ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  70  del  regio
 decreto  16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento, del
 concordato  preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e   della
 liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il
 23  settembre  1994 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da
 Bambara Maria contro il Fallimento Zunino Bernardo,  iscritta  al  n.
 102 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  20  aprile  1995  il  Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  promosso da Maria Bambara nei
 confronti del  Fallimento  Bernardo  Zunino,  avente  ad  oggetto  la
 legittimita'   dell'acquisizione  alla  massa  fallimentare  di  beni
 acquistati dalla moglie del fallito nei  cinque  anni  precedenti  la
 data  del  fallimento,  la  Corte  di  cassazione,  sez. I civile, ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art.  70  del
 regio  decreto  16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
 concordato  preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e   della
 liquidazione coatta amministrativa), in riferimento agli artt. 3, 29
 e 31 della Costituzione.
    Ritiene  il  giudice  rimettente  che  la  disposizione impugnata,
 introduttiva della  c.d.  presunzione  "muciana",  non  si  applichi,
 secondo  la  consolidata  interpretazione  giurisprudenziale, ai beni
 oggetto di comunione legale dei coniugi, continuando  essa  viceversa
 ad  operare  nell'ipotesi  in  cui  tra  i coniugi sussista il regime
 convenzionale della separazione dei beni. Tale  differenza  rende  la
 disposizione  confliggente,  a  parere  del giudice rimettente, con i
 parametri costituzionali invocati.
    Si prospetta in primo luogo la  violazione  dell'art.  3,  secondo
 comma,  della  Costituzione  per  irragionevolezza sopravvenuta della
 norma, a seguito della disciplina dei rapporti di famiglia, attuativa
 di valori costituzionali, introdotta dalla legge 19 maggio  1975,  n.
 151.
    Si  rileva  il contrasto tra la disposizione impugnata e gli artt.
 31, primo comma (nella parte in cui richiede misure per agevolare  la
 famiglia), 29 (nella parte in cui fonda la famiglia sul matrimonio) e
 3,  primo  comma, della Costituzione (per il divieto da esso articolo
 ricavabile di fare oggetto la famiglia di misure di sfavore).
    Il   giudice   rimettente  sottolinea  anche  il  contrasto  della
 disposizione impugnata con l'art. 3, primo comma, della Costituzione,
 sotto  il  profilo  della  disparita'  di   trattamento   che   dalla
 disposizione deriva in danno delle famiglie che abbiano scelto il re-
 gime  di  separazione  dei  beni  od  altro  regime  convenzionale in
 relazione (all'esterno) a famiglie di  fatto  o  ad  altre  forme  di
 libera  convivenza,  ovvero  in relazione (all'interno della famiglia
 legittima) ai nuclei che hanno optato  per  il  regime  di  comunione
 legale:  tutti  sottratti  alla  sfera  di  operativita'  della norma
 suddetta.
    L'ordinanza di rimessione fa infine riferimento alla  sentenza  24
 luglio  1968  della Corte costituzionale tedesca che ha dichiarato la
 presunzione  "muciana"  in  contrasto  con  l'art.  6  Abs.   1   del
 Grundgesetz,  sostanzialmente corrispondente all'art. 31 della nostra
 Costituzione. Questa sentenza, pur riconoscendo  che  "lo  scopo  del
 par.  45  K.O.  era  quello di impedire che i coniugi spostino tra di
 loro  il  patrimonio  in  modo  non  percepibile  e  dannoso  per   i
 creditori",  ha  ritenuto  l'illegittimita'  costituzionale  di detta
 disposizione  in  quanto  "connette  i  suoi  effetti  soltanto  alla
 semplice  esistenza del matrimonio, intervenendo addirittura nei casi
 in cui i coniugi nel momento dell'acquisto dei beni vivono separati".
 Cio' per l'essenziale motivo che la Costituzione  prevede  la  difesa
 del  matrimonio  e  della famiglia dall'interferenza di altre forze e
 vietando allo Stato di  pregiudicare  detti  istituti  con  norme  di
 sfavore prive di sufficiente giustificazione.
    Ha concluso il Bundesverfassungsgericht che il pericolo innegabile
 di   spostamenti   del   patrimonio   in  danno  dei  creditori  puo'
 giustificare regole particolari per i coniugi solo se non violano  il
 divieto  di  eccessi  di  misura  (u'bermassverbot);  eccesso  che fu
 ravvisato nel par. 45 K.O. soprattutto perche' non  prevedeva  alcuna
 limitazione temporale, con l'effetto di una responsabilita' oggettiva
 del coniuge non debitore.
