Ricorre  il  Consiglio superiore della magistratura, in persona del
 vice presidente pro-tempore prof. Piero  Alberto  Capotosti,  a  cio'
 autorizzato  con  delibera  16 febbraio 1995, rappresentato e difeso,
 giusta procura a margine del presente atto, dal prov.  avv.  Federico
 Sorrentino, presso il cui studio in Roma, Lungotevere delle Navi, 30,
 elegge  domicilio,  contro  il Tribunale amministrativo regionale del
 Lazio, Sezione I, in persona del  suo  presidente  in  carica,  e  il
 Ministro  in  carica per la grazia e la giustizia, per la risoluzione
 del conflitto tra poteri dello Stato determinato dai seguenti atti:
       a) ord. 7 dicembre 1994, n. 2915 della I Sezione del T.A.R. del
 Lazio, con la quale, su ricorso del dott. Benito  Vergari,  e'  stato
 ordinato  "all'amministrazione (id est al C.S.M.) di porre in essere,
 entro il termine di trenta giorni dalla data di  comunicazione  della
 presente ordinanza, tutti gli adempimenti necessari per dare compiuta
 esecuzione all'ordinanza 1644 del 22 giugno 1994, riservando, in caso
 di   ulteriore  inottemperanza,  di  provvedere  alla  nomina  di  un
 commissario ad acta ai fini dell'esecuzione medesima";
       b) ord. 25 gennaio 1995, n. 109 della I Sezione del T.A.R.  del
 Lazio,  con  la quale, sempre su ricorso del dott. Benito Vergari, e'
 stato nominato commissario ad acta il Ministro di grazia e  giustizia
 "il  quale,  direttamente, o attraverso persona da lui specificamente
 delegata, che operi sotto la sua vigilanza, provvedera', in  sede  di
 attuazione  delle  ordinanze  sopra  richiamate (1664/94 e 6873/94) e
 senza  la  necessita'  dell'intervento  di  alcun  altro  organo,   a
 sollevare  il  dott.  Francesco Cortegiani dall'ufficio di presidenza
 del tribunale di Catania e  ad  immettere  nelle  medesime  funzioni,
 interinalmente  e  fino  alla  data della definizione del ricorso nel
 merito, il dott. Vergari, gia' rivestente le funzioni  di  presidente
 reggente   il   medesimo   tribunale   alla   data  di  adozione  del
 provvedimento sospeso";
       c) provvedimento 3 marzo 1995 - prot. 1637g/CS/1537 - con  cui,
 in  esecuzione  dell'ordinanza di cui sub b), il Ministro ha delegato
 le funzioni di commissario ad acta al presidente Carlo Adriano Testi,
 direttore generale dell'organizzazione  giudiziaria  e  degli  affari
 generali;
       d)  provvedimento  3 marzo 1995 - prot. 1637g/CS/1538 - con cui
 il predetto direttore generale ha sollevato,  interinalmente  e  fino
 alla  data  di  decisione  del ricorso, il dott. Francesco Cortegiani
 dall'ufficio  di  presidente  del  tribunale   di   Catania   ed   ha
 contestualmente  immesso  il  dott.  Benito Vergari nelle funzioni di
 presidente reggente del medesimo tribunale.
                               F A T T O
    1. - Con ricorso notificato il 7  maggio  1994,  il  dott.  Benito
 Vergari  impugnava  dinanzi  al  T.A.R. del Lazio, chiedendone in via
 incidentale la sospensione, il d.P.R. 18 aprile 1994 che, su conforme
 delibera 16 marzo 1994 del C.S.M. aveva conferito al dott.  Francesco
 Cortegiani   l'ufficio  direttivo  di  presidente  del  tribunale  di
 Catania.
    Sebbene  il  provvedimento   fosse   gia'   stato   eseguito   con
 l'immissione  del  dott.  Cortegiani  nell'ufficio in questione, la I
 Sezione del T.A.R. del Lazio, con ordinanza 22 giugno 1994, n.  1644,
 ne sospendeva l'esecuzione.
