott. Vergari chiedeva l'esecuzione della predetta decisione cautelare, la I Sezione del T.A.R. del Lazio, con ordinanza 7 dicembre 1994, n. 2915 (sub a), "ordina(va) all'Amministrazione di porre in essere, entro il termine di trenta giorni ( ..), tutti gli adempimenti necessari per dare compiuta esecuzione all'ordinanza 1644 del 22 giugno 1994, riservando, in caso di ulteriore in ottemperanza, di provvedere alla nomina di un commissario ad acta ai fini dell'esecuzione medesima". Ma, sebbene il Consiglio superiore della magistratura contestasse il fondamento del ricorso per l'esecuzione dell'ordinanza cautelare, il T.A.R. con ordinanza 25 gennaio 1995, n. 209 (sub b) della I Sezione, nuovamente adito dal dott. Vergari, nominava commissario ad acta "il Ministro di grazia e giustizia, il quale direttamente o attraverso persona da lui specificamente delegata, che operi sotto la sua vigilanza, provvedera', in sede di attuazione delle ordinanze sopra richiamate e senza la necessita' dell'intervento di alcun altro organo, a sollevare il dott. Francesco Cortegiani dall'ufficio di presidenza del tribunale di Catania e ad immettere nelle medesime funzioni, interinalmente e fino alla data della definizione del ricorso nel merito, il dott. Vergari, gia' rivestente le funzioni di presidente reggente il medesimo tribunale alla data di adozione del provvedimento sospeso". A seguito di quest'ordinanza, il cui termine di adempimento veniva, su richiesta del Ministro, prorogato di quindici giorni con ord. 3 del 15 febbraio 1995, n. 362 della I Sezione del T.A.R. del Lazio, il direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e degli affari generali a cio' delegato dal Ministro di grazia e giustizia (sub c), sollevava, con provvedimento 3 marzo 1995 (sub d), sia pure interinalmente e fino alla decisione del ricorso, il dott. Cortegiani dall'ufficio di presidente del tribunale di Catania, immettendo il dott. Vergari "nelle funzioni, gia' rivestite, di presidente reggente del medesimo Tribunale". 3. - Non e' questa naturalmente la sede per rilievi sul merito della vicenda ora ricordata: ad es., e' assai dubbio che dalla sospensione del provvedimento di preposizione del dott. Cortegiani all'ufficio di presidente del tribunale di Catania discenda la necessita' del conferimento al dott. Vergari delle funzioni vicarie da lui ricoperte per il trascorso biennio 19 settembre 1992-18 settembre 1994 (giusta la circolare C.S.M. 8-91-07704 del 2 maggio 1991, capo C7, in Notiziario n. 4 del 1991), poiche' tali funzioni spettano ora - in mancanza di designazione specifica - al magistrato piu' anziano ex art. 104 O.G. Con il presente ricorso il Consiglio superiore della magistratura, dopo aver denunciato con regolamento preventivo alle ss.uu. della Corte di cassazione il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine al procedimento di esecuzione della misura cautelare, solleva conflitto dinanzi alla Corte costituzionale per la difesa delle proprie attribuzioni, lese dagli indicati provvedimenti del T.A.R. e del Ministro di grazia e giustizia, affidando la propria difesa alle seguenti considerazioni di D I R I T T O Sull'ammissibilita' del ricorso. 4. - La Corte ha gia', con la sentenza n. 379/1992, ammesso la legittimazione del C.S.M. e del Ministro per la grazia e la giustizia ad essere parti nei conflitti riguardanti le loro attribuzioni circa la preposizione dei magistrati agli uffici direttivi (artt. 105 e 110 della Costituzione). In base a consolidata giurisprudenza della Corte e' del tutto pacifico che singoli uffici giurisdizionali, anche se di primo grado, sono ugualmente legittimati ad essere parti nei conflitti tra poteri dello Stato. Sicche' nessun ostacolo sembra sussistere all'ammissibilita', sotto il profilo soggettivo, del ricorso. Per quanto riguarda quello oggettivo, va detto che il C.S.M. rivendica, con il presente atto, l'integrita' delle proprie attribuzioni costituzionali ex art. 105 della Costituzione, lese dall'ordine del giudice amministrativo (sub a) di rimuovere il dott. Cortegiani dall'ufficio di presidente del tribunale di Catania e di nominarvi il dott. Vergari, ed ancor piu' dal provvedimento, emesso dallo stesso giudice, di nomina del commissario ad acta, con il contestuale divieto dell'"intervento di alcun altro organo", affinche' sollevi il dott. Cortegiani e nomini il dott. Vergari al predetto ufficio (sub b), dall'atto con il quale il Ministro ha delegato tale attivita' al direttore generale (sub c) e da quello con cui quest'ultimo si e' sostituito al C.S.M. (sub d). Il conflitto assume quindi il connotato tradizionale della vindicatio potestatis. I. - Violazione dell'art. 105 della Costituzione, in relazione agli artt. 11 e 17 della legge n. 195/1958. 5. - La nomina dei magistrati agli uffici direttivi e', secondo quanto la Corte ha chiarito nella sua giurisprudenza (sentt. 168/1963 e 379/1992), di competenza del C.S.M. in base all'art. 105 della Costituzione, pur se al relativo procedimento partecipa, nella forma del concerto, il Ministro per la grazia e la giustizia. La circostanza che i decreti del Presidente della Repubblica, attraverso i quali gli atti del Consiglio vengono esternati, siano sottoposti al controllo di legittimita' del giudice amministrativo in base al richiamato art. 17 della legge n. 195/1958, non contrasta col carattere costituzionale delle attribuzioni dei Consiglio, ma rappresenta il punto di equilibrio tra l'indipendenza dell'organo e la garanzia dei diritti e degli interessi legittimi dei magistrati. Ma dall'impugnabilita' dinanzi al giudice amministrativo dei decreti presidenziali attraverso i quali viene espressa la volonta' del C.S.M. prevista dal ricordato art. 17, non discende in modo automatico la sottoposizione dell'attivita' del Consiglio alla giurisdizione di merito del medesimo giudice. In questa sede il C.S.M. contesta che, nell'ambito della giurisdizione di legittimita', affidata al giudice amministrativo nei confronti dei suoi atti, possa inserirsi una fase subprocedimentale diretta all'esecuzione delle ordinanze di sospensione che, a sua volta, implica l'esercizio di una giurisdizione di merito analoga a quella di cui all'art. 27, n. 4 del t.u. sul Consiglio di Stato. E' noto che, a partire dalla decisione n. 6/1982 dell'A.p. del Consiglio di Stato, il giudice amministrativo ha ammesso che, allorche' l'ordinanza di sospensione non sia di per se' stessa sufficiente a garantire l'effettivita' dell'interesse fatto valere dal ricorrente, lo stesso possa adire nuovamente il giudice della cautela, chiedendo l'emanazione dei provvedimenti idonei per assicurare l'esecuzione della sospensiva. Conseguentemente e' stato introdotto dalla giurisprudenza un procedimento che, pur rappresentando la prosecuzione del giudizio incidentale per la sospensione del provvedimento impugnato, si caratterizza per il fatto che, analogamente a quanto avviene per il giudizio di ottemperanza, il giudice si ritiene investito di una giurisdizione di merito con poteri largamente discrezionali, che comprendono anche quello di sostituirsi, per il tramite di un commissario, all'amministrazione ritenuta inerte o comunque inottemperante. E, sebbene nelle prime decisioni sul punto il Consiglio di Stato avesse cercato di differenziare il procedimento per l'esecuzione della sospensiva dal giudizio di ottemperanza, sottolineando che "anche in materia cautelare i poteri del giudice debbono estrinsecarsi in un ambito determinato dal doppio e concorrente limite di realizzare la piena tutela dell'interesse dedotto nel giudizio senza pero' decampare dal sistema posto dall'art. 4 ed anche dall'art. 7 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E sul contenzioso amministrativo" (A.p. 6/1982, in F. it., 3',235), nella prassi tali poteri hanno finito col modellarsi su quelli propri del giudice di ottemperanza. In realta' l'orientamento ora richiamato, che poi si e' consolidato nella prassi giurisprudenziale dei giudici amministrativi, muove dall'idea che, quando gli effetti "caducatori" della sospensiva non siano sufficienti ad assicurare la tutela cautelare dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio - perche', ad es., e' sospeso un provvedimento negativo o, come nel caso che ha dato occasione al presente conflitto, l'interesse del ricorrente attiene non tanto "alla demolizione" del provvedimento impugnato, quanto ad ottenerne uno a lui favorevole -, allora il soddisfacimento di detto interesse potra' essere richiesto nelle forme del giudizio cautelare. Il giudice, a sua volta, potra' avvalersi di poteri analoghi a quelli a lui spettanti in sede di ottemperanza, in considerazione dell'identita' della ratio della tutela, della natura sostanzialmente decisoria dell'ordinanza cautelare e della medesimezza dell'attivita' e dell'organo decidente. La dottrina poi, da diverse prospettive, ha messo in luce come, non ostante l'insistenza del giudice amministrativo a differenziare nella forma il giudizio per l'esecuzione delle ordinanze cautelari da quello per l'esecuzione delle sentenze, i poteri in concreto esercitati, con la possibilita' d'interventi anche sostitutivi, non possono non ricondursi a quelli di cui all'art. 27, n. 4, del t.u. sul Consiglio di Stato (cfr. Villata, in Dir. proc. amm.vo 1983, 97 ss.). Piu' esplicitamente e' stato affermato (A. Romano, in aa.vv. Il giudizio cautelare amministrativo, Roma 1987, 49 ss.) che lo sviluppo del giudizio cautelare, pur in assenza di interventi del legislatore diretti ad adeguare ad esso le originarie scelte normative, consente di concludere che le misure adottabili in tale fase "sono esattissimamente quelle, soprattutto sostitutive dell'attivita' dell'amministrazione, che il medesimo giudice amministrativo puo' disporre in sede di giudizio di ottemperanza; e che, percio', il giudizio cautelare costituisce una materia in ordine alla quale la giurisdizione di tale giudice viene estesa al merito" (dello stesso A. vedasi anche Tutela cautelare nel nrocesso amministrativo e giurisdizione di merito, in Foro it. 1985, I, 2491 ss. e part. 2500, ove e' esplicitamente detto che la tutela cautelare amministrativa rappresenta un caso, "sia pure non legislativamente definito tale, di giurisdizione amministrativa estesa al merito"; sempre in questo scritto viene sottolineata la particolare posizione del giudice amministrativo che, non potendo dirsi "totalmente estraneo" all'amministrazione "come istituzione", "puo' intervenire ben piu' incisivamente di quanto non possa il giudice ordinario nella sua attivita': perche' non viene ostacolato dalle esigenze di garanzia dell'autonomia di un soggetto rispetto al quale rimane comunque terzo"). 6. - Da queste premesse nasce dunque l'interrogativo, che nei confronti degli atti del C.S.M. si pone in modo del tutto speciale, circa l'ammissibilita' dell'esercizio da parte del giudice di legittimita' di poteri, bensi' finalizzati alla realizzazione della tutela cautelare, ma implicanti l'esercizio di una giurisdizione di merito. E' noto, infatti, che le ipotesi di giurisdizione di merito sono tassative e probabilmente di stretta interpretazione; esse comunque non possono non essere fondate - per la riserva di legge in materia processuale amministrativa (artt. 108 e 113 della Costituzione - che su esplicita previsione di legge. Se dunque il Consiglio di Stato ritiene che quello per l'esecuzione delle ordinanze cautelari non sia un giudizio strutturalmente riconducibile all'art. 27, n. 4 del t.u. 1054/1924 (perche' l'ordinanza cautelare non puo' essere equiparata ad una sentenza passata in giudicato), ne discende che esso non ha alcun fondamento legislativo esplicito, come del resto la dottrina sopra ricordata ha puntualmente avvertito. Ne discende, ancora, che, investito di un giudizio di legittimita', il giudice amministrativo potra' esercitare soltanto i poteri inerenti a tale tipo di giurisdizione, restandogli inibito qualunque apprezzamento di merito. 