    Ricorda  infine  l'ordinanza  che  anche in Francia la presunzione
 "muciana" e' stata legislativamente abolita, essendo stato sostituito
 il precedente testo dell'art. 542 del code de commerce con  la  legge
 13  luglio  1967, n. 563, che pone l'onere della prova a carico della
 massa dei creditori.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile  o  comunque
 manifestamente infondata.
    Al  riguardo,  ritiene  la  difesa  erariale  che  l'ordinanza  di
 rimessione non individui  alcuna  concreta  smagliatura  nel  tessuto
 normativo  tale  da  consentire  di  varcare la soglia riservata alla
 discrezionalita' del legislatore. In particolare, si sostiene che  la
 sudditanza  economica  del  coniuge dell'imprenditore derivante dalla
 difficolta' della prova sembra enfatizzare il problema  pratico  come
 insuperabile  ed  in  contrasto  con  la  realta',  essendo  comunque
 lasciata la possibilita' al  coniuge  non  imprenditore  di  valutare
 liberamente - nella scelta del sistema patrimoniale - la eventualita'
 o meno di tali conseguenze.
    Quanto  all'asserita violazione del combinato disposto degli artt.
 3, 29 e 31 della Costituzione, si sottolinea l'illegittimita',  anche
 alla  luce  della  giurisprudenza  di  questa Corte, di un sistema di
 unificazione  fittizia  dei  patrimoni   dei   coniugi,   mentre   la
 disposizione  ora  impugnata  viene  applicata  nel  quadro di quella
 eguaglianza coniugale che e' il perno dei rapporti familiari.
                         Considerato in diritto
    1. - La Corte di cassazione ritiene rilevante e non manifestamente
 infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  70
 del  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento,
 del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata  e  della
 liquidazione  coatta  amministrativa), nella parte in cui non esclude
 l'operativita' della presunzione in esso stabilita (c.d.  presunzione
 "muciana")  nelle  ipotesi  in  cui  tra i coniugi sussista il regime
 convenzionale della separazione dei beni.
    Dubita  il  giudice  rimettente  che  la  predetta  norma  sia  in
 contrasto:
      1) con l'art. 3, secondo comma, della Costituzione, in relazione
 anche  agli  artt.  3,  primo  comma,  29  e  31,  primo comma, della
 Costituzione per irragionevolezza sopravvenuta della norma nel quadro
 generale della nuova disciplina dei rapporti di famiglia  (introdotta
 con   legge   19   maggio   1975,   n.   151),  attuativa  di  valori
 costituzionali;
      2) con lo stesso art. 3, secondo comma, della  Costituzione  per
 ulteriori  aspetti  di  irragionevolezza  con  riguardo  specifico  a
 singoli istituti del nuovo diritto patrimoniale della famiglia;
      3) con l'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione,  sotto  il
 profilo  della  disparita' di trattamento in danno delle famiglie che
 abbiano scelto il regime di separazione  dei  beni  od  altro  regime
 convenzionale in relazione: a) (all'esterno) a famiglie di fatto o ad
 altre  forme  di  libera  convivenza;  b) (all'interno della famiglia
 legittima) ai nuclei che hanno optato  per  il  regime  di  comunione
 legale;
      4)  con  gli  artt. 31, primo comma (nella parte in cui richiede
 misure per agevolare la famiglia), 29 (nella parte in  cui  fonda  la
 famiglia  sul  matrimonio)  e  3, primo comma (per il divieto da esso
 articolo  ricavabile  di  fare  oggetto  la  famiglia  di  misure  di
 sfavore), della Costituzione.
    2.  -  La  questione  va dichiarata inammissibile per i motivi che
 saranno piu' avanti esposti.
    L'antico istituto della presunzione in oggetto  -  com'e'  noto  -
 prende  il  nome  di "muciana" dal giureconsulto Quinto Mucio che nel
 secondo secolo a.C. l'introdusse  (D.  24,  I,  51)  per  evitare  il
 sospetto  che  i  beni a disposizione della moglie non provenissero a
 questa dal marito bensi' da fonti disonorevoli.