    La  relativa  motivazione  era  cosi'  redatta:  "Ritenuto, ad una
 delibazione sommaria, che sussistono elementi di  fumus  boni  iuris,
 ravvisabili soprattutto sotto il profilo della carenza di un'adeguata
 motivazione   in   ordine  alla  preferenza  per  le  attitudini  del
 controinteressato,   quali   espresse   attraverso   la   manifestata
 conoscenza   delle   esigenze   del   tribunale   di   Catania  e  la
 prospettazione di soluzioni  atte  a  soddisfare  tali  esigenze,  in
 assenza   della   valutazione   comparativa   della  conoscenza  gia'
 dimostrata, in ordine alle  medesime  esigenze,  dal  ricorrente,  in
 ragione delle funzioni semidirettive e di reggenza ivi svolte e delle
 iniziative da questi svolte in concreto".
    Quest'ordinanza,  appellata  sia  dal  controinteressato  che  dal
 C.S.M. veniva peraltro confermata dalla IV Sezione del  Consiglio  di
 Stato  che,  con  ordinanza  19  ottobre  1994,  n.  1290, dichiarava
 inammissibile l'appello del dott.  Cortegiani  e,  con  ordinanza  16
 dicembre 1994, n. 1580, rigettava quello del C.S.M.
    2.  - A seguito del ricorso, notificato il 9 novembre 1994, con il
 quale il dott. Vergari chiedeva l'esecuzione della predetta decisione
 cautelare, la I  Sezione  del  T.A.R.  del  Lazio,  con  ordinanza  7
 dicembre  1994,  n.  2915 (sub a), "ordina(va) all'Amministrazione di
 porre in essere, entro il termine di trenta giorni ( ..),  tutti  gli
 adempimenti necessari per dare compiuta esecuzione all'ordinanza 1644
 del 22 giugno 1994, riservando, in caso di ulteriore in ottemperanza,
 di  provvedere  alla  nomina  di  un  commissario  ad  acta  ai  fini
 dell'esecuzione medesima".
    Ma, sebbene il Consiglio superiore della magistratura  contestasse
 il  fondamento del ricorso per l'esecuzione dell'ordinanza cautelare,
 il T.A.R. con ordinanza 25 gennaio 1995,  n.  209  (sub  b)  della  I
 Sezione,  nuovamente adito dal dott. Vergari, nominava commissario ad
 acta "il Ministro di grazia e  giustizia,  il  quale  direttamente  o
 attraverso persona da lui specificamente delegata, che operi sotto la
 sua  vigilanza,  provvedera',  in  sede di attuazione delle ordinanze
 sopra richiamate e senza la necessita' dell'intervento di alcun altro
 organo, a sollevare il dott.  Francesco  Cortegiani  dall'ufficio  di
 presidenza  del  tribunale  di  Catania e ad immettere nelle medesime
 funzioni, interinalmente e  fino  alla  data  della  definizione  del
 ricorso  nel merito, il dott. Vergari, gia' rivestente le funzioni di
 presidente reggente il medesimo tribunale alla data di  adozione  del
 provvedimento sospeso".
    A  seguito  di  quest'ordinanza,  il  cui  termine  di adempimento
 veniva, su richiesta del Ministro, prorogato di quindici  giorni  con
 ord.  3  del  15 febbraio 1995, n. 362 della I Sezione del T.A.R. del
 Lazio, il direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e  degli
 affari  generali  a  cio' delegato dal Ministro di grazia e giustizia
 (sub c), sollevava, con provvedimento 3 marzo 1995 (sub d), sia  pure
 interinalmente e fino alla decisione del ricorso, il dott. Cortegiani
 dall'ufficio  di  presidente  del tribunale di Catania, immettendo il
 dott. Vergari "nelle funzioni, gia' rivestite, di presidente reggente
 del medesimo Tribunale".
    3. - Non e' questa naturalmente la sede  per  rilievi  sul  merito
 della  vicenda  ora  ricordata:  ad  es.,  e'  assai dubbio che dalla
 sospensione del provvedimento di preposizione  del  dott.  Cortegiani
 all'ufficio  di  presidente  del  tribunale  di  Catania  discenda la
 necessita' del conferimento al dott. Vergari delle  funzioni  vicarie
 da  lui  ricoperte  per  il  trascorso  biennio  19 settembre 1992-18
 settembre 1994 (giusta la circolare C.S.M. 8-91-07704  del  2  maggio
 1991,  capo  C7,  in Notiziario n. 4 del 1991), poiche' tali funzioni
 spettano ora - in mancanza di designazione specifica - al  magistrato
 piu'  anziano  ex  art. 104 O.G. Con il presente ricorso il Consiglio
 superiore della magistratura, dopo aver  denunciato  con  regolamento
 preventivo  alle  ss.uu.  della  Corte  di  cassazione  il difetto di
 giurisdizione del giudice amministrativo in ordine al procedimento di
 esecuzione della misura cautelare,  solleva  conflitto  dinanzi  alla
 Corte  costituzionale  per la difesa delle proprie attribuzioni, lese
 dagli indicati provvedimenti del T.A.R. e del Ministro  di  grazia  e
 giustizia,  affidando  la propria difesa alle seguenti considerazioni
 di
                             D I R I T T O
    Sull'ammissibilita' del ricorso.