7. - Nel caso dei provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura tale conclusione risulta rafforzata dalla posizione che a quest'organismo riconosce la Costituzione, per la quale il legislatore del 1958 ha previsto lo schermo del decreto presidenziale o ministeriale, onde consentire l'impugnazione dei provvedimenti attinenti allo status dei magistrati ed ha esplicitamente limitato alla legittimita' il controllo giurisdizionale su detti provvedimenti. Ora e' pacifico che la posizione costituzionale del C.S.M. e' strumentale ad assicurare, ai sensi degli artt. 104, primo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, i valori primari dell'indipendenza e dell'imparzialita' della magistratura. Solo una magistratura che si autogoverni, infatti, puo' essere veramente indipendente e solo una magistratura indipendente puo' essere veramente imparziale. Ma se detta posizione non comporta, come si e' gia' detto, che gli atti del C.S.M. si sottraggano al sindacato giurisdizionale, essa esclude che quel sindacato venga compiuto in forme tali da mettere in pericolo il principio dell'autogoverno (e conseguentemente quelli dell'indipendenza e dell'imparzialita') della magistratura. Di questo ha avuto consapevolezza il legislatore, che nell'art. 17, secondo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, ha disposto che avverso i provvedimenti riguardanti i magistrati "e' ammesso ricorso in primo grado al tribunale amministrativo regionale del Lazio per motivi di legittimita'" e che "contro la decisione di prima istanza e' ammessa l'impugnazione al Consiglio di Stato" (cosi' nel testo di cui all'art. 4 della legge n. 74/1990). Il riferimento esplicito ai "motivi di legittimita'", come pure il mancato richiamo dell'unica ipotesi di giurisdizione di merito configurabile (ossia il giudizio d'ottemperanza), e' invero significativo della considerazione che il legislatore del 1958-90 ha fatto del ruolo e della posizione istituzionale del C.S.M. Non va, infatti, dimenticato che, come ebbe a sottolineare la Corte nelle sentenze nn. 168/1963 e 44/1968, la previsione del primo comma dell'art. 17 della legge n. 195/1958 - secondo la quale "tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati, in conformita' delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro; ovvero nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro per la grazia e la giustizia" - ha rappresentato il punto di equilibrio tra due opposte esigenze: da un lato quella di assicurare l'indipendenza dell'organo, dall'altra quella di consentire, attraverso la forma amministrativa dei decreti, il controllo finanziario e giurisdizionale su provvedimenti sostanzialmente amministrativi, onde non privare i magistrati della relativa tutela. "Se si muova dalla considerazione - affermava la Corte nella sentenza n. 44/1968 - che non sembra contestabile, secondo cui la sottoposizione delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura ad un controllo di stretta legittimita' da parte di un organo appartenente al potere giurisdizionale non sia, di per se', tale da condurre necessariamente a vanificare o comunque ad attenuare l'efficacia della funzione garantista cui esse adempiono, la questione si riduce ad accertare la fondatezza dell'ostacolo che il diritto positivo, secondo la difesa del Ministero, oppone all'esercizio del sindacato sugli atti in parola da parte della giurisdizione cui l'art. 113 affida la tutela dei diritti ed interessi legittimi. L'ostacolo eccepito e' quello fatto derivare dalla parte dell'articolo predetto che limita agli atti della pubblica amministrazione la tutela medesima, e che, messo in relazione con i precedenti artt. 102 e 103, deve intendersi circoscritto solo agli interventi della giurisdizione amministrativa ..". "( ..) La difficolta' che all'applicazione nella specie dei citati articoli della Costituzione oppone il carattere rivestito dal Consiglio superiore della magistratura, cioe' di organo che, pure espletando funzioni solamente di indole amministrativa, non e' parte della pubblica amministrazione ( ..), non puo' essere superata