    Col passare dei secoli, essa veniva sempre intesa  a  provare  che
 quanto la moglie acquistava era di provenienza del marito, ma in base
 al  diverso motivo che la donna non esercitava di regola un'attivita'
 lucrativa. Solo piu' tardi l'istituto fu utilizzato  per  tutelare  i
 diritti  dei  creditori del marito, escludendosi pero' l'operativita'
 della presunzione nei casi in cui la  moglie  fosse  "obstetrix,  vel
 lanificio   alioque   simili   artificio   perita,   vel   mercaturam
 exercuisset".
    La condizione subordinata della donna dal punto di vista economico
 non  cambio'  per  molto  tempo,  per  cui  il  codice  di  commercio
 napoleonico  confermo' ampia valenza alla presunzione "muciana"; e la
 stessa fu recepita nel nostro codice di commercio del 1882  nell'art.
 782  che  non  prevedeva  limiti  di  tempo,  ma  ammetteva  la prova
 contraria.
    3. - Gia' agli inizi di questo secolo numerosi studiosi  ritennero
 che  detto  istituto  -  a  prescindere  dal  problema del suo esatto
 inquadramento giuridico - non fosse piu' giustificato in una societa'
 in cui cominciavano ad essere frequenti  i  casi  di  separazione  di
 attivita'  e di patrimoni della moglie. Questi dubbi contribuirono ad
 un  ridimensionamento  della  disciplina  dell'istituto  nella  legge
 fallimentare  del  1942,  che  non  riferi'  piu'  la  "muciana" alla
 "moglie"  ma  al  "coniuge",  limitando  la   sua   operativita'   al
 quinquennio   anteriore  al  fallimento  e  confermando  altresi'  la
 possibilita'  di  superamento  della   presunzione   mediante   prova
 contraria.
    Sulla base di tale situazione normativa, nel periodo intercorrente
 tra  la  data  di  approvazione della legge di riforma del diritto di
 famiglia (legge 19 maggio 1975, n. 151) e la sua entrata  in  vigore,
 questa Corte ritenne (sentenza 10 luglio 1975, n. 195) non fondata la
 questione  di  legittimita'  costituzionale della "muciana" sollevata
 sulla  base  di  rilievi  diversi  da  quelli  oggetto  del  presente
 giudizio.
    Ma  subito  dopo  la predetta riforma, la prevalente dottrina e la
 giurisprudenza di merito, confermata piu' tardi da quella della Corte
 di  cassazione,   interpretarono   il   sistema   nel   senso   della
 inoperativita',   per   ius   superveniens,   di   detta  presunzione
 nell'ipotesi di regime di comunione legale, dal momento che la  legge
 attribuisce  gli  acquisti  ad entrambi i coniugi a prescindere dalla
 provenienza del denaro. Ed anche in regime di separazione di beni, la
 Corte  di  cassazione  nel  1977  escludeva  l'applicabilita'   della
 presunzione  nel  caso  in cui il coniuge non fallito fosse anch'egli
 imprenditore.
    4. - La presente ordinanza di rimessione  motiva  il  sospetto  di
 illegittimita'  costituzionale  della  norma  denunziata  per quattro
 ordini di argomentazioni, che si andranno ad esaminare separatamente.
    Viene denunziata innanzi tutto  la  sopravvenuta  irragionevolezza
 (art.  3,  secondo comma, della Costituzione) di detta norma rispetto
 alle linee di fondo della riforma del 1975 che "ha tradotto in regole
 giuridiche i principi enucleati dalla carta costituzionale in materia
 di famiglia, con lo scopo di rafforzare il  vincolo  coniugale  e  di
 garantirlo  ..  anche attraverso la valorizzazione del lavoro in modo
 paritario di ciascuno dei coniugi, pur se soltanto casalingo".
    Osserva  in  particolare  la  Corte  rimettente  che   detto   ius
 superveniens  "introduce  una  rete  di principi - ispirati al canone
 sovraordinato della parita' delle posizioni dei coniugi - nella quale
 la norma interferente pare impigliarsi e venire comunque a collidere,
 per la valenza assolutamente antinomica dei presupposti da cui  muove
 e  del  risultato  cui e' suscettibile di approdare, assoggettando il
 coniuge in  bonis  all'onere  spesso  faticoso,  se  non  addirittura
 impossibile, di provare cio' che nella logica paritaria della riforma
 dovrebbe  essere  piuttosto  il  dato fattuale di normale ricorrenza:
 l'effettivita' cioe' degli acquisti personali, come corollario  della
 pari  dignita', che esclude la sudditanza anche economica del coniuge
 all'imprenditore".
