IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in primo grado iscritta al n. 394/84 r.g. cont., vertente tra Tulli Antonia, Strappini Carla, Strappini Luigi, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Maurizio Salari, elettivamente domiciliati presso lo stesso (studio avv. P. Feliziani, Spoleto), attori e Capoccia Lidia (in proprio e quale esercente la potesta' sulla figlia minore Bacchettini Monia) e Antonini Fernando, entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Paolo Natalini, elettivamente domiciliati presso lo stesso (studio avv. S. Finocchi, Spoleto), convenuti; avente ad oggetto: inosservanza distanza legale tra costruzioni e demolizione. Posta in decisione all'udienza collegiale del 1 febbraio 1995. Letti gli atti di causa e udito il relatore, rileva: 1. - E' accertato in fatto dalla consulenza tecnica d'ufficio e non e' piu' discusso in causa che l'edificio di parte convenuta presenta la parete - altezza variante da mt 10,20 (a monte) a mt 13,70 (a valle) - fronteggiante il fabbricato degli attori a distanza media di mt 6,41 da questo. Essendo stato l'altro edificio (secondo nel tempo) costruito all'epoca in cui il comune di Trevi era privo di qualsiasi strumento urbanistico (p.r.g. approvato soltanto il 6 maggio 1976 e non risultante meno rigoroso in parte qua), appare evidente, in tesi, la violazione da parte dei convenuti della norma di cui all'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (da ora, per comodita', art. 17, lett. C), per quanto riguarda, appunto, il rapporto altezza-distanza tra fabbricati. Tale norma e', come si sa, considerata dalla costante giurisprudenza di legittimita', integrativa del codice civile, con la conseguenza che la violazione comporta (anche) l'obbligo di riduzione in pristino (cfr. Cass. 14 febbraio 1979, n. 964; 19 maggio 1987, n. 4290; 15 marzo 1980, n. 1739). 2. - I convenuti obiettano risultare dalla non contestata c.t.u. che la costruzione di controparte (Tulli/Strappini) venne assentita con licenza del 26 agosto 1966 ma realizzata in totale difformita' sia perche', in luogo di capannone industriale (con annessa abitazione di custode), e' stato costruito un edificio di fatto utilizzato per attivita' commerciale con uffici al primo piano; sia - e soprattutto - perche', per come reso evidente anche dalla planimetria, la collocazione era prevista, nel progetto autorizzato, in un sito notevolmente piu' distante dal confine (oggi a circa mt 1,50, misura all'epoca non illegale) con la proprieta' Capoccia/Antonini (il fabbricato e' privo di licenza di abitabilita' e di agibilita', ne' e' stato mai oggetto di sanatoria). Essendo, di conseguenza, certo che se la previsione di progetto fosse stata rispettata, il secondo fabbricato si sarebbe trovato in condizioni di assoluta legalita', parte convenuta osserva non potersi far luogo alla chiesta demolizione, poiche' non puo' essere tutelabile, in uno schema da configurare alla stregua dell'art. 2043 del c.c., una posizione giuridica sostanzialmente fondata su un reato. 2.1. - Reputa il tribunale che tal difesa non sia in se' significativa, vuoi perche' non pertinente appare il richiamo all'art. 2043 del c.c., vuoi perche' il diritto vivente e' nel senso che "la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privato richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati, dato che il conflitto tra proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera e le norme edilizie che la disciplinano", norme tra le quali non sono comprese quelle riguardanti il provvedimento amministrativo (da Cass. 6 maggio 1987, n. 4208): di qui la irrilevanza persino del difetto di licenza o concessione (Cass., 11 marzo 1981, n. 1385 e 7 aprile 1986, n. 2402). 3. - A parere del Collegio, peraltro, la complessiva normativa risultante dagli artt. 872 cpv. del c.c. e 17, lett. C) legge n. 765/1967 - della quale si deve fare necessaria applicazione per decidere la controversia - appare sospetta di incostituzionalita' per i motivi che seguono. 4. - La costruzione in totale difformita' dalla licenza si considera gia' da tempo sanzionabile con la pena prevista per chi costruisce senza licenza: a partire, anzi, dalla legge 28 gennaio 1997, n. 10 (art. 17) vi e' stata la formale assunzione delle due condotte in unica norma sanzionatoria (nel caso, non si e' trasmesso rapporto, essendo estinto il reato per prescrizione ancor prima dell'inizio della causa). E' noto pure il crescente rigore del legislatore nei confronti dell'abusivismo edilizio, rigore via via tradottosi soprattutto in sanzioni accessorie a quelle penali e in norme a vario titolo dissuasive. Senza pretesa di completezza, si rammentano in ordine cronologico: demolizione delle opere eseguite senza licenza o in contrasto con questa ovvero sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere abusive (art. 13 legge 765/67); decadenza dalle agevolazioni fiscali, contributi e altre provvidenze dello Stato (art. 15); limitazione dei poteri di deroga ai soli edifici e impianti pubblici (16); demolizione delle opere a cura e spese del proprietario entro il termine fissato dal sindaco e, in difetto, acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del