    4.  -  La  Corte  ha gia', con la sentenza n. 379/1992, ammesso la
 legittimazione del C.S.M. e del Ministro per la grazia e la giustizia
 ad essere parti nei conflitti riguardanti le loro attribuzioni  circa
 la preposizione dei magistrati agli uffici direttivi (artt. 105 e 110
 della Costituzione). In base a consolidata giurisprudenza della Corte
 e' del tutto pacifico che singoli uffici giurisdizionali, anche se di
 primo   grado,  sono  ugualmente  legittimati  ad  essere  parti  nei
 conflitti tra poteri dello  Stato.  Sicche'  nessun  ostacolo  sembra
 sussistere  all'ammissibilita',  sotto  il  profilo  soggettivo,  del
 ricorso.
   Per quanto riguarda  quello  oggettivo,  va  detto  che  il  C.S.M.
 rivendica,   con   il   presente  atto,  l'integrita'  delle  proprie
 attribuzioni costituzionali ex  art.  105  della  Costituzione,  lese
 dall'ordine  del giudice amministrativo (sub a) di rimuovere il dott.
 Cortegiani dall'ufficio di presidente del tribunale di Catania  e  di
 nominarvi  il  dott. Vergari, ed ancor piu' dal provvedimento, emesso
 dallo stesso giudice, di nomina  del  commissario  ad  acta,  con  il
 contestuale   divieto   dell'"intervento   di  alcun  altro  organo",
 affinche' sollevi il dott. Cortegiani e nomini il  dott.  Vergari  al
 predetto  ufficio  (sub  b),  dall'atto  con  il quale il Ministro ha
 delegato tale attivita' al direttore generale (sub c) e da quello con
 cui quest'ultimo si e' sostituito al C.S.M. (sub d).
    Il  conflitto  assume  quindi  il  connotato  tradizionale   della
 vindicatio potestatis.
    I.  -  Violazione  dell'art.  105 della Costituzione, in relazione
 agli artt. 11 e 17 della legge n. 195/1958.
    5. - La nomina dei magistrati agli uffici  direttivi  e',  secondo
 quanto la Corte ha chiarito nella sua giurisprudenza (sentt. 168/1963
 e  379/1992),  di  competenza  del  C.S.M. in base all'art. 105 della
 Costituzione, pur se al relativo procedimento partecipa, nella  forma
 del concerto, il Ministro per la grazia e la giustizia.
    La  circostanza  che  i  decreti  del Presidente della Repubblica,
 attraverso i quali gli atti del Consiglio  vengono  esternati,  siano
 sottoposti al controllo di legittimita' del giudice amministrativo in
 base al richiamato art. 17 della legge n. 195/1958, non contrasta col
 carattere   costituzionale   delle  attribuzioni  dei  Consiglio,  ma
 rappresenta il punto di equilibrio tra l'indipendenza  dell'organo  e
 la garanzia dei diritti e degli interessi legittimi dei magistrati.
    Ma  dall'impugnabilita'  dinanzi  al  giudice  amministrativo  dei
 decreti presidenziali attraverso i quali viene espressa  la  volonta'
 del  C.S.M.  prevista  dal  ricordato  art.  17, non discende in modo
 automatico  la  sottoposizione  dell'attivita'  del  Consiglio   alla
 giurisdizione  di  merito  del  medesimo  giudice.  In questa sede il
 C.S.M. contesta che, nell'ambito della giurisdizione di legittimita',
 affidata al giudice amministrativo nei confronti dei suoi atti, possa
 inserirsi una fase  subprocedimentale  diretta  all'esecuzione  delle
 ordinanze di sospensione che, a sua volta, implica l'esercizio di una
 giurisdizione di merito analoga a quella di cui all'art. 27, n. 4 del
 t.u. sul Consiglio di Stato.