    5. - Queste prime considerazioni dell'ordinanza non appaiono deci-
 sive   per   dedurre   l'illegittimita'  costituzionale  della  norma
 denunziata. Indubbiamente tra le linee fondamentali della riforma del
 diritto di famiglia va ravvisata una logica paritaria nella posizione
 di entrambi i coniugi, principio estensibile agli aspetti del  lavoro
 e  delle  sfere  patrimoniali.  Cio' in maggiore aderenza all'odierna
 realta' sociale  delle  famiglie,  ed  alla  moderna  concezione  che
 valorizza   l'attivita'   di  ciascuno  dei  coniugi,  escludendo  la
 subordinazione economica di uno all'altro.
    Questa linea tendenziale si manifesta in  diverse  norme  vigenti,
 tra  le  quali  il  nuovo  testo  dell'art.  143  del  codice civile,
 l'abolizione dell'antico istituto della dote, l'introduzione del  re-
 gime  legale  della  comunione  dei  beni, nonche' il passaggio della
 separazione dei beni all'ambito dei regimi convenzionali,  in  cui  i
 coniugi  optano  espressamente  per  un regime volontario che implica
 l'esclusione  di  interferenze   fra   i   loro   patrimoni,   specie
 nell'ipotesi in cui questi siano frutto delle rispettive attivita'.
    Si  fa  inoltre  notare  che nell'attuale sistema si presumono due
 situazioni normalmente verificabili: a) per un verso, quanto  osserva
 l'ordinanza    di    rimessione    circa   la   "normale   ricorrenza
 dell'effettivita' degli acquisti personali" con  denaro  proprio;  b)
 per  altro  verso,  che  -  in  mancanza della prova della proprieta'
 esclusiva - anche in  regime  di  separazione  dei  beni,  questi  si
 intendono  comuni  (art.  219 del codice civile, come novellato dalla
 legge del 1975). Sicche', in forza della  disposizione  dell'art.  70
 della  legge  fallimentare,  si  dovrebbe invece presumere un'ipotesi
 eccezionale: che cioe' il  bene  acquistato  da  un  coniuge  sia  in
 realta'  interamente dell'altro coniuge, in contrasto con le predette
 due normalita' presunte dai principi della riforma.
    6. - Nonostante queste disarmonie, mentre la logica  paritaria  in
 ordine  alla  sfera  patrimoniale  dei  coniugi  ha contribuito a far
 ritenere, nel diritto vivente e quasi pacificamente in dottrina,  non
 piu'  operante il vecchio istituto della presunzione "muciana" per il
 sopravvenuto regime di comunione legale dei beni, non e'  altrettanto
 prevalente   l'interpretazione  dottrinale  e  giurisprudenziale  nel
 ravvisare  analoga  incompatibilita'  per  l'ipotesi  di  regime   di
 separazione dei beni.
    Quel  che piu' conta rilevare in questa sede, deputata a giudicare
 dei profili di legittimita' costituzionale della disposizione, e' che
 le predette incongruenze si risolvono  prevalentemente  in  contrasti
 fra  la norma impugnata (come interpretata dal giudice rimettente) ed
 altre norme dello stesso rango, tra cui quelle di riforma del diritto
 di famiglia, le quali, pur configurandosi  come  corretta  attuazione
 dei  principi  della  Costituzione,  non  partecipano  tuttavia della
 stessa forza  di  questi  principi.  Trattandosi  quindi  di  aspetti
 irragionevoli  che  non  attengono  all'ambito  costituzionale,  e di
 incompatibilita' tra norme di natura ordinaria, la loro  soluzione  -
 in  modo  ad  esempio  analogo  a  quanto  avvenuto  per l'ipotesi di
 comunione  legale  -  resta  affidata  all'attivita'  ermeneutica  di
 competenza dell'autorita' giudiziaria.
    7.   -   In   secondo   luogo,   l'ordinanza   rileva  l'ulteriore
 irragionevolezza della situazione normativa  con  specifico  riguardo
 alla  disciplina  di  singoli istituti del nuovo diritto patrimoniale
 della famiglia.
