IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nell'udienza del 6 aprile 1995
 e  preliminarmente all'apertura del dibattimento penale nei confronti
 di Gerussi Alido, Rizzotti Ettore, Colonnello Gianfranco  e  La  Rosa
 Francesco,  imputati  dei  reati  di  cui  all'art. 2l, commi primo e
 terzo, della legge n. 319/1976 per  aver  effettuato  scarichi  delle
 pubbliche  fognature  senza  autorizzazione  e  con  superamento  dei
 parametri di cui alle tabelle A e C della riferita legge nonche'  dei
 reati  di  cui  agli artt. 1-sexies della legge n. 431/1985 e 734 del
 c.p., ha pronunciato d'ufficio la seguente  ordinanza  di  rimessione
 degli atti alla Corte costituzionale.
    Vi sono molteplici profili che rendono a parere del giudicante non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 del d.-l. n. 79 del 17 marzo  1995  ed  in  particolare  delle  norme
 contenute  negli  artt.  3,  comma  primo,  6, comma secondo, e 7 con
 riferimento agli articoli della Costituzione che  saranno  tra  breve
 evidenziati.
    1.  -  L'art.  6,  secondo  comma,  del  detto decreto sembra aver
 depenalizzato l'ipotesi di reato scarichi civili  e  delle  pubbliche
 fognature senza autorizzazione (ricadente fino ad ora nell'ambito del
 primo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976) avendo previsto una
 "sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni".
    Peraltro  l'art.  7  del  menzionato  atto  normativo  prevede una
 generalizzata sanatoria per tutti gli scarichi in esercizio alla data
 di entrata in vigore della-legge di  conversione  del  decreto-legge,
 con la sola esclusione - oltre che dei titolari di insediamenti i cui
 scarichi  superino  i  limiti  di  accettabilita'  per i parametri di
 natura tossica, persistente e bioaccumulabile (v. comma  5)  -  degli
 scarichi  provenienti  da  insediamenti  civili che non recapitano in
 pubbliche fognature e gia' in essere alla data di entrata  in  vigore
 della  legge  n. 319/1976 (v. comma sesto), per i quali il decreto si
 preoccupa di ricordare l'esclusione  dell'applicazione  dell'art.  21
 della legge citata: la sanatoria quindi non puo' non riguardare anche
 gli scarichi delle pubbliche fognature.
    Si  ha quindi la singolare situazione normativa per cui da un lato
 e' prospettata una sanatoria che da' la possibilita' di estinguere il
 reato commesso antecedentemente e pertanto lo presume  configurabile,
 e da altro lato si ha una depenalizzazione che esclude la sussistenza
 del  reato  anche in ordine ai fatti pregressi stante il principio di
 cui all'art. 2, comma secondo, del c.p (ed a meno che non  si  voglia
 ritenere  il  "legislatore" abbia voluto implicitamente escludere nel
 caso di specie la retroattivita' della norma favorevole.
    Sembra quindi esservi un difetto di coordinamento  e  di  coerenza
 tra  le  norme  di  cui  all'art  6,  comma  secondo, e quelle di cui
 all'art. 7  del  decreto  in  esame;  difetto  che  si  estende  alla
 disposizione  di  cui  all'art. 3, comma primo, del medesimo decreto,
 ove, nel modificare la fattispecie di cui all'art. 21,  terzo  comma,
 della  legge  n.  3l9/1976,  si  recita: "fatte salve le disposizioni
 penali di cui al primo ed al secondo comma",  con  cio'  manifestando
 chiaramente  l'intenzione  di  mantenere  il  reato  di scarico senza
 autorizzazione, fattispecie impostate con  riferimento  a  tutti  gli
 scarichi  stante  l'evidente nesso con la norma di cui all'art. 9 u.c
 della legge n.  319/1976;  difetto  di  coordinamento  che,  oltre  a
 determinare  una  obiettiva  incertezza  ed ambiguita' in ordine alla
 portata della depenalizzazione,  si  risolve  in  una  contraddizione
 interna  delle  norme  ed  in  una  illogicita'  e  incoerenza che fa
 ritenere non manifestamente infondata la questione di  illegittimita'
 costituzionale  degli artt. 3, comma primo, 6, comma secondo, e 7 del
 d.-l.  n.  79/1995  con   riferimento   appunto   al   principio   di
 ragionevolezza delle leggi desumibile dall'art. 3 della Costituzione.
