IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Premesso  che  in  data  20 aprile 1995, all'interno della caserma
 sede del Reggimento "Lancieri di Montebello"  in  Roma,  il  militare
 Scarpato  Rocco  veniva  tratto  in arresto in flagranza dei reati di
 danneggiamento di edifici militari,  danneggiamento  di  cose  mobili
 militari  e  insubordinazione  con violenza (artt. 168, 169 e 186 del
 c.p.m.p.);
      che all'odierna  udienza  di  convalida  il  p.m.  ha  richiesto
 l'adozione  della  misura  cautelare  coercitiva  della  custodia  in
 carcere in relazione ai fatti di insubordinazione, inquadrati ex art.
 186, comma 2, del c.p.m.p.;
                             O S S E R V A
    1. - Il giorno 20 aprile 1995 il militare Scarpato Rocco poneva in
 essere,  nelle  circostanze  di   luogo   di   cui   alla   premessa,
 comportamenti  che,  oggettivamente, in linea d'accusa si prospettano
 di una certa gravita'  e  che  possono  essere  cosi'  riassunti:  il
 giovane, entrato nell'infermeria del reparto, dapprima rovesciava una
 scrivania  e  cominciava  a  danneggiare  il mobilio; successivamente
 cercava di colpire con una lampada il s. ten. med. Brugnoli  Antonio,
 che  un  paio  di  ore  prima,  in  sede  di  visita medica, lo aveva
 giudicato idoneo al servizio e che era intervenuto  per  invitarlo  a
 desistere  e  ad  uscire  dalla  sala; poiche' lo Scarpato proseguiva
 nella sua condotta, il Brugnoli, temendo per la propria  incolumita',
 usciva  quindi  dall'infermeria,  rincorso,  pero',  dal soldato, che
 continuava ad avere in mano la lampada, poi sostituita con un piccone
 tolto ad altro militare che stava  lavorando  nei  pressi  del  campo
 sportivo; inseguito a sua volta da altri militari, lo Scarpato veniva
 raggiunto e fermato e mentre si cercava di calmarlo sferrava un forte
 calcio al basso ventre del s. ten. Meacci Riccardo, che si accasciava
 a  terra per il dolore riportando un "trauma contusivo didimo sx"; lo
 Scarpato veniva infine condotto nell'infermeria, dove, preso un pezzo
 di vetro dalla sala in precedenza da lui danneggiata, lo tirava verso
 il serg. Badami Salvatore, senza peraltro colpirlo.
    Dopo l'intervento del t. col. Polla,  comandante  del  gruppo,  lo
 Scarpato  veniva  tratto  in  arresto  dai Carabinieri della stazione
 Roma-Ponte Milvio.
    Il p.m. come chiaramente si evince dal provvedimento di  convalida
 del  sequestro operato dalla polizia giudiziaria e dalla richiesta di
 convalida  dell'arresto,  ha  ravvisato  nei   fatti   i   reati   di
 danneggiamento   di   edifici   militari  (art.  168  del  c.p.m.p.),
 distruzione di cose  mobili  militari  (art.  169  del  c.p.m.p.),  e
 insubordinazione con violenza (art. 186, secondo comma, del c.p.m.p.)
 e  nell'odierna  udienza  di  convalida,  alla  luce delle precedenti
 denunce richiamate nel processo verbale  d'arresto  e  relative  agli
 analoghi reati di cui agli artt. 142, 222, 229 e 189 del c.p.m.p., ha
 richiesto,  ai  sensi  dell'art. 391, comma 3, del c.p.p., l'adozione
 della misura cautelare della custodia  in  carcere  in  relazione  ai
 fatti di insubordinazione, prospettandosi l'esigenza cautelare di cui
 all'art. 274, lett. c) del c.p.p.
    2.   -  Anche  a  voler  escludere,  sulla  base  del  verbale  di
 constatazione dei danni a fg.  11,  l'ipotesi  di  danneggiamento  di
 edifici  militari, certamente sussistono gli elementi per prospettare
 nella fattispecie il reato di danneggiamento di cose mobili  militari
 (art.  169  del  c.p.m.p.), punito nel massimo con la pena di quattro
 anni di  reclusione  militare  e  che  dunque  da  solo  facultizzava
 all'arresto dello Scarpato ex art. 381, comma 1, del c.p.p. Almeno in
 relazione  a  tale  reato, pertanto, si potrebbe certamente procedere
 sin d'ora alla convalida dell'arresto di cui trattasi.
