Ricorre  il  Consiglio superiore della magistratura, in persona del
 vice presidente prof. Piero Alberto Capotosti, a cio' autorizzato con
 delibera 16 febbraio 1995, rappresentato e difeso, giusta  procura  a
 margine del presente atto, dal prof. avv. Federico Sorrentino, presso
 il  cui studio in Roma, lungotevere delle Navi, 30, elegge domicilio,
 contro il  Consiglio  di  Stato,  sezione  IV,  in  persona  del  suo
 presidente  ed,  ove  occorra, del presidente del Consiglio di Stato,
 per la risoluzione del conflitto tra poteri dello  Stato  determinato
 dalla decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 27 dicembre 1994, n.
 1074,  con  la  quale,  in accoglimento di un ricorso del dott. Mario
 Cozzi, si e' intimato al Consiglio superiore  della  magistratura  di
 conferire,  nel termine di 60 giorni dalla notificazione della stessa
 pronuncia,  l'ufficio  di  procuratore  della  Repubblica  presso  la
 pretura  circondariale  di Napoli allo stesso dott. Cozzi, nominando,
 in caso di inutile decorso del termine, commissario ad acta  il  vice
 presidente del Consiglio medesimo.
                               F A T T O
    1.  -  In  conformita'  alla  decisione  del  plenum del Consiglio
 superiore della magistratura, assunta in  data  21  aprile  1989,  il
 dott.  Augusto  Coppola  veniva nominato procuratore della Repubblica
 presso la pretura circondariale di Napoli con d.P.R. 15 maggio  1989.
 Avverso  tale  provvedimento  proponeva ricorso straordinario al Capo
 dello Stato il dott. Mattia Del Franco. Il ricorso veniva accolto con
 d.P.R. 31 gennaio 1991.
    Il  Consiglio  superiore  della  magistratura,  preso  atto  della
 decisione  sul  predetto  ricorso, procedeva ad una nuova volutazione
 dei candidati, tra i quali il dott. Mario Cozzi, e  disponeva,  nella
 seduta  del 27 marzo 1991, di conferire l'ufficio a concorso al dott.
 Augusto  Coppola,  che  veniva  quindi  nominato  con   decreto   del
 Presidente  della Repubblica. Tale provvedimento non veniva impugnato
 da alcuno.
    Peraltro il dott.  Mario  Cozzi,  che  era  stato  pretermesso  in
 entrambe le procedure, in quella annullata in sede straordinaria e in
 quella  esperita  a  seguito  di  tale  annullamento, aveva impugnato
 dinanzi al t.a.r. del Lazio il primo decreto (d.P.R. 15 maggio 1989).
 Il ricorso veniva rigettato con sentenza 25  febbraio  1991,  n.  211
 della  I  sezione. L'appello veniva pero' accolto con decisione della
 IV sezione del Consiglio di  Stato,  20  maggio  1993,  n.  545,  con
 conseguente  (inutile)  annullamento  del d.P.R. 15 maggio 1989, gia'
 annullato in sede straordinaria con d.P.R. 31 gennaio 1991.
    Nelle more del giudizio, decedeva, in data  22  ottobre  1992,  il
 dott.  Coppola.  Veniva  percio' bandito un ulteriore concorso per la
 copertura del posto resosi cosi' vacante; questo si concludeva con la
 delibera 19 maggio 1993 di conferimento del posto al dott. Gambarota,
 che veniva nominato con d.P.R. del 15 giugno 1993.
    La decisione  del  C.S.M.  di  conferimento  del  posto  al  dott.
 Gambarota precedeva, dunque, la pronuncia del Consiglio di Stato, pur
 se a questa era successivo il decreto presidenziale di nomina.
    Peraltro,  senza attendere l'esito di altre due impugnative da lui
 proposte contro l'apertura della procedura concorsuale a seguito  del
 decesso  del  dott.  Coppola e contro la conseguente nomina del dott.
 Gambarota, il dott. Cozzi, previa rituale diffida e  messa  in  mora,
 nuovamente   adiva   la   IV  sezione  del  Consiglio  di  Stato  per
 l'esecuzione della decisione n. 545/1993.