    E'  noto  che,  a  partire dalla decisione n. 6/1982 dell'A.p. del
 Consiglio  di  Stato,  il  giudice  amministrativo  ha  ammesso  che,
 allorche'  l'ordinanza  di  sospensione  non  sia  di  per se' stessa
 sufficiente a garantire l'effettivita'  dell'interesse  fatto  valere
 dal  ricorrente,  lo  stesso  possa adire nuovamente il giudice della
 cautela,  chiedendo  l'emanazione  dei   provvedimenti   idonei   per
 assicurare l'esecuzione della sospensiva.
    Conseguentemente  e'  stato  introdotto  dalla  giurisprudenza  un
 procedimento che, pur rappresentando  la  prosecuzione  del  giudizio
 incidentale  per  la  sospensione  del  provvedimento  impugnato,  si
 caratterizza per il fatto che, analogamente a quanto avviene  per  il
 giudizio  di  ottemperanza,  il  giudice  si ritiene investito di una
 giurisdizione di merito  con  poteri  largamente  discrezionali,  che
 comprendono  anche  quello  di  sostituirsi,  per  il  tramite  di un
 commissario,   all'amministrazione   ritenuta   inerte   o   comunque
 inottemperante.
    E,  sebbene  nelle prime decisioni sul punto il Consiglio di Stato
 avesse cercato di  differenziare  il  procedimento  per  l'esecuzione
 della  sospensiva  dal  giudizio  di  ottemperanza, sottolineando che
 "anche  in  materia  cautelare   i   poteri   del   giudice   debbono
 estrinsecarsi  in  un  ambito  determinato  dal  doppio e concorrente
 limite di realizzare  la  piena  tutela  dell'interesse  dedotto  nel
 giudizio senza pero' decampare dal sistema posto dall'art. 4 ed anche
 dall'art.  7  della  legge  20  marzo  1865,  n.  2248,  all.  E  sul
 contenzioso amministrativo" (A.p. 6/1982, in F. it.,  3',235),  nella
 prassi  tali  poteri hanno finito col modellarsi su quelli propri del
 giudice di ottemperanza.
    In  realta'  l'orientamento  ora  richiamato,  che   poi   si   e'
 consolidato    nella    prassi    giurisprudenziale    dei    giudici
 amministrativi, muove dall'idea che, quando gli effetti  "caducatori"
 della  sospensiva  non  siano  sufficienti  ad  assicurare  la tutela
 cautelare dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio  -  perche',
 ad  es., e' sospeso un provvedimento negativo o, come nel caso che ha
 dato occasione al  presente  conflitto,  l'interesse  del  ricorrente
 attiene  non  tanto  "alla  demolizione" del provvedimento impugnato,
 quanto ad ottenerne uno a lui favorevole -, allora il soddisfacimento
 di detto interesse potra' essere richiesto nelle forme  del  giudizio
 cautelare.  Il  giudice,  a  sua  volta,  potra'  avvalersi di poteri
 analoghi a quelli  a  lui  spettanti  in  sede  di  ottemperanza,  in
 considerazione  dell'identita' della ratio della tutela, della natura
 sostanzialmente   decisoria   dell'ordinanza   cautelare   e    della
 medesimezza dell'attivita' e dell'organo decidente.
    La  dottrina  poi,  da diverse prospettive, ha messo in luce come,
 non ostante l'insistenza del giudice amministrativo  a  differenziare
 nella forma il giudizio per l'esecuzione delle ordinanze cautelari da
 quello   per  l'esecuzione  delle  sentenze,  i  poteri  in  concreto
 esercitati, con la possibilita' d'interventi anche  sostitutivi,  non
 possono  non  ricondursi  a quelli di cui all'art. 27, n. 4, del t.u.
 sul Consiglio di Stato (cfr. Villata, in Dir. proc. amm.vo  1983,  97
 ss.).