    Nella  particolare  prospettiva  di  raffronto  con  la  comunione
 legale, la Corte di cassazione osserva che  nel  passaggio  (previsto
 dall'art.  193  del  codice  civile)  dalla  comunione  al  regime di
 separazione  giudiziale  dei  beni  in  presenza  di  situazioni   di
 disordine  negli affari del consorte, chi voleva porre piu' al sicuro
 quella quota di proprieta' degli acquisti che la  comunione  -  anche
 per inoperativita' della presunzione "muciana" - gli avrebbe comunque
 garantito,   incapperebbe   proprio   in  questa  presunzione  ancora
 compatibile col regime di separazione dei beni. Che se  invece  detta
 presunzione  non  fosse  operante  nel  caso  previsto  dall'art. 193
 (separazione giudiziale dei beni), sarebbe contraddittorio applicarla
 nel regime sostanzialmente identico della  separazione  convenzionale
 dei  beni.  Inoltre  l'effetto  della "muciana" dovrebbe assurdamente
 prodursi anche nel caso di separazione personale dei coniugi.
    Queste  deduzioni  relative  a  particolari  censure  del  vigente
 sistema  potrebbero  essere  controbilanciate  da opposte esigenze di
 mantenimento della presunzione "muciana": quali l'apprestamento di un
 rimedio rapido al  frequente  abuso  di  sottrazione  dei  beni  alla
 responsabilita'  patrimoniale  del fallito; la maggiore facilita' per
 il coniuge nel  dare  la  prova  contraria,  rispetto  alle  maggiori
 difficolta'  per  i  creditori,  obbligati ad esperire piu' complesse
 azioni di simulazione o di intestazione fiduciaria. In  ogni  caso  -
 cio'  che  e' decisivo in questa sede - anche per queste doglianze va
 ripetuto quanto  gia'  osservato  circa  la  natura  delle  lamentate
 incompatibilita',  che esse vanno cioe' risolte in via interpretativa
 o possono dare luogo ad una serie di auspicabili rimedi  legislativi,
 in  quanto implicano articolate risposte eccedenti i poteri di questa
 Corte.
    8. - Col  terzo  ordine  di  rilievi,  l'ordinanza  di  rimessione
 prospetta   dubbi   di   legittimita'   costituzionale  della  stessa
 disposizione per diversi  profili  di  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento  che  essa  introdurrebbe  (art.  3,  primo  comma, della
 Costituzione) in danno delle famiglie che abbiano scelto il regime di
 separazione dei beni, sia "all'esterno, rispetto a famiglie di  fatto
 e  ad  altre forme di libera convivenza, sia all'interno stesso della
 famiglia legittima rispetto ai nuclei che abbiano optato per  il  re-
 gime  di  comunione  legale:  tutti  del pari sottratti alla sfera di
 operativita' della norma suddetta". Dal raffronto tra tali situazioni
 emergerebbe  una  disparita'  di  trattamento  anche  tra   creditori
 (nell'uno  o nell'altro regime patrimoniale) e tra creditori dell'uno
 o dell'altro coniuge.
    Si osserva in generale che la predetta presunzione non sembra piu'
 in sintonia con i principi della  riforma  del  1975  (a  loro  volta
 ispirati  ai principi costituzionali) considerando che e' venuto meno
 il fondamento socio-economico di quella disparita' fra i coniugi  che
 la   giustificava  nei  secoli  passati.  Anche  il  superamento  del
 principio dell'indissolubilita' giuridica del matrimonio,  tenderebbe
 a   indebolire   la   logica  della  presunzione  "muciana"  riguardo
 all'affidamento  nell'altro   coniuge,   privilegiando   il   ricorso
 all'intestazione dei beni ai figli o ad altri parenti.
    Quanto  in  particolare  al  regime  di  separazione  dei beni, si
 sottolinea che i principi  della  predetta  riforma  hanno  coinvolto
 sotto  diversi  aspetti  anche  tale convenzione, ove si consideri ad
 esempio che, pure in presenza di  detta  separazione,  viene  ora  ad
 operare la presunzione di comunione dei beni di cui non e' provata la
 proprieta'  esclusiva.  Onde non sarebbe giustificata, in ordine alla
 operativita' della "muciana", una disciplina nettamente differenziata
 tra i coniugi in regime di comunione e quelli con la  convenzione  di
 separazione  dei  beni.  Senza contare infine che ogni disparita' nel
 trattamento della famiglia legittima (realizzata mediante  una  norma
 di  sfavore)  rispetto  alle  altre  convivenze,  oltre a menomare la
 posizione del coniuge, potrebbe contribuire a sviare la stessa scelta
 matrimoniale.