   Il  Consiglio,  dopo  una  prima   decisione   interlocutoria,   ha
 pronunciato  la  decisione  24  dicembre  1994, n. 1074, con la quale
 direttamente ha ordinato all'"Amministrazione" (cioe' al  C.S.M.)  di
 provvedere entro sessanta giorni al conferimento al dott. Mario Cozzi
 dell'ufficio  di  procuratore  della  Repubblica  presso  la  pretura
 circondariale di Napoli, ed ha nominato,  per  l'ipotesi  di  inutile
 decorso  di  tale termine, commissario ad acta il vice presidente del
 Consiglio superiore della magistratura.
    Contro questa pronuncia il C.S.M. ha  gia'  proposto  ricorso  per
 cassazione  sotto  il  profilo  che  essa eccede la giurisdizione del
 giudice amministrativo. Essa e' altresi' invasiva delle  attribuzioni
 costituzionali del C.S.M. come si confida di dimostrare attraverso le
 seguenti considerazioni in
                             D I R I T T O
   Sull'ammissibilita' del ricorso.
    2.  -  La  Corte  ha gia', con la sentenza n. 379/1992, ammesso la
 legittimazione del C.S.M. ad essere parte nei  conflitti  riguardanti
 le  sue attribuzioni circa la preposizione dei magistrati agli uffici
 direttivi (art.  105  della  Costituzione).  In  base  a  consolidata
 giurisprudenza  della Corte e', poi, del tutto pacifico che i singoli
 uffici giurisdizionali sono legittimati ad essere parti nei conflitti
 tra poteri dello Stato.
    Per quanto riguarda, in particolare, il Consiglio di Stato non  si
 puo'  negare che esso, non solo come giurisdizione speciale (art. 103
 della Costituzione), ma anche come organo ausiliario (art. 100  della
 Costituzione;  cfr. sentenza n. 406/1989 della Corte costituzionale),
 sia configurabile come potere dello Stato, di cui la singola  sezione
 e' organo competente a dichiarare definitivamente la volonta'.
    Nessun ostacolo sembra dunque sussistere all'ammissibilita', sotto
 il profilo soggettivo, del ricorso.
    Per  quanto  riguarda  quello  oggettivo,  va  detto che il C.S.M.
 rivendica,  con  il  presente  atto,   l'integrita'   delle   proprie
 attribuzioni  costituzionali  ex  artt. 104 e 105 della Costituzione,
 lese dall'ordine del giudice  amministrativo  di  nominare  il  dott.
 Cozzi  all'ufficio  di procuratore della Repubblica presso la pretura
 circondariale di Napoli, rimovendo l'attuale titolare, ed ancor  piu'
 dal  provvedimento  con  il  quale  il  suo  vice presidente e' stato
 nominato commissario ad acta, che  manifestamente  incide  sulla  sua
 struttura organizzativa.
    Il   conflitto   assume   quindi,   per  un  verso,  il  connotato
 tradizionale della vindicatio  potestatis  e,  per  altro  verso,  il
 carattere di conflitto da menomazione.
    I.  -  Violazione dell'art. 105 Cost. in relazione agli artt. 11 e
 17 della legge n. 195/1958 (come modificato dalla legge n. 74/1990).
    3. - La nomina dei magistrati agli uffici  direttivi  e',  secondo
 quanto  la  Corte  ha chiarito nella sua giurisprudenza (sentenze nn.
 168/1963 e 379/1992), di competenza del C.S.M. in base  all'art.  105
 della  Costituzione, pur se al relativo procedimento partecipa, nella
 forma del concerto, il Ministro per la grazia e la giustizia.
    La  circostanza  che  i  decreti  del Presidente della Repubblica,
 attraverso i quali gli atti del Consiglio  vengono  esternati,  siano
 sottoposti  al  controllo di legittimita' del giudice amministrativo,
 in base al richiamato art. 17 della legge n. 195/1958, non  contrasta
 col  carattere  costituzionale  delle  attribuzioni del Consiglio, ma
 rappresenta il punto di equilibrio tra l'indipendenza  dell'organo  e
 la garanzia dei diritti e degli interessi legittimi dei magistrati.