    Piu'  esplicitamente  e'  stato affermato (A. Romano, in aa.vv. Il
 giudizio cautelare amministrativo, Roma 1987, 49 ss.) che lo sviluppo
 del giudizio cautelare, pur in assenza di interventi del  legislatore
 diretti  ad adeguare ad esso le originarie scelte normative, consente
 di  concludere  che  le  misure  adottabili  in   tale   fase   "sono
 esattissimamente   quelle,   soprattutto  sostitutive  dell'attivita'
 dell'amministrazione, che il  medesimo  giudice  amministrativo  puo'
 disporre  in  sede  di  giudizio  di ottemperanza; e che, percio', il
 giudizio cautelare costituisce una materia in ordine  alla  quale  la
 giurisdizione  di  tale giudice viene estesa al merito" (dello stesso
 A. vedasi  anche  Tutela  cautelare  nel  nrocesso  amministrativo  e
 giurisdizione  di merito, in Foro it. 1985, I, 2491 ss. e part. 2500,
 ove e' esplicitamente detto che la  tutela  cautelare  amministrativa
 rappresenta un caso, "sia pure non legislativamente definito tale, di
 giurisdizione  amministrativa  estesa  al  merito";  sempre in questo
 scritto viene  sottolineata  la  particolare  posizione  del  giudice
 amministrativo   che,   non   potendo   dirsi  "totalmente  estraneo"
 all'amministrazione "come istituzione", "puo'  intervenire  ben  piu'
 incisivamente  di  quanto  non  possa  il giudice ordinario nella sua
 attivita': perche' non viene ostacolato dalle  esigenze  di  garanzia
 dell'autonomia  di  un  soggetto  rispetto  al  quale rimane comunque
 terzo").
    6. - Da queste premesse  nasce  dunque  l'interrogativo,  che  nei
 confronti  degli  atti del C.S.M. si pone in modo del tutto speciale,
 circa  l'ammissibilita'  dell'esercizio  da  parte  del  giudice   di
 legittimita'  di  poteri, bensi' finalizzati alla realizzazione della
 tutela cautelare, ma implicanti l'esercizio di una  giurisdizione  di
 merito.
    E'  noto,  infatti, che le ipotesi di giurisdizione di merito sono
 tassative e probabilmente di stretta interpretazione;  esse  comunque
 non  possono  non essere fondate - per la riserva di legge in materia
 processuale amministrativa (artt. 108 e 113 della Costituzione -  che
 su esplicita previsione di legge.
    Se   dunque   il   Consiglio  di  Stato  ritiene  che  quello  per
 l'esecuzione  delle  ordinanze  cautelari   non   sia   un   giudizio
 strutturalmente  riconducibile  all'art.  27, n. 4 del t.u. 1054/1924
 (perche' l'ordinanza cautelare non  puo'  essere  equiparata  ad  una
 sentenza  passata  in  giudicato),  ne discende che esso non ha alcun
 fondamento legislativo esplicito, come del resto  la  dottrina  sopra
 ricordata  ha  puntualmente  avvertito.  Ne  discende,  ancora,  che,
 investito di un giudizio di legittimita', il  giudice  amministrativo
 potra'   esercitare  soltanto  i  poteri  inerenti  a  tale  tipo  di
 giurisdizione, restandogli inibito qualunque apprezzamento di merito.
    7. - Nel caso dei  provvedimenti  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura  tale conclusione risulta rafforzata dalla posizione che
 a  quest'organismo  riconosce  la  Costituzione,  per  la  quale   il
 legislatore del 1958 ha previsto lo schermo del decreto presidenziale
 o  ministeriale,  onde  consentire  l'impugnazione  dei provvedimenti
 attinenti allo status dei magistrati ed  ha  esplicitamente  limitato
 alla    legittimita'    il   controllo   giurisdizionale   su   detti
 provvedimenti.
     Ora e' pacifico che la posizione  costituzionale  del  C.S.M.  e'
 strumentale  ad  assicurare, ai sensi degli artt. 104, primo comma, e
 101,  secondo   comma,   della   Costituzione,   i   valori   primari
 dell'indipendenza  e  dell'imparzialita' della magistratura. Solo una
 magistratura che  si  autogoverni,  infatti,  puo'  essere  veramente
 indipendente   e  solo  una  magistratura  indipendente  puo'  essere
 veramente imparziale.
    Ma se detta posizione non comporta, come si e' gia' detto, che gli
 atti del C.S.M. si sottraggano  al  sindacato  giurisdizionale,  essa
 esclude che quel sindacato venga compiuto in forme tali da mettere in
 pericolo  il  principio  dell'autogoverno  (e conseguentemente quelli
 dell'indipendenza e dell'imparzialita') della magistratura. Di questo
 ha  avuto  consapevolezza  il  legislatore, che nell'art. 17, secondo
 comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, ha disposto che  avverso  i
 provvedimenti  riguardanti  i magistrati "e' ammesso ricorso in primo
 grado al tribunale amministrativo regionale del Lazio per  motivi  di
 legittimita'"  e che "contro la decisione di prima istanza e' ammessa
 l'impugnazione al  Consiglio  di  Stato"  (cosi'  nel  testo  di  cui
 all'art. 4 della legge n. 74/1990).
