ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 662 (recte: art. 660), comma 2, del codice di procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 28 settembre 1994 dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di Bari sulle richieste proposte da M.F. e C.P., iscritte ai nn. 679 e 702 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 47 e 49, prima serie speciale, dell'anno 1994; Udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1995 il Giudice relatore Giuliano Vassalli; Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di Bari, richiesto di procedere alla conversione delle pene pecuniarie inflitte a due minori condannati con sentenza definitiva, ha, con altrettante ordinanze dal contenuto pressoche' identico, entrambe emesse il 28 settembre 1994, sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 660, comma 2, del codice di procedura penale, "con riferimento ai minori, in relazione alla incapacita' di disporre economicamente di cui agli artt. 311, 320 e 324" del codice civile; che, secondo il giudice a quo, il principio della personalita' della responsabilita' penale sarebbe vulnerato perche' resterebbero assoggettati a sanzione penale - almeno fino al compimento del diciottesimo anno di eta' - gli esercenti la patria potesta' sul minore non emancipato ed ai quali competono la rappresentanza, l'amministrazione e l'usufrutto dei beni del minore stesso; che risulterebbe compromesso anche il rispetto del principio di eguaglianza, sia perche' un'identica situazione giuridica - e cioe' la "condanna di minori a pene pecuniarie" - ha conseguenze diverse a seconda delle condizioni economiche e della disponibilita' degli esercenti la patria potesta', disparita' non ovviabile con la richiesta di dilazione o rateizzazione, sia perche' viene instaurato un regime diverso rispetto a quello prescritto per il pagamento delle spese processuali dal quale i minori sono esonerati ai sensi dell'art. 29 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272; che in nessuno dei due giudizi si e' costituita la parte privata ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri; Considerato che i giudizi, concernendo questioni identiche, vanno riuniti; che, pur non essendo agevolmente decifrabile il petitum perseguito dal giudice a quo - ora censurandosi che possa essere addebitato a persone diverse dal condannato il pagamento delle pene pecuniarie, e, quindi, l'irrogazione nei confronti di tali persone di una sanzione penale, ora, invece, denunciandosi il regime stesso della conversione della pena pecuniaria riguardo ai minori - dall'integrale contesto delle ordinanze di rimessione culminante con la denuncia dell'art. 660, comma 2, del codice di procedura penale, puo' ritenersi che le doglianze risultino incentrate sull'inevitabile conversione della pena pecuniaria pure nei confronti dei condannati minorenni e sui riverberi che la conversione determina relativamente ai parametri costituzionali invocati; che la questione e' manifestamente infondata sia sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza sia sotto il profilo della violazione della personalita' della responsabilita' penale; che, in relazione alle doglianze incentrate sull'art. 3 della Costituzione, relativamente alla distinzione fra minori i cui genitori siano abbienti e disponibili al pagamento della pena pecuniaria e minori i cui genitori tali non siano, questa Corte non puo' non convenire, non risultando la problematica, sotto questo profilo, diversa da quella riguardante gli imputati maggiorenni, che "appare insanabilmente contraddittorio pretendere di fondare la soddisfazione del principio di eguaglianza di fronte al reato ed alla pena, proprio sul sacrificio dell'eguaglianza stessa, introducendo una discriminazione determinata unicamente dalle condizioni del condannato", secondo una delle rationes decidendi che hanno provocato la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 136 del codice penale, prima della sua sostituzione ad opera dell'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (v. sentenza n. 131 del 1979); che, pero', occorre anche ribadire che la detta pronuncia ritenne illegittima quella particolare configurazione della conversione, "retaggio di concezioni arcaiche", tanto "per i suoi effetti sostanziali di privazione della liberta' personale", quanto "per il meccanismo processuale adottato" (v. anche sentenza n. 108 del 1987), puntualizzando come non fosse "concretamente evitabile ne' la previsione di misure succedanee alla pena pecuniaria non corrisposta per insolvibilita', ne' che queste possano incorporare, rispetto a quella, un margine di maggiore afflittivita'", purche' vengano adottate "misure sostitutive che riducano al minimo possibile tale divario e che nel contempo si adottino disposizioni che, agevolando l'adempimento della pena pecuniaria e rendendo effettivo il controllo sulla sussistenza di reali situazioni di insolvibilita', circoscrivano nella massima misura possibile l'area della concreta operativita' della conversione" (v. ancora, sentenza n. 108 del 1987), un assetto ritenuto raggiunto in forza nel nuovo sistema di conversione introdotto dalla modificazione dell'art. 136 del codice penale, senza contare la disciplina della dilazione e del pagamento rateale, utilizzabile anche dai condannati minorenni; che, pure sotto il profilo della dedotta disparita' di trattamento rispetto al diverso regime delle spese processuali al cui obbligo sono sottratti i condannati minorenni a norma dell'art. 29 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, la questione e' manifestamente infondata, trascurando del tutto il giudice a quo che la ratio alla base della norma ora ricordata e' coessenziale alla natura dell'obbligo del pagamento delle spese processuali, cosicche' la sua previsione anche nel processo minorile, "finendo per gravare piu' che sul minore sulla sua famiglia, non corrisponderebbe al suo scopo intrinseco e si risolverebbe in un'ulteriore penalizzazione dei familiari" (v. Relazione al Progetto definitivo delle norme di attuazione di coordinamento e transitorie sul processo penale a carico di imputati minorenni), una ratio certo non invocabile con riferimento alla pena pecuniaria, il cui pagamento ed il cui conseguente regime derivante dall'insolvibilita' si giustificano, oltre tutto, in funzione del principio dell'inderogabilita' della pena; che nessuna lesione del principio sancito dall'art. 27, primo comma, della Costituzione e' ravvisabile nella possibilita' che l'adempimento dell'obbligazione derivante dalla pena pecuniaria venga effettuato dagli esercenti la patria potesta' del minore, trattandosi di obbligazione cui essi non sono tenuti se non nei casi stabiliti dall'art. 196 del codice penale, certamente non lesivi del principio della responsabilita' penale personale; che, infine, non appare inutile ricordare che l'attivita' di rappresentanza ed amministrazione degli esercenti la potesta' sul minore consente a costoro di provvedere al pagamento della pena pecuniaria inflitta ove l'incapace di agire sia titolare di un proprio patrimonio; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;