    La richiesta di adozione di misura cautelare avanzata dal p.m. con
 riferimento  ai  fatti  di  insubordinazione  impone  pero',  per  le
 considerazioni  che  in  seguito  verranno  svolte,   una   specifica
 valutazione  circa l'effettiva ipotizzabilita' del reato previsto dal
 secondo comma dell'art. 186 del c.p.m.p.
    Al riguardo, pur essendo incontestabile la  rilevanza  degli  atti
 posti  in  essere dallo Scarpato (nell'ambito dei quali, poi, i fatti
 di insubordinazione oggettivamente si connotano per la  loro  maggior
 gravita'),  ritiene  il  giudicante, diversamente dal p.m., che, allo
 stato degli atti, il  reato  di  insubordinazione  con  violenza  sia
 prospettabile  soltanto  in  relazione  alla fattispecie prevista dal
 primo comma dell'art. 186 del c.p.m.p.
    Sul punto va precisato che, secondo costante giurisprudenza  della
 Corte  di  cassazione, il g.i.p., in sede di convalida dell'arresto e
 di adozione delle misure cautelari,  puo'  attribuire  ai  fatti  una
 qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dal p.m. (sez.
 1a,  sentenza  644  del  5  aprile 1990; sez. 1a, sentenza 168 del 13
 febbraio 1992).
    Orbene, a parere di questo giudice il comportamento  tenuto  dallo
 Scarpato  nei  confronti  del  Brugnoli non e' tale, sulla base delle
 emergenze finora acquisite, da far  prospettare  il  delitto  di  cui
 all'art.   186,  comma  2,  del  c.p.m.p.,  in  quanto,  a  parte  la
 considerazione secondo cui non si puo' escludere che la condotta  sia
 stata  attuata  per simulare uno stato patologico al fine di ottenere
 uan licenza di convalescenza, in ogni caso non emerge alcun  elemento
 da  cui  si  possa dedurre che l'arrestato abbia posto in essere atti
 idonei  diretti  in  modo   inequivoco   a   colpire   effettivamente
 l'ufficiale  con il piccone; e quand'anche cio' si ammettesse, tenuto
 conto delle circostanze di luogo in cui il fatto e'  stato  posto  in
 essere  (luogo  aperto e presenza di numerosi altri militari) e delle
 condizioni della  persona  destinataria  della  condotta  (libera  di
 muoversi e nella pienezza della propria capacita' fisica), non sembra
 che  si  possa  oggettivamente  ipotizzare  che  il  risultato lesivo
 avrebbe potuto essere  uno  di  quelli  previsti  dal  secondo  comma
 dell'art. 186 del c.p.m.p.
    Il  comportamento tenuto dallo Scarfato nei confronti del Brugnoli
 appare dunque piu' correttamente qualificabile come  insubordinazione
 con minaccia ex art. 189 del c.p.m.p. (per un caso in cui la zappa e'
 stata  ritenuta strumento di minaccia, Cass., 3 giugno 1952. Scarano)
 o tutt'al piu', ammettendo che il piccone potesse  costituire,  nella
 fattispecie,  un'arma,  come  insubordinazionje  con violenza ex art.
 186, comma 1, del c.p.m.p., stante la nozione di  violenza  precisata
 dall'art.  43  del del c.p.m.p., nella quale e' ricompreso "qualsiasi
 tentativo di offendere con armi".
    Sulla  base  del  referto  di  lesione  traumatica  in  atti,  che
 stabilisce  in  un  giorno la prognosi di guarigione, risulta inoltre
 inquadrabile nel solo primo comma dell'art. 186 del c.p.m.p. anche la
 condotta posta in essere dallo Scarpato nei  confronti  del  s.  ten.
 Meacci;  evidentemente  fuori  dalla  previsione  del  secondo  comma
 dell'art. 186 del c.p.m.p. e' poi il tentativo di  colpire  il  serg.
 Badami operato dallo Scarpato lanciandogli un frammento di vetro.
