ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 621 del codice
 di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 5 novembre  1994
 dal   Pretore   di   Rovigo,  sezione  distaccata  di  Lendinara  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Dainese  Tiziano  e  Cortellazzi
 Ermando  ed  altro  iscritta  al  n. 13 del registro ordinanze 1995 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  5,  prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  31  maggio  1995  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  del 5 novembre 1994, il Pretore di
 Rovigo sezione distaccata di Lendinara ha riproposto la  questione  -
 come  egli  stesso ricorda gia' piu' volte negativamente decisa dalla
 Corte (da ultimo, in  fattispecie  identica  a  quella  odierna,  con
 ordinanza n. 233 del 1986) - di legittimita' costituzionale dell'art.
 n.  621  cod.  proc.  civ., "nella parte in cui non consente al terzo
 opponente di provare con testimoni il suo diritto di  proprieta'  sui
 beni  mobili pignorati nella casa del debitore, quando l'esistenza di
 tale diritto sia  resa  verosimile  (come  nella  specie)  dalla  sua
 qualita' di genitore convivente con il debitore";
      che,  in  particolare,  ad  avviso  del  giudice a quo, la norma
 denunciata violerebbe: a) l'art. 3 Cost. per  irrazionale  disparita'
 di  trattamento  tra  il genitore convivente con il debitore ed altri
 terzi opponenti non conviventi, i quali possono, invece,  sulla  base
 di  altre  verosimiglianze - la professione o il commercio esercitato
 dal terzo o dal debitore - provare con testimoni il loro diritto;  b)
 l'art.   24   Cost.,  perche'  sarebbe  sostanzialmente  svuotata  di
 contenuto  la  possibilita',  per  il  genitore  convivente  con   il
 debitore, di agire in giudizio a tutela dei propri diritti;
      che  inoltre,  sempre  secondo  il  Pretore rimettente, la norma
 stessa "non rende un buon servizio all'istituto della famiglia (artt.
 29-31 Cost.), considerato anche che  il  mutato  costume  sociale  ha
 allungato  a  dismisura i tempi della convivenza dei figli con i loro
 genitori prima del matrimonio";
      che e' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri, il quale, per tramite dell'Avvocatura generale dello Stato,
 ha concluso per l'infondatezza della questione, rilevando che essa e'
 stata  gia'  esaminata  dalla  Corte  e  dichiarata  non  fondata con
 sentenza n. 112 del 1970 e manifestamente infondata con ordinanze  n.
 184 del 1970, n. 223 del 1974; n. 233 del 1986;
    Considerato che, come rilevato pure dalla Avvocatura, la questione
 sollevata  e'  stata  gia'  dichiarata non fondata dalla Corte con le
 richiamate pronunce;
      che, in particolare, la norma censurata - la  quale  ammette  il
 ricorso  alla  prova  testimoniale  (senza  escludere  tuttavia mezzi
 istruttori diversi da questa) nel solo caso in  cui  l'esistenza  del
 diritto  dell'opponente  "sia resa verosimile dalla professione o dal
 commercio esercitati dal terzo o dal debitore" -  si  inquadra,  come
 piu'   volte   sottolineato,   in   un  sistema  che,  a  tutela  del
 soddisfacimento dei diritti di credito contro  possibili  fraudolenti
 situazioni,  fa  derivare  dall'ubicazione  dei  beni da pignorare la
 presunzione legale della loro appartenenza al  debitore:  presunzione
 che  puo'  essere  vinta,  secondo  le  regole generali, soltanto nei
 limiti autorizzati dalla legge;
      che, pertanto, non vi e' violazione dell'art. 24 Cost.,  essendo
 ius  receptum che l'esercizio del diritto di difesa puo' sottostare a
 limitazioni  imposte  dall'esigenza   di   armonizzare   contrapposti
 interessi  sostanziali;  ne'  dell'art.  3  Cost.,  in quanto, per le
 ragioni esposte, la norma deve ritenersi  rispondente  a  criteri  di
 razionalita';
      che  la palese infondatezza della questione discende anche dalla
 mancata prospettazione da parte del Pretore  a  quo  di  alcun  nuovo
 argomento  a  sostegno  del  chiesto  suo  riesame,  in  relazione ai
 parametri su citati, e si estende pure ai profili di violazione  (per
 altro  neppure,  come tale, esplicitamente dedotta) degli artt. 29-31
 della Costituzione stante l'evidente ragionevolezza del  limite  alla
 prova  orale  in  un  contesto  di  convivenza  in  cui e' ancor piu'
 accentuato il pericolo di elusione della tutela creditoria;
    Visti  gli artt. 20, secondo comma, legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9,
 secondo comma, delle Norme integrative per  i  giudizi  dinanzi  alla
 Corte costituzionale;