    2.  - L'art. 6, comma secondo, del d.-l. n. 79/1995, se si ritiene
 che comporti la depenalizzazione delle ipotesi di scarichi  civili  e
 delle   pubbliche   fognature  effettuati  senza  autorizzazione,  e'
 sospetto di illegittimita' costituzionale anche per la disparita'  di
 trattamento  che  esso  produce  con riferimento all'ipotesi in cui i
 detti scarichi siano stati effettuati prima  della  concessione  dell
 'autorizzazione  ma  dopo  la  sua  richiesta; in tale ultima ipotesi
 infatti (piu' lieve rispetto alla prima in quanto la  p.a.  e'  stata
 messa  in  grado di effettuare controlli ed accertamenti) permarrebbe
 il reato e la sanzione penale di  cui  all'art.  24  della  legge  n.
 319/1976, che si riferisce indistintamente a tutti gli scarichi.
    Sembra  allora che la detta depenalizzazione introduca un elemento
 di irrazionalita' nel sistema normativo e sanzionatorio che merita un
 esame sotto  i  profili  della  ragionevolezza  e  della  eguaglianza
 espressi ancora una volta dall'art. 3 della Costituzione.
    3.  -  Dell'art.  3, comma primo, del citato decreto dovra' essere
 valutata la legittimita' costituzionale anche  sotto  altro  profilo,
 sempre  riconducibile  all'art. 3 della Costituzione, con riguardo al
 fatto che tale norma risulta aver depenalizzato, fatta eccezione  per
 gli  scarichi  provenienti da insediamenti produttivi (per i quali e'
 stata solo modificata la sanzione penale), il superamento dei  limiti
 di  accettabilita'  stabiliti  dalle  tabelle  allegate alla legge n.
 319/1976, e cio' sia per gli scarichi civili  che  per  quelli  delle
 pubbliche fognature.
    Se   si  puo'  condividere  una  valutazione  ex  ante  di  minore
 pericolosita' degli scarichi civili  (per  il  fatto  che  si  tratta
 almeno  in  linea teorica di scarichi senza particolare potenzialita'
 inquinante e di limitata  portata,  e  spesso  transeunti  in  attesa
 dell'allaccio  alle  pubbliche  fognature)  rispetto  a  quelli degli
 insediamenti produttivi non altrettanto  si  puo'  dire  quanto  agli
 scarichi  delle  pubbliche  fognature, a cui ben possono affluire non
 uno bensi' molteplici carichi da  insediamenti  produttivi,  sicche',
 ove  in  particolare  nn  si  sia  provveduto agli adempimenti di cui
 all'art.  13  della  legge  n.  3l9/1976,  si  puo'  prospettare  una
 potenzialita'   inquinante  e  quindi  una  gravita'  del  fatto  non
 inferiore  o  comunque  paragonabile  a  quella  degli   insediamenti
 produttivi.
    In  buona  sostanza la graduazione della reazione dell'ordinamento
 e' strutturata, in forza del decreto in esame, non sulla gravita' del
 fatto bensi' sulla qualifica  del  soggetto  titolare  dello  scarico
 terminale  sicche'  si verifica il paradosso che se il titolare di un
 insediamento  produttivo  effettua  scarichi   eccedenti   i   limiti
 tabellari  non  in  pubbliche fognature dovra' rispondere penalmente,
 mentre se il suo scarico affluisce in pubbliche fognature e da queste
 si immette nell'ambiente senza essere riportato  sotto  i  limiti  di
 tollerabilita'  il titolare od il gestore dell'impianto di fognatura,
 pur avendo contribuito in maniera analoga al  degrado  dell'ambiente,
 si  troverebbe  a  dover  rispondere  soltanto  a  titolo di illecito
 amministrativo  (oltretutto  con  sanzione  palesemente  inferiore  a
 quella   prevista   per  la  violazione  formale  della  mancanza  di
 autorizzazione).
    La rinuncia dello stato a perseguire penalmente lo  scarico  delle
 pubbliche  fognature con violazione di limiti tabellari sembra quindi
 debba essere delibata quanto alla  sua  ragionevolezza  ed  alla  sua
 conformita'  al principio di uguaglianza, e pertanto anche sotto tale
 profilo la violazione  dell'art  3  della  Costituzione  non  risulta
 essere manifestamente infondata.