comune (art. 15, comma terzo, della legge n. 10/1977); trattamenti analoghi per le opere realizzate in parziale difformita' dalla concessione (art. 15, comma 11, della legge n. 10); sottoposizione al regime di "totale difformita'" anche del caso di utilizzazione diversa da quella oggetto della concessine, in particolare per la previsione di demolizione con ingiunzione del sindaco ovvero con sentenza del giudice penale in caso di condanna per il reato (art. 7 della legge n. 47/1985); confisca di terreni abusivamente lottizzati (art. 19 della legge n. 47/1985); sensibile inasprimento delle pene (art. 20 della legge n. 47/1985). Tra le sanzioni indirettamente dissuasive e comunque significative nel senso della immeritevolezza di tutela da parte dell'ordinamento e' sufficiente ricordare: la nullita' degli atti giuridici aventi ad oggetto unita' edilizie prive di concessione (salva la conoscenza della irregolarita' da parte dell'acquirente); divieto alle aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare forniture (art. 15 della legge 10/1977); nullita' degli atti tra vivi privi della dichiarazione dell'alienante relativa agli estremi della concessione a edificare o di quella in sanatoria (art. 17 della legge cit.); sanzione disciplinare per i notai che ricevono e autenticano atti nulli come sopra (art. 21 della legge cit.). Non sembra casuale che persino il recentissimo d.-l. 26 gennaio 1995, n. 24 - contenente, tra l'altro, misure urgenti per il rilancio dell'edilizia privata - abbia ribadito il principio di nullita' degli atti tra vivi, sia pure per raccordarlo al rilascio delle concessioni in sanatoria a sensi dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724. E da ultimo sembra estremamente significativo che questa stessa legge, al secondo comma dell'art. 39, escluda dalla sanatoria (definizione agevolata delle violazioni edilizie) le opere "che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprieta' finitime". 5. - In una cornice come questa (a prescindere dalla sistematica disapplicazione che se ne e' fatta in questi anni) le norme da applicare - artt. 872 del c.c. e 17 lett. C) della legge n. 765/1967 - sembrano contrastare: con l'art. 3 della Costituzione perche' assicurano la stessa tutela - quanto all'osservanza delle distanze - al preveniente che costruisce nel rispetto delle norme urbanistico-edilizie e a chi edifica senza licenza ovvero in totale difformita'; situazione tanto piu' anomala e irrazionale ove si consideri che, non potendosi applicare alla distanza legale in parola le regole sulla prevenzione ex artt. 874 e 875 del codice civile (Cass. 20 agosto 1990, n. 8440 e 24 febbraio 1988, n. 1973, il proprietario preceduto dall'iniziativa del confinante (che, come nel caso, ha edificato a brevissima distanza dal limite di proprieta') vede notevolmente limitati i propri spazi utili, senza neppure disporre delle contromisure previste dai principi codicistici generali; con l'art. 42, perche' non garantiscono il "prevenuto" nel godimento della proprieta'; con l'art. 24, perche' consentono di agire in giudizio anche a tutela di posizioni soggettive afferenti a cose che, in sostanza, costituiscono prodotto/profitto di reato (il problema, evidentemente, non si sarebbe posto in questi termini in presenza di un'azione possessoria); con l'art. 97, non potendosi certo considerare in linea coi principi di buon andamento e di coerenza della pubblica amministrazione (in senso ampio) un sistema normativo che, per un verso, impone al giudice penale di disporre la demolizione di opere costruite senza concessione ovvero in totale difformita' da questa, per l'altro prevede che nel giudizio civile si dia tutela all'autore fino al punto d'imporre al vicino un rilevante sacrificio economico, com'e' quello che, con la quasi totale demolizione di un fabbricato di tre piani, qui si profila per i convenuti (per non ricordare la sanzione eventualmente riservata al notaio rogante a fronte di una sentenza che sancisce tutela di quella stessa situazione di oggettiva illegalita'). 6. - Va da se' che il sospetto di incostituzionalita' qui espresso non tocca i casi di violazioni minori della normativa vigente e comunque non direttamente incidenti sul computo di distanze legali (si rammenti che, nella specie, se l'edificio preesistente fosse stato costruito nel sito assentito, problema di distanze non si sarebbe posto). Quanto alla possibile obiezione che una sentenza costituzionale del tipo auspicato potrebbe lasciare ogni preveniente (che abbia violato la norma penale) esposto senza tutela al rischio (perenne) che altri edifici a distanza illegale, le risposte possono essere almeno due: il giudice remittente, specie quando sospetta irrazionalita' di una norma, non deve darsi carico di altri "rischi" quando non risulti che la norma stessa sia stata dettata proprio (o anche) per prevenire questi (e non sembra che sia il caso all'esame); il preveniente in posizione di illegalita' puo' ricevere tutela mediante il risarcimento del danno, cosi' derivando al vicino conseguenze di carattere patrimoniale certamente meno gravi, nella gran parte dei casi, rispetto a quelle proprie della demolizione di un edificio.