    Ma  dall'impugnabilita'  dinanzi  al  giudice  amministrativo  dei
 decreti presidenziali attraverso i quali viene espressa  la  volonta'
 del  C.S.M.  prevista  dal  ricordato  art.  17, non discende in modo
 automatico  la  sottoposizione  dell'attivita'  del  Consiglio   alla
 giurisdizione di merito del medesimo giudice.
    Con  la  decisione  che ha dato luogo al conflitto il Consiglio di
 Stato, adito in sede di ottemperanza ai sensi dell'art. 27, n. 4, del
 t.u. 1924, ha infatti emesso una pronuncia di merito con la quale  ha
 ordinato  al  C.S.M. di nominare il dott. Cozzi all'ufficio direttivo
 in questione ed ha  nominato,  per  il  caso  di  inottemperanza  nel
 termine, il vice presidente dello stesso C.S.M. commissario ad acta.
    4.  -  La  non  sottoponibilita'  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura alla giurisdizione di merito di un  altro  potere  dello
 Stato  risulta  innanzitutto  dalla  posizione  che a quest'organismo
 riconosce  la  costituzione,  in  considerazione   della   quale   il
 legislatore del 1958 ha previsto lo schermo del decreto presidenziale
 o  ministeriale,  onde  consentire  l'impugnazione  dei provvedimenti
 attinenti allo status dei magistrati, ed ha  esplicitamente  limitato
 alla    legittimita'    il   controllo   giurisdizionale   su   detti
 provvedimenti.
    Ora e' pacifico che detta posizione e' strumentale ad  assicurare,
 ai  sensi  degli  artt. 104, primo comma, e 101, secondo comma, della
 Costituzione, i valori primari dell'indipendenza e dell'imparzialita'
 della  magistratura.  Solo  una  magistratura  che  si   autogoverni,
 infatti,  puo'  essere veramente indipendente e solo una magistratura
 indipendente puo' essere veramente imparziale.
    Ma se quella posizione non comporta, come si e'  gia'  detto,  che
 gli  atti  C.S.M.  si  sottraggano al sindacato giurisdizionale, essa
 esclude che questo sindacato venga compiuto in forme tali da  mettere
 in  pericolo il principio dell'autogoverno (e conseguentemente quelli
 dell'indipendenza e dell'imparzialita') della magistratura. Di questo
 ha avuto consapevolezza il legislatore,  che  nell'art.  17,  secondo
 comma,  della  legge 24 marzo 1958, n. 195, ha disposto che avverso i
 provvedimenti riguardanti i magistrati "e' ammesso ricorso  in  primo
 grado  al  tribunale amministrativo regionale del Lazio per motivi di
 legittimita'" e che "contro la decisione di prima istanza e'  ammessa
 l'impugnazione  al  Consiglio  di  Stato"  (cosi'  nel  testo  di cui
 all'art. 4 della legge n. 74/1990).
    Il riferimento esplicito ai "motivi di legittimita'", come pure il
 mancato  richiamo  dell'unica  ipotesi  di  giurisdizione  di  merito
 configurabile   (ossia   il   giudizio   d'ottemperanza),  e'  invero
 significativo della considerazione che il legislatore del 1958-90  ha
 fatto del ruolo e della posizione istituzionale del C.S.M.
    Non  va,  infatti,  dimenticato  che,  come ebbe a sottolineare la
 Corte nelle sentenze nn. 168/1963 e 44/1968, la previsione del  primo
 comma  dell'art. 17 della legge n. 195/1958 - secondo la quale "tutti
 i  provvedimenti  riguardanti  i   magistrati   sono   adottati,   in
 conformita'  delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto
 del  Presidente  della Repubblica controfirmato dal Ministro; ovvero,
 nei casi stabiliti dalla legge,  con  decreto  del  Ministro  per  la
 grazia  e la giustizia" - ha rappresentato il punto di equilibrio tra
 due opposte esigenze: da un lato quella di assicurare  l'indipendenza
 dell'organo,  dall'altra  quella  di  consentire, attraverso la forma
 amministrativa   dei   decreti,   il    controllo    finanziario    e
 giurisdizionale su provvedimenti sostanzialmente amministrativi, onde
 non privare i magistrati della relativa tutela.