    4.  -  Risulta  inoltre  non manifestamente infondata la questione
 della violazione dell'art. 77 della Costituzione, nella parte in  cui
 prevede  che,  in  casi  straordinari  di necessita' e di urgenza, il
 Governo adotta sotto la sua responsabilita', provvedimenti provvisori
 aventi forza di legge.
    La   necessita'   e   l'urgenza   costituiscono   i    presupposti
 giustificativi   dei   decreti-legge,   ed   e'   noto   che  ad  una
 interpretazione  soggettiva  se  ne  contrappone  una  di   carattere
 oggettivo,  per  cui  non  puo'  costituire  ragione  dell'urgenza la
 "imputazione soggettiva  del  ritardo",  ne'  puo'  prescindersi  dal
 rapportare  l'urgenza  alle  reali  situazioni  alle quali si intende
 provvedere, sicche' si dovrebbe escludere  che  la  "incapacita'  del
 Governo di guidare la maggioranza che lo appoggia ovvero di svolgere,
 attraverso  la  normale  dialettica  del parlamento, il suo programma
 politico possa di per se' assurgere ad urgenza di  provvedere"  e  si
 deve   altresi'   evitare   che   la   necessita'  vada  confusa  con
 l'opportunita' politica dell'atto".
    La stessa giurisprudenza del giudice ad quem sembra  andare  nella
 direzione  della  interpretazione  oggettiva: la sentenza n. 302/1988
 gia' sembrava avvertire il Governo che  la  Corte  costituzionale  e'
 competente  a  sindacare i decreti-legge anche sotto il profilo della
 compatibilita' con l'art. 77 della Costituzione,  e  la  sentenza  n.
 29/1995,   depositata   il  27  gennaio  1995,  ha  espressis  verbis
 evidenziato  che  la  preesistenza  di  una   situazione   di   fatto
 comportante   la   necessita'   e  l'urgenza  di  provvedere  tramite
 l'utilizzazione di uno strumento eccezionale quale il  decreto-legge,
 costituisce  un  requisito  di validita' costituzionale dell'adozione
 del predetto atto"; giungendo ad affermare che "l'eventuale  evidente
 mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimita'
 costituzionale  del  decreto-legge,  in  ipotesi adottato al di fuori
 dell'ambito   delle   possibilita'   applicative   costituzionalmente
 previste,  quanto  un  vizio  in  procedendo  della  stessa  legge di
 conversione,  avendo  quest'ultima,  nel  caso  ipotizzato,  valutato
 erroneamente  l'esistenza  di  presupposti  di  validita'  in realta'
 insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che  non  poteva
 essere legittimo oggetto di conversione.
    In tal modo si e' integralmente mutata la precedente prospettiva e
 si   e'   operato   un   recupero   dell'effettivita'  del  sindacato
 giurisdizionale sulla decretazione d'urgenza.
    Nel caso di specie vi e'  il  fumus  boni  iuris  in  ordine  alla
 insussistenza dei requisiti di necessita' e di urgenza.
    Cio'  sembra evincersi dal fatto che il governo e' improvvisamente
 intervenuto in una materia organicamente disciplinata dalla legge  n.
 319/1976  ed  oggetto  di  consolidati orientamenti giurisprudenziali
 quanto meno relativamente ad alcune delle  fattispecie  depenalizzate
 senza  che  sia accaduto alcun fatto nuovo; in ogni caso gli elementi
 di fatto eventualmente alla  base  della  scelta  della  decretazione
 d'urgenza  in questa materia non sono stati esplicitati nel preambolo
 ove e' stata riportata una mera formula di stile; si  rileva  inoltre
 che    gia'   il   tenore   dell'intervento   operato   dal   Governo
 (depenalizzazione) denuncia la insussistenza quantomeno dell'urgenza,
 risultando evidente che i tempi dei procedimenti penali  relativi  ai
 reati  di  cui alla legge n. 319/1976 sarebbero stati compatibili con
 un intervento del Parlamento; si rileva  ancora  che  nel  corpo  del
 decreto inserita una sanatoria (art. 7) che, pur valendo anche per il
 caso  di specie, non e' di immediata applicazione potendo le relative
 domande essere presentate entro novanta giorni dalla data di  entrata
 in vigore della legge di conversione, con palese violazione dell'art.