    3.  -  Escluso  che  taluno dei fatti di insubordinazione posti in
 essere dallo Scarpato concretizzi l'ipotesi  criminosa  prevista  dal
 secondo   comma   dell'art.   186   del  c.p.m.p.,  la  richiesta  di
 applicazione  di  misura  cautelare  coercitiva  avanzata  dal   p.m.
 dovrebbe   essere   in   ogni  caso  rigettata,  precisando  da  ogni
 valutazione nel merito circa l'effettiva sussistenza  delle  esigenze
 cautelari  indicate  dall'art.  274  del c.p.m.p., per mancanza delle
 condizioni di applicabilita' previste dall'art. 280 del c.p.p.,  dato
 che  la  pena  edittale  per  la  fattispecie di insubordinazione con
 violenza prevista dal primo comma dell'art. 186 del  c.p.m.p.  va  da
 uno a tre anni di reclusione militare.
    Poiche',    peraltro,    l'accertamento    delle   condizioni   di
 applicabilita' stabilite dall'art.  280  del  c.p.p.  costituisce  un
 prius  logico  rispetto  alla  valutazione  delle  effettive esigenze
 cautelari che, nei singoli casi, legittimano l'adozione di una misura
 cautelare,  ritiene  questo  giudice  che  diventi  in  questa   sede
 rilevante,  e  tale  da  essere sollevata di ufficio, la questione di
 costituzionalita' degli artt. 381, comma 2, lett. c),  del  c.p.p.  e
 207   disp.   att.   del   c.p.p.,  in  relazione  all'art.  3  della
 Costituzione, nella parte  in  cui  non  consentono  la  possibilita'
 dell'arresto  facoltativo  anche  nei  casi  di  insubordinazione con
 violenza (art. 186, comma 1, del c.p.m.p.), come invece previsto  per
 il  reato  di  violenza  o  minaccia a un pubblico ufficiale previsto
 dall'art. 336, comma 2, del c.p.
    Invero, stante il disposto  del  secondo  periodo  dell'art.  391,
 comma  5, del c.p.p., secondo cui "quando l'arresto e' stato eseguito
 per uno dei delitti indicati nell'art. 381, comma  2,  l'applicazione
 della  misura  e'  disposta  anche  al  di  fuori dei limiti previsti
 dall'art.  280",  e'  evidente  che  l'eventuale  accoglimento  della
 questione,  consentendo di ricomprendere, in sede di convalida, anche
 il reato di insubordinazione p. e p.  dell'art.  186,  comma  1,  del
 c.p.m.p. tra quelli per i quali si poteva procedere all'arresto dello
 Scarpato,  permetterebbe  di  superare la preclusione derivante dalla
 pena massima,  non  superiore  ai  tre  anni  e  di  conseguentemente
 valutare  nel  merito,  sotto il profilo delle esigenze cautelari, la
 richiesta di misura coercitiva avanzata dal p.m.
    4. -  La  questione,  d'altra  parte,  non  appare  manifestamente
 infondata.
    E'  noto  che  con  sentenza  n.  503/1989 la Corte costituzionale
 dichiaro' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 308 del c.p.m.p.,
 che senza alcuna  giustificazione  prevedeva  l'arresto  di  chiunque
 fosse  colto  "in  flagranza  di  un  reato militare, punito con pena
 detentiva o con pena piu' grave". Nell'occasione  lo  stesso  giudice
 delle   leggi   esplicitamente   preciso':   "Le   conseguenze  della
 declaratoria di illegittimita' dell'art. 308, comma 1, sono evidenti:
 a determinare i casi di arresto in flagranza nei confronti  di  reati
 militari  commessi  da  militari  non potranno che essere, allo stato
 della legislazione, le disposizioni del  diritto  processuale  penale
 ordinario (artt. 380 e 381 del c.p.p. del 1988, subentrati agli artt.
 235 e 236 del c.p.p. del 1930".
    Il  fatto,  pero',  che  l'art.  381,  comma 2, del c.p.p. elenchi
 tassativamente i reati comuni per i quali e' consentito il cosiddetto
 "arresto  eccezionale",  comporta  che,  in  concreto,  non  si  puo'
 attualmente   procedere   all'interruzione  dell'attivita'  criminosa
 flagrante in relazione a reati militari che hanno  identici  elementi
 costitutivi  dei  reati comuni indicati nel citato art. 381, comma 2l
 del c.p.p. (per fare degli esempi: furto militare, previsto dall'art.