    Il riferimento esplicito ai "motivi di legittimita'", come pure il
 mancato  richiamo  dell'unica  ipotesi  di  giurisdizione  di  merito
 configurabile  (ossia  il   giudizio   d'ottemperanza),   e'   invero
 significativo  della considerazione che il legislatore del 1958-90 ha
 fatto del ruolo e della posizione istituzionale del C.S.M.
    Non va, infatti, dimenticato che,  come  ebbe  a  sottolineare  la
 Corte  nelle sentenze nn. 168/1963 e 44/1968, la previsione del primo
 comma dell'art. 17 della legge n. 195/1958 - secondo la quale  "tutti
 i   provvedimenti   riguardanti   i   magistrati  sono  adottati,  in
 conformita' delle deliberazioni del Consiglio superiore, con  decreto
 del  Presidente  della  Repubblica controfirmato dal Ministro; ovvero
 nei casi stabiliti dalla legge,  con  decreto  del  Ministro  per  la
 grazia  e la giustizia" - ha rappresentato il punto di equilibrio tra
 due opposte esigenze: da un lato quella di assicurare  l'indipendenza
 dell'organo,  dall'altra  quella  di  consentire, attraverso la forma
 amministrativa   dei   decreti,   il    controllo    finanziario    e
 giurisdizionale su provvedimenti sostanzialmente amministrativi, onde
 non privare i magistrati della relativa tutela.
    "Se  si  muova  dalla  considerazione  -  affermava la Corte nella
 sentenza n. 44/1968 - che non sembra  contestabile,  secondo  cui  la
 sottoposizione  delle  deliberazioni  del  Consiglio  superiore della
 magistratura ad un controllo di stretta legittimita' da parte  di  un
 organo  appartenente  al  potere giurisdizionale non sia, di per se',
 tale da condurre necessariamente a vanificare o comunque ad attenuare
 l'efficacia  della  funzione  garantista  cui  esse   adempiono,   la
 questione  si  riduce ad accertare la fondatezza dell'ostacolo che il
 diritto  positivo,  secondo   la   difesa   del   Ministero,   oppone
 all'esercizio  del  sindacato  sugli  atti  in  parola da parte della
 giurisdizione  cui  l'art.  113  affida  la  tutela  dei  diritti  ed
 interessi  legittimi.  L'ostacolo  eccepito  e' quello fatto derivare
 dalla  parte  dell'articolo  predetto  che  limita  agli  atti  della
 pubblica   amministrazione  la  tutela  medesima,  e  che,  messo  in
 relazione  con  i  precedenti  artt.  102  e  103,  deve   intendersi
 circoscritto  solo agli interventi della giurisdizione amministrativa
 ..".
    "( ..) La difficolta' che all'applicazione nella specie dei citati
 articoli  della  Costituzione  oppone  il  carattere  rivestito   dal
 Consiglio  superiore  della  magistratura,  cioe' di organo che, pure
 espletando funzioni solamente di indole amministrativa, non e'  parte
 della  pubblica  amministrazione  (  ..),  non  puo'  essere superata
 attraverso l'asserzione, contenuta in alcune decisioni del  Consiglio
 di  Stato,  del  carattere preparatorio da assegnare all'attivita' di
 detto organo rispetto a quella esplicata con l'emanazione dei decreti
 previsti dall'art. 17, i quali quindi, secondo detta tesi, dovrebbero
 considerarsi  costitutivi  degli  effetti  giuridici  riguardanti   i
 magistrati  che  ne  sono destinatari. Infatti l'opinione riferita e'
 contrastata dalla chiara dizione degli artt.  105,  106,  107  e  110
 della   Costituzione,   i   quali  attribuiscono  proprio  alla  sola
 competenza  del  Consiglio  superiore  della  magistratura  tutti   i
 provvedimenti di Stato comunque riguardanti i magistrati, secondo poi
 e'  specificato  dall'art.  10  e  successivi della legge n. 195, del
 1958, emessa in attuazione del  precetto  costituzionale,  che  fanno
 riferimento  ai  poteri "deliberanti" dell'organo medesimo". Sicche',
 concludeva la  Corte,  richiamando  la  sua  precedente  sentenza  n.