 15,  terzo  comma,  della  legge  n.  400/1988 secondo cui "i decreti
 devono contenere norme di immediata  applicazione",  il  che'  sembra
 essere   un   ulteriore  sintomo  sia  della  mancanza  dei  riferiti
 presupposti costituzionali che del vizio  di  irragionevolezza  e  di
 eccesso di potere.
    5.  -  Si deve inoltre sottolineare che la Corte costituzionale ha
 avuto modo di  affermare  che  "la  reiterazione  dei  decreti  legge
 suscita  gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali ed ai
 principi costituzionali, tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti
 in base al decreto sono praticamente irreversibili (come  ad  esempio
 quando  incidono  sulla liberta' personale dei cittadini) o allorche'
 gli effetti sono fatti salvi,  nonostante  l'avvenuta  decadenza,  ad
 opera dei decreti successivamente riprodotti" (sentenza n. 302/1988),
 cosi'  ponendo  l'accento  su  di  un  uso  distorto  dei decreti che
 potrebbe vanificare competenze costituzionalmente garantite.
    Orbene a partire dal  novembre  1993  vi  e'  stata  una  continua
 reiterazione  di  decreti legge non convertiti in materia di scarichi
 civili e delle pubbliche fognature, con varie stesure fino  a  quella
 attuale che si sottopone all'esame della Corte.
    Se  gia'  puo'  essere  politicamente discutibile un intervento di
 depenalizzazione effettuato dal Governo con  decreto-legge,  potrebbe
 invece   essere   passibile   di   declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale il comportamento del  governo  (e  l'atto  in  cui  si
 estrinseca,  e  quindi  il  decreto  in  esame,  in  particolare  con
 riferimento alle norme sopra evidenziate) che reiteri indefinitamente
 un provvedimento di depenalizzazione.
    E cio' in quanto nel periodo di vigenza della normativa  decretale
 di  depenalizzazione vi e' il serio pericolo che, dovendosi escludere
 (per la immediata efficacia del decreto e per il correre del  termine
 di  prescrizione) un generalizzato rinvio dei procedimenti penali, si
 formino giudicati assolutori con prospettabile violazione dell'art. 3
 della Costituzione sotto il profilo dell'eguaglianza  (in  quanto  in
 caso  di  mancata  conversione  e  reiterazione si verrebbe invece ad
 applicare la pena nei confronti di  coloro  che  hanno  commesso  gli
 stessi  fatti  ma non hanno ancora, magari per vicende casuali, visto
 passare in giudicato la decisione); dell'art. 101 in  quanto  in  tal
 modo il giudice verrebbe ad essere soggetto nella materia in esame al
 potere esecutivo invece che a quello legislativo (in quanto per lungo
 tempo,  e non solo per i sessanta giorni previsti dalla Costituzione,
 il   magistrato,   principale    destinatario    delle    norme    di
 depenalizzazione,  dovrebbe  applicare  una normativa che non promana
 dal dibattito parlamentare e  dalla  funzione  esercitata  dalle  due
 Camere);  dell'art.  112  in  quanto  di fatto il Governo in tal modo
 effettua  una  sensibile  compressione  dell'obbligo  del   p.m.   di
 esercitare   l'azione   penale;   dello   stesso  art.  77,  che,  in
 correlazione con l'art. 70, non sembra  legittimare  la  reiterazione
 dei decreti.
    6. - Riepilogando, si pongono al vaglio della Corte costituzionale
 le norme del decreto legge 17 marzo 1995, n. 79 ed in particolare gli
 artt.  3,  comma  primo,  6,  comma  secondo, e 7, con riferimento al
 prospettato  contrasto  con  gli  artt.  3,  7,  101  e   112   della
 Costituzione.
    Si  insista perche' l'indagine venga estesa all'eventuale legge di
 conversione  (come  adombrato  nella  sentenza  n.  29/1995)  nonche'
 all'eventuale   decreto-legge   che  reiterasse  senza  modifiche  la
 riferita  normativa,  trattandosi  di  situazione  paragonabile  alla
 prima.
   7.  - La questione sollevata risulta essere rilevante ai fini della
 decisione della presente  causa  atteso  che  investe  le  norme  che
 direttamente  incidono  sul  trattamento sanzionatorio applicabile al
 caso concreto, in particolare sulle imputazioni di cui  ai  capi  a),
 b), e) ed f).
    Detta  questione  non  incide sulle restanti imputazioni in ordine
 alle quali si procede e pertanto andra' disposta la separazione delle
 rispettive posizioni processuali.