 230,  del  c.p.m.p.  o  lesione personale, prevista dall'art. 223 del
 c.p.m.p., anche se per  tali  reati,  puniti  nel  massimo  con  pena
 inferiore  ai  tre  anni, mancherebbe il requisito previsto dal n. 32
 della legge delega per l'emanazione del  nuovo  codice  di  procedura
 penale).
    In  dottrina e' stata gia' evidenziata la "clamorosa differenza di
 trattamento tra reati comuni e  reati  militari"  e  davvero  non  si
 rinviene,  in  linea  di  principio,  un fondamento razionale di tale
 destinazione. Sembra  invero  difficile  negare  come,  di  fronte  a
 delitti  comuni  e  militari  identicamente strutturati, la frequente
 situazione di coabitazione all'interno delle caserme  tra  agente  ed
 offeso  dal reato militare nonche' intuitive esigenze di disciplina e
 di coesione nei reparti dovrebbero far ritenere opportuna l'immediata
 interruzione della condotta criminosa anche nell'ambito militare.
    In realta', si e' anche  qui  probabilmente  in  presenza  di  "un
 effettivo  perverso  della  sentenza n. 503 del 1989", come la stessa
 Corte costituzionale defini', nella sentenza n. 469/90, la situazione
 venutasi  a  creare,   dopo   la   declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  308  del  c.p.m.p.,  a proposito di quegli
 imputati per reati di mancanza alle  chiamate  e  di  diserzione  nei
 confronti  dei  quali  non si poteva procedere in contumacia ai sensi
 dell'art. 377 del c.p.m.p.
    In questa sede, peraltro, al di la' di considerazioni di carattere
 generale, si vuole prospettare la  palese  irragionevolezza  di  tale
 discriminazione,  come  posta  dall'art.  381,  comma 2, lett. c) del
 c.p.p. tra  il  reato  comune  di  violenza  o  minaccia  a  pubblico
 ufficiale  (art.  336,  comma  2,  del  c.p.)  e  quello  militare di
 insubordinazione con violenza (art.  186,  comma  1,  del  c.p.m.p.),
 nella fattispecie ipotizzabile a carico dello Scarpato.
    Occorre  premettere  che,  in  base  alla  pena  edittale per essi
 stabilita, e' sempre consentito, ai sensi dell'art. 331, comma 1, del
 c.p.p., l'arresto facoltativo in flagranza per i reati di violenza  o
 minaccia  nei  confronti  del pubblico ufficiale previsti dagli artt.
 336, comma 1, e 337 del c.p.
    In questo quadro la lettera c) del comma 2 del citato art. 381 del
 c.p.p. (come modificato dall'art. 22 del d.lgs.  n.  12/1991)  ha  la
 funzione  di estendere la possibilita' dell'arresto facoltativo anche
 all'ipotesi criminosa p. e p. dall'art. 336, comma 2, del  c.p.,  per
 la quale esso non sarebbe altrimenti consentito in ragione della pena
 edittale  massima  ivi  prevista, uguale a quella stabilita dall'art.
 186, comma 1, del c.p.m.p.
    Appare allora costituzionalmente illegittimo, per  violazione  del
 principio    di   ragionevolezza   desumibile   dall'art.   3   della
 Costituzione, l'art. 381, comma 2, lett. c) del c.p.p., in  relazione
 all'art.  207  delle  disposizioni di attuazione dello stesso codice,
 nella parte in cui non consente l'arresto  facoltativo  in  flagranza
 anche per il reato di insubordinazione con violenza p. e p. dall'art.
 186, comma 1, del c.p.m.p.
    Invero,  anche  dopo  la  legge  n. 689/1985, che ha profondamente
 innovato la disciplina dei reati di insubordinazione e  di  abuso  di
 autorita'  contenuti  nel c.p.m.p., si ritiene che tali delitti siano
 in rapporto di specialita' rispetto alla normativa comune concernente
 i delitti dei privati contro pubblici ufficiali (Cass.,  Sez.  1›,  2
 ottobre  1986,  c.  Le  Rose),  onde appare del tutto irrazionale che
 soltanto  per  i primi con si possa procedere all'arresto facoltativo
 in flagranza.
