ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
 Toscana riapprovata il 20  settembre  1994  dal  Consiglio  regionale
 della   Toscana   recante   "Utilizzazione   ai   fini  faunistici  e
 faunistico-venatori del  patrimonio  agricolo  forestale  regionale",
 promosso  con  ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri
 notificato il 10  ottobre  1994,  depositato  in  cancelleria  il  18
 ottobre 1994 ed iscritto al n. 71 del registro ricorsi 1994;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
    Udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 1995 il Giudice relatore
 Enzo Cheli;
    Udito  l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il ricorrente
 e l'avvocato Claudio Chiola per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso  del  7 ottobre 1994, notificato il 10 ottobre
 1994, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
 difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  impugnato,  in
 riferimento agli artt. 97 e 117 della Costituzione,  e  in  relazione
 alla  legge  11  febbraio  1992,  n. 157, la delibera legislativa del
 Consiglio regionale della Toscana del 25 luglio 1994, riapprovata  il
 20  settembre  1994,  recante  "Utilizzazione  ai  fini  faunistici e
 faunistico-venatori del patrimonio agricolo forestale regionale".
    Nel  ricorso  si  espone  che  la  legge  regionale  impugnata  si
 ricollega  al disposto dell'art. 21, comma 1, lettera c), della legge
 n. 157 del 1992, che prevede il divieto di esercizio venatorio  nelle
 foreste   demaniali   "ad   eccezione   di  quelle  che,  secondo  le
 disposizioni regionali, sentito il parere dell'Istituto nazionale per
 la  fauna  selvatica,  non  presentino  condizioni  favorevoli   alla
 riproduzione  ed  alla  sosta  della  fauna selvatica". In attuazione
 della norma statale, la delibera regionale in questione ha  disposto,
 all'art.  1,  che "il patrimonio agricolo e forestale regionale .. e'
 utilizzato ai fini  faunistici,  acquisito  il  parere  dell'Istituto
 nazionale   per   la   fauna   selvatica,   secondo   le  indicazioni
 dell'allegato A", mentre all'art. 2 ha disciplinato la  procedura  di
 modifica dell'allegato medesimo.
    Ad  avviso  dell'Avvocatura, l'individuazione di aree forestali da
 sottrarre al divieto di caccia presenta i  connotati  sostanziali  di
 una attivita' amministrativa strettamente improntata all'esercizio di
 una discrezionalita' tecnica, come e' confermato dalla previsione del
 parere  tecnico  di  un istituto pubblico specializzato in materia di
 fauna selvatica.  Pertanto,  nel  quadro  della  disciplina  prevista
 dall'art.  21,  comma  1, lettera c), della legge n. 157 del 1992, la
 Regione puo' esercitare la sua competenza legislativa per regolare le
 modalita' procedurali e sostanziali secondo le  quali  provvedere  in
 sede  amministrativa  alla  individuazione delle aree da ammettere in
 via derogatoria all'esercizio venatorio, mentre nel caso di specie la
 legge regionale ha  attuato  direttamente  il  disposto  della  legge
 statale,  individuando  le aree suddette e configurandosi quindi come
 una legge-provvedimento.
    Nel  ricorso  si  osserva  poi  che  l'attitudine  a  favorire  la
 riproduzione  e  la  sosta  della  fauna  va accertata in concreto in
 relazione  alle  singole  aree  forestali  -   come   e'   confermato
 dall'allegato  A della delibera impugnata che considera separatamente
 ogni area del patrimonio regionale - e che, di  conseguenza,  l'onere
 procedimentale   (parere   dell'Istituto   nazionale   per  la  fauna
 selvatica)  imposto  dalla  legge  statale  e'  da   riferirsi   alla
 valutazione  delle  singole aree. In ogni caso, secondo l'Avvocatura,
 sarebbe necessario il parere dell'Istituto in ordine  alla  validita'
 dei  criteri,  delle  tecniche  e  delle  metodologie  utilizzati per
 effettuare la valutazione area per area.
    Ad avviso del ricorrente tali requisiti non  si  rinvengono  nella
 legge  regionale  impugnata,  dal  momento  che  il  parere  espresso
 dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica con nota del 18 luglio
 1994 non solo omette di pronunciarsi sulla valutazione delle  singole
 aree  espresse  nelle  schede che compongono l'allegato A della legge
 regionale, ma e' anche carente nella valutazione  tecnico-scientifica
 dei  criteri  utilizzati per accertare la rispondenza delle aree alle
 esigenze riproduttive e di sosta della fauna.
    2.  -  Nel giudizio davanti alla Corte si e' costituita la Regione
 Toscana, per chiedere il rigetto del ricorso.