 168/1963,  i  decreti  del Presidente della Repubblica o del Ministro
 assumono  la  funzione  di  conferire  alle   decisioni   dell'organo
 deliberante  la  forma che, "sulla base dei principi fondamentali del
 sistema,  e'   prescritta   per   i   provvedimenti   aventi   indole
 sostanzialmente  amministrativa";  e  cio'  al fine di consentirne la
 sottoposizione  "alle  varie  specie  di   sindacato   destinate   ad
 assicurarne il contenimento nell'ambito dell'ordine legale".
    8.  -  Da  quanto  sopra  discende  la  considerazione  che, se il
 legislatore del  1958  ha  ritenuto  necessario  rivestire  di  forma
 amministrativa  le  deliberazioni  del  C.S.M.  onde  permetterne  la
 sottoposizione   al   controllo    giurisdizionale    ("di    stretta
 legittimita'") del Consiglio di Stato, esso non puo' avere consentito
 che  lo stesso C.S.M. sia sottoposto alla giurisdizione di merito del
 giudice amministrativo, sino  a  comportarne  l'assoggettamento  agli
 ordini ed ai poteri sostitutivi di tale giudice.
    Ora,  se  e'  vero che il giudizio sull'esecuzione delle ordinanze
 cautelari e', come quello dell'art. 27, n. 4 del t.u.  sul  Consiglio
 di  Stato,  un  giudizio  di  merito,  in  quanto consente al giudice
 valutazioni  ampiamente  discrezionali  sui   modi   e   sui   limiti
 dell'esecuzione  delle proprie decisioni e di esercitare anche poteri
 sostitutivi dell'amministrazione, esso non potra' esercitarsi che con
 riferimento ad attivita', non solo sostanzialmente  (come  quelle  di
 competenza del C.S.M.), ma anche formalmente ammmistrative.
    D'altro   canto   il   giudizio  di  ottemperanza  nacque  proprio
 dall'esigenza di evitare di sottoporre la pubblica amministrazione al
 potere  giudiziario,  anche  ove  fosse  in  giuoco  l'esecuzione  di
 sentenze   passate   in   cosa   giudicata,   affidando   al  giudice
 amministrativo, a quella piu' omogeneo, il relativo giudizio.
    Tale esigenza, che ha indotto  il  legislatore  a  sottrarre  alla
 giurisdizione  ordinaria  la  tutela  esecutiva  degli stessi diritti
 soggettivi  attribuiti  alla  sua  cognizione,  deve,  a  piu'  forte
 ragione,  valere  nel  caso  inverso,  in cui si tratta di assicurare
 l'indipendenza  dell'organo   di   autogoverno   della   magistratura
 ordinaria  dalla  valutazione  discrezionale  e  dagli  ordini  di un
 diverso potere dello Stato. E, come e' vietato al  giudice  ordinario
 emettere ordini di fare nei confronti della pubblica amministrazione,
 cosi'  e'  vietato  a  quello  amministrativo  sostituire  la propria
 valutazione  discrezionale  a  quella  del  Consiglio  (che  pubblica
 amministrazione  non  e'),  impartirgli ordini e sostituirsi ad esso,
 direttamente o per il tramite di un commissario.
    La  riflessione   dottrinale   sull'esecuzione   delle   ordinanze
 cautelari, precedentemente richiamata, ha, come si e' visto, messo in
 luce,  insieme  con l'estensione al merito dei poteri del giudice, la
 ratio  di   tale   estensione   nella   posizione   di   appartenenza
 istituzionale del giudice amministrativo all'amministrazione (cfr. A.
 Romano, Op. loc. ult. cit.).
    Ma,  ove  a  quest'appartenenza  non si possa far riferimento, per
 l'esistenza di una sfera di attribuzioni costituzionalmente  protetta
 (art.  105)  e per l'esistenza tra le delibere del C.S.M. il giudizio
 amministrativo del filtro rappresentato dal decreto  presidenziale  o
 ministeriale di cui quelle delibere sono vestite, non puo' il giudice
 amministrativo,  nell'esercizio  di  poteri  di  merito  che  non gli
 competono, superare quel filtro, ne'  emanare  ordini  nei  confronti
 dell'organo di autogoverno ne' disporne la sua sostituzione.
    9.  -  Le  considerazioni che precedono inducono dunque a ritenere
 che, oltre che per ragioni letterali anche per ragioni  sistematiche,
 collegate alla posizione costituzionale del C.S.M. il legislatore del
 1958  abbia  escluso  ogni  giurisdizione  di merito del Consiglio di
 Stato e dei T.A.R. sulle deliberazioni del C.S.M.