   Basti pensare che l'estraneo alle forze armate che  all'interno  di
 una caserma ponesse in essere comportamenti violenti o minacciosi nei
 confronti,  per esempio, di un ufficiale di picchetto potrebbe essere
 arrestato in flagranza ex art. 336  del  c.p.;  se  pero'  lo  stesso
 comportamento  lo ponesse in essere insieme ad un militare, stante il
 mutamento del titolo del reato ex art. 117 del c.p., nessuno dei  due
 potrebbe  essere  arrestato  (tranne, ovviamente, che la violenza non
 sia tale da integrare il reato di cui al secondo comma dell'art.  186
 del c.p.m.p.).
    D'altra  parte,  in riferimento al contenuto dell'offesa, la Corte
 costituzionale, nell'escludere che la  scriminante  speciale  di  cui
 all'art.  4  d.lgs.lgt.  n.  288/1944  possa  operare  per i reati di
 insubordinazione,  ha  testualmente  precisato  che  la   prospettiva
 dell'indicata scriminante "e' il rapporto del cittadino nei confronti
 della  pubblica  amministrazione, al cui rappresentante e' dovuta, al
 piu', la deferenza di civilta' che il costume comporta nei  confronti
 di  chi  ne  esercita le funzioni. Ma nell'ordinamento militare vi si
 aggiunge il rispetto del  rapporto  gerarchico-dsciplinare  cui  ogni
 militare  e' soggetto nei confronti del superiore in grado" (sentenza
 n. 278/1990).
    La preclusione all'arresto in flagranza  assume  poi  un'ulteriore
 profilo  di irragionevolezza di carattere esclusivamente processuale:
 posto che una delle motivazioni che generalmente vengono addotte  per
 giustificare  l'esistenza  della  giurisdizione  penale  militare  e'
 quella  di  assicurare,  almeno  tendenzialmente,  una  piu'   celere
 definizione  dei  procedimenti  concernenti i reati militari, appare,
 poi, del tutto incongruo che, di fatto, non si  possa  procedere  con
 giudizio  direttissimo  ex  art.  449  del  c.p.p.  (per mancanza del
 presupposto dell'arresto in flagranza) in casi in cui fatti  analoghi
 potrebbero  essere  perseguiti  con  quel procedimento speciale se di
 competenza dell'a.g. ordinaria.
    5.  -  L'obiezione  secondo  cui,  in  caso  di  accoglimento,  la
 decisione  avrebbe  in  effetto  in  malam  partem non appare tale da
 precludere la questione.
    Innanzitutto, a ben vedere, l'eventuale declaratoria  si  potrebbe
 piuttosto  come  ulteriore esplicazione della sentenza n. 503/89, che
 opportunamente espunse dall'ordinamento una norma di maggior  sfavore
 posta per i militari dall'art. 308 del c.p.m.p.
    In  secondo  luogo,  gia'  la  Corte costituzionale e' intervenuta
 nell'ambito del  procedimento  penale  militare  per  eliminare  "uno
 strano  e  ingiustificato  privilegio",  nel momento in cui dichiaro'
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 377 del c.p.m.p.,  che  non
 consentiva il procedimento in contumacia nei confronti degli imputati
 dei  reati  di  diserzione  e  di  mancanza  alla chiamata non ancora
 cessati (sentenza n. 469/1990 gia' richiamata).
    7. - Ricorrono dunque gli elementi, a parere  di  questo  giudice,
 per  dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione
 dianzi esposta; in caso di  ritenuta  fondatezza,  potra'  ovviamente
 valutare  la  Corte  costituzionale  se,  ai sensi dell'art. 27 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87, ricorrano le condizioni per estendere gli
 effetti della declaratoria al reato di insubordinazione con  minaccia
 (art.  189,  comma  1, del c.p.m.p.) e ai reati di abuso di autorita'
 con  violenza e con minaccia (artt. 195, comma 1, e 196, comma 1, del
 c.p.m.p.).
    Il giudizio di convalida dell'arresto in flagranza dello  Scarpato
 va    dunque   sospeso   con   contestuale,   immediata   liberazione
 dell'indagato, cui si provvedera' con apposito provvedimento; d'altra
 parte, acquisendo l'indagato lo stato di liberta',  viene  meno,  per
 costante  giurisprudenza,  il  termine  perentorio  per  definire  il
 subprocedimento di convalida dell'arresto.