    Ad avviso della Regione il parere previsto dall'art. 21, comma  1,
 lettera  c),  della  legge n. 157 del 1992 deve essere considerato un
 parere esterno,  obbligatorio  ma  non  vincolante,  con  conseguente
 mantenimento della discrezionalita' della scelta in capo alla Regione
 medesima,  mentre  secondo  la tesi governativa l'immedesimazione del
 parere nel provvedimento regionale postulerebbe, illegittimamente, un
 potere di co-decisione a favore dell'organo statale.
    Dopo aver richiamato la giurisprudenza amministrativa  secondo  la
 quale   gli   eventuali   vizi  di  un  atto  endoprocedimentale  non
 determinano  necessariamente  l'invalidita'  dell'atto   adottato   a
 conclusione  del  procedimento, la Regione afferma che la censura del
 Governo  e'  infondata  se  valutata  alla  luce  dell'impiego  dello
 strumento  legislativo  regionale,  dal  momento  che  per la Regione
 assumono  valore  vincolante  solo  le  disposizioni   di   principio
 contenute  nella  legge-cornice,  mentre  la  previsione  del  parere
 obbligatorio in questione non costituirebbe principio-limite  per  il
 legislatore  regionale. Diversamente - sempre ad avviso della Regione
 -  la  norma  statale  sarebbe   doppiamente   viziata,   in   quanto
 costituirebbe una modifica del procedimento di formazione della legge
 regionale  e  una illegittima invasione da parte di un organo statale
 della competenza  regionale.  La  Regione  afferma,  infine,  che  il
 sindacato  di  legittimita' della legge regionale non puo' riguardare
 l'idoneita' del parere espresso dall'Istituto nazionale per la  fauna
 selvatica,   ma   soltanto  l'idoneita'  della  scelta  compiuta  dal
 legislatore regionale in relazione alle finalita' della  legge-quadro
 statale,  con  la  conseguenza  che non varrebbe richiamare la natura
 provvedimentale della legge  impugnata  per  sostenere  modifiche  al
 paradigma del giudizio di legittimita' costituzionale.
    3.  -  Con memorie depositate in prossimita' dell'udienza entrambe
 le parti hanno ribadito le rispettive argomentazioni a sostegno delle
 conclusioni assunte negli atti di costituzione in giudizio.
                        Considerato in diritto
    1. -  Con  ricorso  in  via  principale  del  7  ottobre  1994  il
 Presidente del Consiglio dei ministri impugna la delibera legislativa
 del Consiglio regionale della Toscana del 25 luglio 1994, riapprovata
 il  20  settembre  1994,  recante "Utilizzazione ai fini faunistici e
 faunistico-venatori del  patrimonio  agricolo  forestale  regionale",
 dove  si dispone (all'art. 1) che "il patrimonio agricolo e forestale
 regionale .. e' utilizzato ai fini faunistici,  acquisito  il  parere
 dell'Istituto   nazionale   per   la   fauna  selvatica,  secondo  le
 indicazioni  dell'allegato  A",  e  si  disciplina  (all'art.  2)  la
 procedura  di  modifica delle zone perimetrate nello stesso allegato.
 L'impugnativa viene prospettata per violazione degli artt. 97  e  117
 della  Costituzione, in relazione alla legge 11 febbraio 1992, n. 157
 (Norme per la protezione della fauna selvatica  omeoterma  e  per  il
 prelievo   venatorio),   deducendosi   che,  attraverso  la  delibera
 impugnata, la Regione Toscana, nel  procedere  all'individuazione  di
 aree del suo patrimonio agricolo-forestale da sottrarre al divieto di
 caccia,  ha  esercitato  direttamente  con  legge  una  funzione  che
 presenta  i  connotati  di  un'attivita'  amministrativa   improntata
 all'esercizio  di  una  discrezionalita'  tecnica,  sulla  base di un
 parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica che, per la sua
 genericita', non risulterebbe rispondente ai criteri desumibili dalla
 disposizione  di  principio  contenuta nell'art. 21, comma 1, lettera
 c), della legge n. 157 del 1992.
    2. - Il ricorso non e' fondato.
    La legge 11 febbraio 1992, n. 157, all'art. 21, comma  1,  lettera
 c),  nel prevedere una deroga al divieto di esercizio venatorio nelle
 foreste  demaniali,  attribuisce  alle  Regioni,  sentito  il  parere
 dell'Istituto  nazionale  per  la  fauna  selvatica,  la  facolta' di
 consentire tale esercizio nelle foreste demaniali che non  presentino
 condizioni   favorevoli   alla   riproduzione  ed  alla  sosta  della
 selvaggina.
    La delibera regionale in esame ha utilizzato  la  deroga  prevista
 dalla    norma    statale,   individuando   in   concreto   le   aree
 agricolo-forestali  di  proprieta'  della  Regione  da  sottrarre  al
 divieto di caccia.