attraverso l'asserzione, contenuta in alcune decisioni del Consiglio di Stato, del carattere preparatorio da assegnare all'attivita' di detto organo rispetto a quella esplicata con l'emanazione dei decreti previsti dall'art. 17, i quali quindi, secondo detta tesi, dovrebbero considerarsi costitutivi degli effetti giuridici riguardanti i magistrati che ne sono destinatari. Infatti l'opinione riferita e' contrastata dalla chiara dizione degli artt. 105, 106, 107 e 110 della Costituzione, i quali attribuiscono proprio alla sola competenza del Consiglio superiore della magistratura tutti i provvedimenti di Stato comunque riguardanti i magistrati, secondo poi e' specificato dall'art. 10 e successivi della legge n. 195, del 1958, emessa in attuazione del precetto costituzionale, che fanno riferimento ai poteri "deliberanti" dell'organo medesimo". Sicche', concludeva la Corte, richiamando la sua precedente sentenza n. 168/1963, i decreti del Presidente della Repubblica o del Ministro assumono la funzione di conferire alle decisioni dell'organo deliberante la forma che, "sulla base dei principi fondamentali del sistema, e' prescritta per i provvedimenti aventi indole sostanzialmente amministrativa"; e cio' al fine di consentirne la sottoposizione "alle varie specie di sindacato destinate ad assicurarne il contenimento nell'ambito dell'ordine legale". 8. - Da quanto sopra discende la considerazione che, se il legislatore del 1958 ha ritenuto necessario rivestire di forma amministrativa le deliberazioni del C.S.M. onde permetterne la sottoposizione al controllo giurisdizionale ("di stretta legittimita'") del Consiglio di Stato, esso non puo' avere consentito che lo stesso C.S.M. sia sottoposto alla giurisdizione di merito del giudice amministrativo, sino a comportarne l'assoggettamento agli ordini ed ai poteri sostitutivi di tale giudice. Ora, se e' vero che il giudizio sull'esecuzione delle ordinanze cautelari e', come quello dell'art. 27, n. 4 del t.u. sul Consiglio di Stato, un giudizio di merito, in quanto consente al giudice valutazioni ampiamente discrezionali sui modi e sui limiti dell'esecuzione delle proprie decisioni e di esercitare anche poteri sostitutivi dell'amministrazione, esso non potra' esercitarsi che con riferimento ad attivita', non solo sostanzialmente (come quelle di competenza del C.S.M.), ma anche formalmente ammmistrative. D'altro canto il giudizio di ottemperanza nacque proprio dall'esigenza di evitare di sottoporre la pubblica amministrazione al potere giudiziario, anche ove fosse in giuoco l'esecuzione di sentenze passate in cosa giudicata, affidando al giudice amministrativo, a quella piu' omogeneo, il relativo giudizio. Tale esigenza, che ha indotto il legislatore a sottrarre alla giurisdizione ordinaria la tutela esecutiva degli stessi diritti soggettivi attribuiti alla sua cognizione, deve, a piu' forte ragione, valere nel caso inverso, in cui si tratta di assicurare l'indipendenza dell'organo di autogoverno della magistratura ordinaria dalla valutazione discrezionale e dagli ordini di un diverso potere dello Stato. E, come e' vietato al giudice ordinario emettere ordini di fare nei confronti della pubblica amministrazione, cosi' e' vietato a quello amministrativo sostituire la propria valutazione discrezionale a quella del Consiglio (che pubblica amministrazione non e'), impartirgli ordini e sostituirsi ad esso, direttamente o per il tramite di un commissario. La riflessione dottrinale sull'esecuzione delle ordinanze cautelari, precedentemente richiamata, ha, come si e' visto, messo in luce, insieme con l'estensione al merito dei poteri del giudice, la ratio di tale estensione nella posizione di appartenenza istituzionale del giudice amministrativo all'amministrazione (cfr. A. Romano, Op. loc. ult. cit.). Ma, ove a quest'appartenenza non si possa far riferimento, per l'esistenza di una sfera di attribuzioni costituzionalmente protetta (art. 105) e per l'esistenza tra le delibere del C.S.M. il giudizio amministrativo del filtro rappresentato dal decreto presidenziale o ministeriale di cui quelle delibere sono vestite, non puo' il giudice amministrativo, nell'esercizio di poteri di merito che non gli competono, superare quel filtro, ne' emanare ordini nei confronti dell'organo di autogoverno ne' disporne la sua sostituzione. 