ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi di legittimita' costituzionale del decreto-legge 7 gennaio 1995, n. 3 (Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo di combustione, nonche' in materia di smaltimento dei rifiuti) e del decreto-legge 7 novembre 1994 n. 619 (Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo di combustione, nonche' in materia di smaltimento dei rifiuti), promossi con due ordinanze emesse il 24 gennaio 1995 e il 23 novembre 1994 dal Pretore di Terni nei procedimenti penali a carico di Rosi Ivana e di Santella Roberto iscritti rispettivamente ai nn. 221 e 222 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 222 del 1995; Udito nella camera di consiglio del 31 maggio 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Ritenuto che, nel corso di due processi penali a carico di soggetti imputati l'uno del reato di cui all'art. 25, primo comma, e l'altro del reato di cui agli artt. 16 e 26 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (Attuazione delle direttive CEE n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi), il Pretore di Terni ha sollevato, con ordinanze del 24 gennaio 1995 e 23 novembre 1994, di identico contenuto, questioni di legittimita' costituzionale, rispettivamente, del decreto-legge 7 gennaio 1995, n. 3 (Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo di combustione, nonche' in materia di smaltimento dei rifiuti) (reg. ord. n. 221 del 1995) e del decreto-legge 7 novembre 1994, n. 619 (Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo di combustione, nonche' in materia di smaltimento dei rifiuti) (reg.ord. n. 222 del 1995), in riferimento agli artt. 3, 9, 10, 25 e 41 della Costituzione; che entrambe le normative - che recano la medesima disciplina nella materia, facendo parte di una serie di provvedimenti legislativi urgenti decaduti e piu' volte reiterati - sono impugnate nella loro "stesura integrale intesa nella sinergia inscindibile di tutti gli articoli interconnessi, con particolare riferimento agli artt. 2 e 12 e agli articoli ivi richiamati"; che il giudice rimettente osserva che la decretazione d'urgenza, di cui ai provvedimenti impugnati, si porrebbe in contrasto con gli invocati parametri costituzionali, in primo luogo, perche', con un semplice espediente terminologico, talune sostanze, denominate "residui" in luogo di rifiuti, verrebbero escluse dalla disciplina del d.P.R. n. 915 del 1982, che regola anche i rifiuti da recuperare e riutilizzare, ed in secondo luogo perche' sarebbero sottratti a qualsiasi procedura ed obbligo tutti quei "materiali che siano quotati in borse merci o in listini e mercuriali ufficiali, costituenti residui di produzione o di consumo", con cio' creandosi addirittura una "zona franca" di sostanze (ulteriori, rispetto alla categoria dei residui) del tutto priva di disciplina, perche' il mero attestato di quotazione di una camera di commercio ed una "ricognizione positiva del Ministero dell'ambiente" sarebbero sufficienti ad escludere, addirittura dalla piu' blanda categoria dei residui quello che fino ad oggi e' stato considerato un rifiuto; che i decreti-legge impugnati porrebbero cosi', in attesa di fu- ture regolamentazioni, una disciplina transitoria che sottrae alla disciplina dei rifiuti tutti i residui, anche tossici e nocivi, definiti come materie prime secondarie dall'allegato I del decreto ministeriale 26 gennaio 1990, senza considerare che la Corte costituzionale con la sentenza n. 512/1990 ha annullato gran parte di quel decreto; che il numero dei c.d. residui "identificati" sarebbe stato, poi, aumentato con decreto ministeriale 5 settembre 1994, il cui allegato III, pur in assenza di strutture e organi di controllo tecnici, comprenderebbe tutti i rifiuti industriali, considerati quali "residui" se soltanto "destinabili" ad un "possibile", imprecisato riutilizzo, mentre, in realta', con le operazioni di riciclo, si mascherano operazioni di incenerimento che, se riferite ai rifiuti, sarebbero assoggettate alla severa disciplina del d.P.R. n. 915 del 1982; che, inoltre, taluni rifiuti sarebbero denominati residui nonostante che non se ne preveda il riutilizzo in cicli produttivi, come materie prime o come energia, perche' sarebbero destinati anche a riempire depressioni del terreno sotto forma di "ripristino ambientale" (come avviene per le discariche) al di fuori da qualsiasi controllo; che, soprattutto, i decreti-legge creerebbero una moratoria penale in un settore di forte incidenza sulla salute pubblica e ambientale, "sanando" qualsiasi reato commesso in tema di "residui", all'uopo utilizzando sia il decreto ministeriale del 1990 in gran parte annullato dalla Corte costituzionale, sia le norme regionali di favore; che sarebbero cosi' violati: a) l'art. 41 della Costituzione, perche' verrebbero favorite le imprese che non hanno osservato la legge e penalizzati invece quegli imprenditori che hanno sostenuto i costi di rilevanti investimenti per adeguare i propri impianti e le proprie attivita' alle esigenze di tutela ambientale, con cio' incidendo sulla libera concorrenza tra imprese; b) gli artt. 9 e 32 della Costituzione e quindi il diritto alla salute, inteso anche quale diritto alla salubrita' dell'ambiente che verrebbe invece esposto in maniera incontrollata al degrado dell'inquinamento; c) l'art. 10 della Costituzione perche', attraverso il ricorso ad una terminologia ("residui") diversa da quella comunitaria ("rifiuti destinati al recupero"), si prevederebbe per taluni materiali un trattamento meno severo e, per certi versi, del tutto privo di regolamentazione, con conseguente "mancata conformazione dell'ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale riconosciute"; d) gli artt. 3 e 25 della Costituzione perche', attribuendosi alle camere di commercio il potere di sottrarre alla disciplina dettata per i rifiuti i materiali inseriti nei listini ufficiali, si creerebbe un'inammissibile disparita' di trattamento in materia penale; che in uno solo dei giudizi (reg. ord. n. 222 del 1995) e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, eccependo in primo luogo la manifesta inammissibilita' della questione, per non essere stato convertito il decreto-legge n. 619 del 1994 impugnato, e contestandone comunque nel merito la fondatezza; Considerato che le questioni di legittimita' costituzionale concernono norme identiche, di due decreti-legge succedutisi nel tempo, si' che i giudizi possono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia; che i decreti-legge 7 novembre 1994 n. 619 e 7 gennaio 1995 n. 3, impugnati nell'intero testo e "con particolare riferimento agli artt. 2 e 12 ed agli articoli ivi richiamati", non sono stati convertiti in legge entro il termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione, come risulta dai relativi comunicati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, rispettivamente, n. 5 del 7 gennaio 1995 e n. 57 del 9 marzo 1995; che, successivamente, sono stati emanati il decreto-legge 9 marzo 1995 n. 66 (anch'esso non convertito nei termini di legge, v. comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 106 del 9 maggio 1995) e il decreto-legge 10 maggio 1995 n. 162 (Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonche' in materia di smaltimento dei rifiuti), quest'ultimo tuttora in vigore che "reitera" i precedenti, ma la cui disciplina e' in parte diversa rispetto a quella vigente al tempo delle ordinanze di rinvio e denunciata di incostituzionalita' (v., in particolare, gli artt. 1, 2 e 3 concernenti, rispettivamente, il "campo di applicazione", le "esclusioni" e le "definizioni" della disciplina); che pertanto, essendo mutato il quadro normativo, gli atti vanno restituiti al giudice del rinvio perche' valuti se, alla luce della nuova disciplina, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti, nei giudizi a quibus.