    La tutela giurisdizionale che  la  legge  affida  su  di  esse  al
 giudice  amministrativo, circoscritta com'e' all'atto presidenziale o
 ministeriale con cui le delibere  sono  esternate,  non  puo'  dunque
 estendersi   ne'  al  giudizio  di  ottemperanza  ne'  a  quello  per
 l'esecuzione della sospensiva che, strutturalmente, non potra'  avere
 altro  destinatario  che  la  pubblica  amministrazione  strettamente
 intesa.
    Ne'  si  dica  che  in  tal  modo  viene   eliminata   la   tutela
 giurisdizionale  che lo stesso art. 17 della legge n. 195 assicura ai
 magistrati e di cui l'esecuzione sarebbe lo sbocco necessario.
    In primo luogo l'obiezione proverebbe troppo, in  quanto  tende  a
 ridurre  alla  sola  fase esecutiva la tutela giurisdizionale, mentre
 esistono molti altri settori in cui alla fase di cognizione non segue
 ne' puo' seguire quella di esecuzione (basti pensare alle sentenze di
 mero accertamento o alle  decisioni  della  Corte  nei  conflitti  di
 attribuzione).
    In  secondo  luogo  non  appare  pensabile  ne' giustificabile che
 proprio il C.S.M. voglia sottrarsi all'esecuzione delle decisioni del
 giudice  amministrativo,  frustrando  i  diritti  e   gli   interessi
 legittimi dei magistrati di cui esso e' rappresentativo.
    Infine  va  detto  che,  essendo  la  tutela  giurisdizionale  nei
 confronti  degli  atti  del  C.S.M.  configurata  come  giudizio   di
 annullamento,   la   realizzazione   delle   pretese  dei  magistrati
 interessati gia' avviene  con  l'eliminazione,  eventualmente  previa
 sospensione,   dell'atto   lesivo   e   la   restituzione  all'organo
 deliberante del potere discrezionale di  eseguire  la  pronuncia  del
 giudice amministrativo.
    II.   -   Violazione,   sotto   diverso  profilo,  delle  medesime
 disposizioni.
    10. - Le considerazioni sviluppate nel precedente motivo  inducono
 a   censurare   anche   la   statuizione  con  la  quale  il  giudice
 amministrativo  ha  nominato  il  Ministro  di  grazia  e   giustizia
 commissario  ad  acta,  disponendo  che il dott. Vergari debba essere
 immesso nelle funzioni di presidente del tribunale di Catania  "senza
 necessita' d'intervento di alcun altro organo".
    Le garanzie dell'indipendenza del C.S.M. come impediscono che esso
 possa  essere  soggetto al potere discrezionale di altro potere dello
 Stato, cosi', a piu' forte ragione, escludono che la  necessita'  del
 suo  intervento  possa,  per  ordine  del giudice, essere esclusa con
 provvedimento dell'autorita' amministrativa.
    D'altra parte, poiche' nella specie dalla sospensione della nomina
 del  dott.  Cortegiani  a  presidente  del  tribunale  di Catania non
 discende automaticamente la nomina del dott. Vergari (altrimenti  non
 sarebbe   stata   necessaria  l'ulteriore  fase  di  esecuzione),  ma
 l'individuazione ad opera del C.S.M. del soggetto a cui,  sulla  base
 dell'art. 104 dell'o.g. spetta la supplenza del titolare, l'ordinanza
 del T.A.R. ha finito coll'esercitare un potere ad esso non spettante,
 impingendo sull'esercizio di quelli attribuiti al C.S.M.
    11.  - Per le stesse ragioni vanno censurati gli atti del Ministro
 e del dirigente che, in  ottemperanza  agli  illegittimi  ordini  del
 giudice  amministrativo,  hanno  rimosso  il titolare dell'ufficio di
 procuratore del tribunale di Catania nominando al suo posto il  dott.
 Vergari.
    Con  tali  provvedimenti l'Amministrazione ha invaso la competenza
 del  C.S.M.  in  ordine  alla  nomina  dei  magistrati  agli   uffici
 direttivi,  quale  definita  dall'art.  11  della  legge  n.  195  in
 relazione all'art. 105 della Costituzione  (cfr.  sent.  n.  379/1992
 della Corte).