    "Se  si  muova  dalla  considerazione  -  affermava la Corte nella
 sentenza n. 44/1968 -, che non sembra contestabile,  secondo  cui  la
 sottoposizione  delle  deliberazioni  del  Consiglio  superiore della
 magistratura ad un controllo di stretta legittimita' da parte  di  un
 organo  appartenente  al  potere giurisdizionale non sia, di per se',
 tale da condurre necessariamente a vanificare o comunque ad attenuare
 l'efficacia  della  funzione  garantista  cui  esse   adempiono,   la
 questione  si  riduce ad accertare la fondatezza dell'ostacolo che il
 diritto  positivo,  secondo   la   difesa   del   Ministero,   oppone
 all'esercizio  del  sindacato  sugli  atti  in  parola da parte della
 giurisdizione  cui  l'art.  113  affida  la  tutela  dei  diritti  ed
 interessi  legittimi.  L'ostacolo  eccepito  e' quello fatto derivare
 dalla  parte  dell'articolo  predetto  che  limita  agli  atti  della
 pubblica   amministrazione  la  tutela  medesima,  e  che,  messo  in
 relazione  con  i  precedenti  artt.  102  e  103,  deve   intendersi
 circoscritto  solo agli interventi della giurisdizione amministrativa
 ..
    ( ..) La difficolta' che all'applicazione nella specie dei  citati
 articoli   della  Costituzione  oppone  il  carattere  rivestito  dal
 Consiglio superiore della magistratura, cioe'  di  organo  che,  pure
 espletando  funzioni solamente di indole amministrativa, non e' parte
 della pubblica  amministrazione  (  ..),  non  puo'  essere  superata
 attraverso  l'asserzione, contenuta in alcune decisioni del Consiglio
 di Stato, del carattere preparatorio da  assegnare  all'attivita'  di
 detto organo rispetto a quella esplicita con l'emanazione dei decreti
 previsti dall'art. 17, i quali quindi, secondo detta tesi, dovrebbero
 considerarsi   costitutivi  degli  effetti  giuridici  riguardanti  i
 magistrati che ne sono destinatari. Infatti  l'opinione  riferita  e'
 contrastata  dalla  chiara  dizione  degli  artt. 105, 106, 107 e 110
 della  Costituzione,  i  quali  attribuiscono   proprio   alla   sola
 competenza   del  Consiglio  superiore  della  magistratura  tutti  i
 provvedimenti di stato comunque riguardanti i magistrati, secondo poi
 e' specificato dall'art. 10 e successivi  della  legge  n.  195/1958,
 emessa   in   attuazione   del  precetto  costituzionale,  che  fanno
 riferimento ai poteri 'deliberanti' dell'organo  medesimo".  Sicche',
 concludeva  la  Corte,  richiamando  la  sua  precedente  sentenza n.
 168/1963, i decreti del Presidente della Repubblica  o  del  Ministro
 assumono   la   funzione  di  conferire  alle  decisioni  dell'organo
 deliberante la forma che, "sulla base dei principi  fondamentali  del
 sistema,   e'   prescritta   per   i   provvedimenti   aventi  indole
 sostanzialmente amministrativa", e cio' al  fine  di  consentirne  la
 sottoposizione   "alle   varie   specie  di  sindacato  destinate  ad
 assicurarne il contenimento nell'ambito dell'ordine legale".
    5. - Da  quanto  sopra  discende  la  considerazione  che,  se  il
 legislatore  del  1958  ha  ritenuto  necessario  rivestire  di forma
 amministrativa  le  deliberazioni  del  C.S.M.  onde  permetterne  la
 sottoposizione    al    controllo    giurisdizionale   ("di   stretta
 legittimita'") del Consiglio di Stato, esso non puo' avere consentito
 che  lo stesso C.S.M. sia sottoposto alla giurisdizione di merito del
 giudice amministrativo, sino  a  comportarne  l'assoggettamento  agli
 ordini ed ai poteri sostitutivi di tale giudice.
    Ora,  se e' vero che il giudizio di ottemperanza e' un giudizio di
 merito,  in  quanto  consente  al  giudice   valutazioni   ampiamente
 discrezionali  sui  modi  e  sui limiti dell'esecuzione delle proprie
 decisioni    e    di    esercitare    anche    poteri     sostitutivi
 dell'amministrazione, esso non potra' esercitarsi che con riferimento
 ad attivita', non solo sostanzialmente (come quelle di competenza del
 C.S.M.), ma anche formalmente amministrative.