    Ora,  per  quanto  concerne  il  contenuto  di  tale  delibera, va
 innanzitutto ricordato che  questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato
 l'insussistenza,  in relazione alla legislazione regionale, di limiti
 costituzionali in grado di  impedire  l'adozione,  nel  rispetto  del
 principio  di  ragionevolezza,  di  leggi a contenuto sostanzialmente
 amministrativo (v. sentenze nn. 63 del 1995, 346 del 1994 e  143  del
 1989),  ovvero  collegate  all'esercizio  di  una discrezionalita' di
 natura tecnica  (v.  sentenza  n.  189  del  1986).  Pertanto,  anche
 rispetto  al  caso  in  esame, va preliminarmente riconosciuto che la
 facolta' di deroga al divieto di caccia, attribuita alle Regioni  dal
 richiamato  art.  21, comma 1, lettera c), della legge n. 157, poteva
 essere legittimamente esercitata mediante l'approvazione di una legge
 regionale a contenuto particolare quale quella che, nella specie,  ha
 provveduto  ad individuare le aree nelle quali consentire l'esercizio
 venatorio.
    3.  -  Passando  all'esame  del  motivo  principale  di   censura,
 riguardante  la violazione dell'art. 117 della Costituzione, non puo'
 ritenersi ingiustificato affermare che l'art. 21,  comma  1,  lettera
 c), della legge n. 157 del 1992 esprima, anche per quanto concerne la
 richiesta di parere all'Istituto nazionale della fauna selvatica, una
 norma  di  principio in grado di vincolare la legislazione regionale,
 dal momento che il legislatore nazionale, attraverso questa norma, ha
 inteso assicurare che l'esercizio della facolta' di deroga al divieto
 di caccia nelle foreste demaniali spetti alle  Regioni  soltanto  ove
 accompagnato  dalla  valutazione  di  un  ente nazionale dotato della
 necessaria competenza tecnica in  materia  (v.  per  una  fattispecie
 analoga, riferita all'art. 4 della legge n. 157 del 1992, la sentenza
 n. 35 del 1995).
    Ma   questo   non  induce  anche  a  concludere  che  la  delibera
 legislativa impugnata sia stata adottata  dalla  Regione  Toscana  in
 violazione della richiamata norma statale.
    E   invero,  la  delibera  stessa,  per  l'utilizzazione  ai  fini
 faunistici e faunistico-venatori del patrimonio agricolo e  forestale
 regionale,  richiede  espressamente il parere dell'Istituto nazionale
 della fauna selvatica,  parere  che,  nella  specie,  la  Regione  ha
 provveduto  a  richiedere  e  che  e' stato rilasciato con la nota di
 questo  ente  del  18  luglio  1994.  Tale   parere   ha   preso   in
 considerazione   l'intero   contesto   della   delibera  regionale  e
 dell'allegato A, dove risultano specificate le singole perimetrazioni
 delle  zone  aperte  all'esercizio venatorio. In tal modo la Regione,
 sul  piano   legislativo,   ha   certamente   ottemperato   all'onere
 procedimentale  impostole dalla norma prevista dall'art. 21, comma 1,
 lettera c), della legge n. 157 del 1992. Ne'  tale  conclusione  puo'
 risultare  inficiata  dalla  censura,  proposta nel ricorso, relativa
 alla pretesa inidoneita' della nota del 18 luglio 1994 ad integrare i
 contenuti minimi del parere tecnico richiesto  dalla  norma  statale,
 per  non  avere tale nota ne' considerato in dettaglio i criteri e le
 metodologie utilizzati dalla Regione ne'  valutato  singolarmente  le
 aree aperte all'esercizio della caccia.
    Ora  -  a  parte  ogni  rilievo  sul  fatto  che  il  giudizio  di
 legittimita' costituzionale della legge  regionale  non  si  presenta
 come  la sede idonea per valutare l'adeguatezza di un parere espresso
 in  sede  tecnica  da  un  organo  amministrativo  -  cio'   che   va
 considerato,  e  che  esplicitamente  risulta  dalla  richiamata nota
 dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, e' che questo ente ha
 provveduto a esaminare nel suo complesso la delibera  legislativa  in
 questione,  con  il  relativo  allegato,  esprimendo  di  conseguenza
 l'avviso  di  condividere  "sotto  il  profilo  tecnico"  i   criteri
 utilizzati   dalla   Regione  per  l'elaborazione  del  suo  progetto
 "nell'ambito  di  una  strategia  tesa   a   dare   attuazione   alla
 programmazione  territoriale  di  settore,  cosi' come definita dalla
 legge n. 157 del 1992 e dalla legge regionale n. 3 del 1994". Formula
 questa che, pur nella sua sinteticita', appare  idonea  a  comprovare
 che un parere e' stato in concreto espresso e che, di conseguenza, il
 limite posto dalla norma statale e' stato rispettato.