    9. - A quest'ultimo  proposito,  particolarmente  delicato  e'  il
 discorso  che si collega al quarto ordine di considerazioni contenuto
 nell'ordinanza di rimessione, e cioe' alla violazione degli artt.  3,
 29  e 31 della Costituzione che tutelano la famiglia, con l'implicito
 divieto di farla oggetto di misure di sfavore.
    La Corte di cassazione - oltre a citare la pronuncia  della  Corte
 costituzionale tedesca - menziona la sentenza n. 179 del 1976 con cui
 questa   Corte   dichiaro'   l'illegittimita'   costituzionale  della
 disciplina  fiscale  sul  cumulo  dei  redditi  coniugali  in  quanto
 normativa  "che  non agevola la formazione della famiglia ed anzi da'
 vita per i nuclei familiari legittimi, e nei confronti  delle  unioni
 libere,  delle  famiglie  di  fatto  e  di  altre  convivenze,  ad un
 trattamento deteriore".
    Potrebbe ricordarsi anche l'abolizione della presunzione "muciana"
 in Francia e quanto ebbe ad osservare questa Corte  (sentenza  n.  91
 del  1973)  dichiarando l'illegittimita' del divieto di donazioni fra
 coniugi (art. 781 del codice civile) per la considerazione  che  tale
 divieto  rappresentava  "una palese ineguaglianza giuridica di coloro
 che sono  uniti  in  matrimonio  legittimo  non  solo  rispetto  alla
 generalita'  dei cittadini, ma anche rispetto ad altri casi di unioni
 e  di  convivenze,  quali  il  matrimonio  putativo,  il   matrimonio
 successivamente annullato, la convivenza more uxorio, di cui all'art.
 269 del codice civile, il concubinato ed altre".
    10. - Indipendentemente dai citati precedenti e dagli orientamenti
 della disciplina di altri Stati europei, mentre puo' riconoscersi che
 l'art.  31  della  nostra  Costituzione non si limita ad impegnare la
 Repubblica  ad  interventi  di  promozione  sociale  a  tutela  della
 famiglia,  ma  implica  altresi'  il  divieto  per  il legislatore di
 introdurre discipline sfavorevoli alla famiglia stessa, va  soggiunto
 che  da  cio'  non  discende tuttavia l'illegittimita' costituzionale
 anche di quelle norme  che  -  in  un  equilibrato  bilanciamento  di
 interessi   contrapposti   -  pongano  a  carico  dei  coniugi  oneri
 giustificati  e  non  pregiudizievoli  ai  delicati  compiti  che  la
 famiglia assolve anche nell'interesse sociale.
    A  questo  punto,  non  appare necessario analizzare il fondamento
 delle doglianze fatte  in  proposito  dall'ordinanza  di  rimessione,
 essendo  sufficiente  osservare  che, a tutto concedere, un ipotetico
 loro accoglimento comporterebbe la scelta fra diverse  soluzioni  nel
 ridisegnare  il  giusto bilanciamento delle esigenze dei rapporti fra
 coniugi rispetto a quelle dei creditori e delle  regole  di  mercato,
 potendosi  riconsiderare  la  permanenza  della giustificazione della
 presunzione, o la sua  disciplina  in  modo  articolato  rispetto  ai
 diversi  regimi  patrimoniali  della famiglia. Cio' rende auspicabile
 l'intervento legislativo, finalizzato ad un razionale riordino  della
 materia,  inteso  ad  armonizzare questo delicato aspetto della legge
 fallimentare  ai  principi  ispiratori  della   riforma   del   1975,
 eliminando  gli  inconvenienti  lamentati, tenendo presenti gli altri
 ordinamenti  europei  e  considerando  in  ogni   caso   i   principi
 costituzionali  sulla  liberta'  dei coniugi e sulle esigenze di quel
 nucleo  familiare  che  la   Costituzione   ha   voluto   chiaramente
 privilegiare.
    Va conclusivamente affermato che il complesso delle considerazioni
 sopra   esposte,   inducono  a  dichiarare  l'inammissibilita'  della
 questione  sollevata  relativamente  a  tutti  e  quattro  i  profili
 formulati nell'ordinanza di rimessione.