    D'altro   canto   il   giudizio  di  ottemperanza  nacque  proprio
 dall'esigenza di evitare di sottoporre la pubblica amministrazione al
 potere  giudiziario,  anche  ove  fosse  in  giuoco  l'esecuzione  di
 sentenze   passate   in   cosa   giudicata,   affidando   al  giudice
 amministrativo, a quella piu' omogeneo, il relativo giudizio.
    Tale esigenza, che ha indotto  il  legislatore  a  sottrarre  alla
 giurisdizione  ordinaria  la  tutela  esecutiva  degli stessi diritti
 soggettivi  attribuiti  alla  sua  cognizione,  deve,  a  piu'  forte
 ragione,  valere  nel  caso  inverso,  in cui si tratta di assicurare
 l'indipendenza  dell'organo   di   autogoverno   della   Magistratura
 ordinaria  dalla  valutazione  discrezionale  e  dagli  ordini  di un
 diverso potere dello Stato. E, come e' vietato al  giudice  ordinario
 emettere ordini di fare nei confronti della pubblica amministrazione,
 cosi'  e'  vietato  a  quello  amministrativo  sostituire  la propria
 valutazione  discrezionale  a  quella  del  Consiglio  (che  pubblica
 amministrazione  non  e'),  impartirgli ordini e sostituirsi ad esso,
 direttamente o per il tramite di un commissario.
    La riflessione dottrinale sull'esecuzione del giudicato ha  invero
 messo  in  luce che il potere del giudice amministrativo di giudicare
 nel  merito  si  ricollega  alla  sua   posizione   di   appartenenza
 all'Amministrazione come istituzione.
    Ma,  ove  a  quest'appartenenza  non si possa far riferimento, per
 l'esistenza di una sfera di attribuzioni costituzionalmente  protetta
 (art. 105) e per l'esistenza tra le delibere del C.S.M. e il giudizio
 amministrativo  del  filtro rappresentato dal decreto presidenziale o
 ministeriale di cui quelle delibere sono vestite, non puo' il giudice
 amministrativo, nell'esercizio  di  poteri  di  merito  che  non  gli
 competono,  superare  quel  filtro,  ne' emanare ordini nei confronti
 dell'organo di autogoverno ne' disporre la sua sostituzione.
    6. - Le considerazioni che precedono inducono  dunque  a  ritenere
 che,  oltre che per ragioni letterali anche per ragioni sistematiche,
 collegate alla posizione costituzionale del  C.S.M.,  il  legislatore
 del  1958 abbia escluso ogni giurisdizione di merito del Consiglio di
 Stato e del T.A.R. sulle deliberazioni del C.S.M.
    La tutela giurisdizionale che  la  legge  affida  su  di  esse  al
 giudice  amministrativo, circoscritta com'e' all'atto presidenziale o
 ministeriale con cui le delibere sono esternate,  non  potra'  dunque
 estendersi al giudizio di ottemperanza.
    Ne'   si   dica   che  in  tal  modo  viene  eliminata  la  tutela
 giurisdizionale che lo stesso art. 17 della legge n. 195 assicura  ai
 magistrati e di cui l'esecuzione sarebbe lo sbocco necessario.
    In primo luogo l'obiezione proverebbe troppo, in quanto essa tende
 a  ridurre alla sola fase esecutiva la tutela giurisdizionale, mentre
 esistono molti altri settori in cui alla fase di cognizione non segue
 ne' puo' seguire quella di esecuzione (basti pensare alle sentenze di
 mero accertamento o alle  decisioni  della  Corte  sui  conflitti  di
 attribuzione).
    In  secondo  luogo  non  appare  pensabile  ne' giustificabile che
 proprio il C.S.M. voglia sottrarsi all'esecuzione delle decisioni del
 giudice  amministrativo,  frustrando  i  diritti  e   gli   interessi
 legittimi dei magistrati di cui esso e' rappresentativo.