9. - Le considerazioni che precedono inducono dunque a ritenere che, oltre che per ragioni letterali anche per ragioni sistematiche, collegate alla posizione costituzionale del C.S.M. il legislatore del 1958 abbia escluso ogni giurisdizione di merito del Consiglio di Stato e dei T.A.R. sulle deliberazioni del C.S.M. La tutela giurisdizionale che la legge affida su di esse al giudice amministrativo, circoscritta com'e' all'atto presidenziale o ministeriale con cui le delibere sono esternate, non puo' dunque estendersi ne' al giudizio di ottemperanza ne' a quello per l'esecuzione della sospensiva che, strutturalmente, non potra' avere altro destinatario che la pubblica amministrazione strettamente intesa. Ne' si dica che in tal modo viene eliminata la tutela giurisdizionale che lo stesso art. 17 della legge n. 195 assicura ai magistrati e di cui l'esecuzione sarebbe lo sbocco necessario. In primo luogo l'obiezione proverebbe troppo, in quanto tende a ridurre alla sola fase esecutiva la tutela giurisdizionale, mentre esistono molti altri settori in cui alla fase di cognizione non segue ne' puo' seguire quella di esecuzione (basti pensare alle sentenze di mero accertamento o alle decisioni della Corte nei conflitti di attribuzione). In secondo luogo non appare pensabile ne' giustificabile che proprio il C.S.M. voglia sottrarsi all'esecuzione delle decisioni del giudice amministrativo, frustrando i diritti e gli interessi legittimi dei magistrati di cui esso e' rappresentativo. Infine va detto che, essendo la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti del C.S.M. configurata come giudizio di annullamento, la realizzazione delle pretese dei magistrati interessati gia' avviene con l'eliminazione, eventualmente previa sospensione, dell'atto lesivo e la restituzione all'organo deliberante del potere discrezionale di eseguire la pronuncia del giudice amministrativo. II. - Violazione, sotto diverso profilo, delle medesime disposizioni. 10. - Le considerazioni sviluppate nel precedente motivo inducono a censurare anche la statuizione con la quale il giudice amministrativo ha nominato il Ministro di grazia e giustizia commissario ad acta, disponendo che il dott. Vergari debba essere immesso nelle funzioni di presidente del tribunale di Catania "senza necessita' d'intervento di alcun altro organo". Le garanzie dell'indipendenza del C.S.M. come impediscono che esso possa essere soggetto al potere discrezionale di altro potere dello Stato, cosi', a piu' forte ragione, escludono che la necessita' del suo intervento possa, per ordine del giudice, essere esclusa con provvedimento dell'autorita' amministrativa. D'altra parte, poiche' nella specie dalla sospensione della nomina del dott. Cortegiani a presidente del tribunale di Catania non discende automaticamente la nomina del dott. Vergari (altrimenti non sarebbe stata necessaria l'ulteriore fase di esecuzione), ma l'individuazione ad opera del C.S.M. del soggetto a cui, sulla base dell'art. 104 dell'o.g. spetta la supplenza del titolare, l'ordinanza del T.A.R. ha finito coll'esercitare un potere ad esso non spettante, impingendo sull'esercizio di quelli attribuiti al C.S.M. 11. - Per le stesse ragioni vanno censurati gli atti del Ministro e del dirigente che, in ottemperanza agli illegittimi ordini del giudice amministrativo, hanno rimosso il titolare dell'ufficio di procuratore del tribunale di Catania nominando al suo posto il dott. Vergari. Con tali provvedimenti l'Amministrazione ha invaso la competenza del C.S.M. in ordine alla nomina dei magistrati agli uffici direttivi, quale definita dall'art. 11 della legge n. 195 in relazione all'art. 105 della Costituzione (cfr. sent. n. 379/1992 della Corte).