    Infine  va  detto  che,  essendo  la  tutela  giurisdizionale  nei
 confronti  degli  atti  del  C.S.M.  configurata  come  giudizio   di
 annullamento,   la   realizzazione   delle   pretese  dei  magistrati
 interessati gia' avviene  con  l'eliminazione,  eventualmente  previa
 sospensione,   dell'atto   lesivo   e   la   restituzione  all'organo
 deliberante del potere discrezionale di  eseguire  la  pronuncia  del
 giudice amministrativo.
    Ma,  proprio  in  un caso come questo, in cui, come si e' detto in
 narrativa, il Consiglio di Stato ha  inutilmente  annullato  un  atto
 gia'  venuto  meno,  ed  in cui e' stato coinvolto nella decisione di
 ottemperanza un soggetto estraneo al giudizio di cognizione (il dott.
 Gambarota, che era stato nominato sul posto  cui  aspirava  il  dott.
 Cozzi  a  seguito di una diversa e successiva procedura concorsuale),
 la  realizzazione  della  pretesa  del  ricorrente   abbisognava   di
 valutazioni  non  solo di legittimita' ma anche di merito che solo il
 C.S.M. poteva effettuare e che invece con la decisione in epigrafe il
 Consiglio di Stato gli ha sottratto.
    II. - Violazione dell'art. 104 della Costituzione.
    7. - Le considerazioni sviluppate nel precedente motivo inducono a
 censurare anche la statuizione con la quale il giudice amministrativo
 ha nominato il vice presidente del C.S.M. commissario ad acta.
    Le garanzie dell'indipendenza del  C.S.M.,  come  impediscono  che
 esso  possa essere soggetto al giudizio discrezionale di altro potere
 dello Stato, cosi', a piu' forte ragione, escludono che il  suo  vice
 presidente sia trasformato in organo del giudice amministrativo.
    Se, infatti, si accede alla giurisprudenza ormai dominante secondo
 cui il commissario ad acta e' organo del giudice che lo nomina (Cons.
 giust. amm. reg. sic., 25 febbraio 1981 n. 1; Cons. Stato, Sez. V, 20
 dicembre  1982  n.  860;  Ad. plen., 14 luglio 1978 n. 23, etc.), non
 solo il giudice amministrativo si e'  ingerito  nell'esercizio  d'una
 competenza   costituzionalmente  garantita  al  C.S.M.,  ma  esso  ha
 altresi' preteso di farne uno strumento della propria  azione,  cosi'
 ledendo il potere organizzativo dello stesso C.S.M.
   Ancor  piu'  lesiva della posizione del C.S.M. e' poi la scelta del
 vice presidente del C.S.M. quale commissario ad acta. In tal modo  il
 giudice  ha addirittura alterato il funzionamento dell'organizzazione
 interna del  Consiglio,  cancellandone  quello  spazio  di  autonomia
 organizzativa  che  e' essenziale per qualunque organo superiorem non
 recognoscens. Non e' dato comprendere, del resto, per  quale  ragione
 il  prescelto  non sia stato il presidente, ma il vice presidente del
 C.S.M., atteso che solo al primo la legge  attribuisce  competenze  e
 poteri  puntuali,  mentre il secondo e' titolare quasi esclusivamente
 di competenze delegate o connesse all'attivita' di  sostituzione  del
 presidente.  Se  ad  essere  nominato  commissario  non  e'  stato il
 presidente,  e'  stato  dunque  - evidentemente - perche' allo stesso
 giudice amministrativo e' parso assurdo conferire un  simile  mandato
 ... al Presidente della Repubblica| Ma se il vice presidente puo' (in
 teoria)  provvedere  all'esecuzione  della  pronuncia del giudice, e'
 solo ed esclusivamente perche' agisce in sostituzione del primo.
    Fra la nomina a commissario del presidente o del  vice  presidente
 non  v'e'  dunque  alcuna  differenza, se non per la diversita' della
 persona fisica titolare della carica. Dal punto di  vista  oggettivo,
 pero',  l'ufficio  e'  uno,  e non ha alcun rilievo che le competenze
 dell'ufficio siano esercitate dal presidente o dal  vice  presidente.
 In   buona   sostanza:   la  conseguenza  aberrante  che  il  giudice
 amministrativo ha preteso di evitare nominando  commissario  il  vice
 presidente   e  non  il  presidente  del  Consiglio  Superiore  della
 magistratura si e' comunque, inevitabilmente, verificata.