ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, primo comma,
 della  legge  2  dicembre  1975,  n.  576 (Disposizioni in materia di
 imposte sui redditi e  sulle  successioni),  promosso  con  ordinanza
 emessa  il  18  maggio  1994  dalla  Corte  d'appello  di  Milano nel
 procedimento civile vertente tra Riva Adele e l'Amministrazione delle
 finanze dello Stato, iscritta al n. 790 del registro ordinanze 1994 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  4,  prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto l'atto di costituzione di Riva Adele;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 31 maggio 1995 il Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Riva Adele e
 l'Amministrazione delle Finanze dello Stato  la  Corte  d'Appello  di
 Milano,  con  ordinanza  emessa  il  18 maggio 1994, ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 3, primo  comma,  e  53,  primo  comma,  della
 Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 8,
 primo comma, della legge 2 dicembre 1975,  n.  576  (Disposizioni  in
 materia  di  imposte sui redditi e sulle successioni), nella parte in
 cui  esclude  che  i  ruoli  dell'imposta   complementare,   cui   fa
 riferimento  la stessa norma, costituiscano titolo per la riscossione
 nei confronti della moglie  ove  l'imposta  sia  stata  definita  dal
 marito ai sensi del decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660, convertito
 nella legge 19 dicembre 1973, n. 823.
    Premette  in  fatto  il  giudice  a  quo che l'Esattoria civica di
 Milano aveva notificato alla Signora Riva - quale corresponsabile del
 pagamento ai sensi dell'art. 8, primo comma, della legge  2  dicembre
 1975,   n.   576  -  quattro  avvisi  di  mora  relativi  all'imposta
 complementare per gli anni 1963-1973 dovuta dal marito; che  la  Riva
 aveva   proposto   ricorso   alla  Commissione  tributaria  chiedendo
 l'annullamento degli avvisi, deducendo di essere separata dal  marito
 fin dal 1970, di avere, quale autonomo soggetto d'imposta, presentato
 domanda  di  condono relativamente agli anni 1971 e successivi, e che
 analoga domanda di condono era stata presentata dal  marito  riguardo
 agli  anni  1963-1973;  che  la  Commissione aveva accolto il ricorso
 limitatamente agli anni 1970-1973, rigettandolo per il resto,  e  che
 tale decisione, confermata dalla stessa Corte d'appello, era stata in
 seguito  cassata  (con  rinvio  ad  altra  sezione)  dalla  Corte  di
 cassazione sulla base del rilievo che, per effetto della  domanda  di
 definizione  agevolata ai sensi del decreto-legge n. 660 del 1973, si
 determina l'esaurimento dei rapporti tributari.
    Tanto premesso, osserva il rimettente che l'art. 8,  primo  comma,
 della  legge  2 dicembre 1975, n. 576 - come interpretato dalla Corte
 di cassazione - si pone in contrasto con l'art. 3, primo comma, della
 Costituzione, non essendo ragionevolmente spiegabile  il  motivo  per
 cui  il  ruolo  dell'imposta  complementare dovuta dal marito per gli
 anni 1974 e antecedenti riferita al reddito complessivo,  comprensivo
 di  quello  della  moglie,  costituisca titolo per la riscossione nei
 confronti  di  quest'ultima  solo  se  vi  sia   stato   accertamento
 definitivo  da  parte  dell'Ufficio,  ma  non  se l'imposta sia stata
 "definita per condono" sulla base del citato decreto-legge n. 660 del
 1973; le due situazioni, invero,  ritiene  il  giudice  a  quo,  sono
 sostanzialmente  identiche  operando in entrambe il regime del cumulo
 dei redditi, ed essendo in entrambe  stato  accertato  l'  an  ed  il
 quantum dell'imposta.
    A   parere  del  giudice  a  quo,  inoltre,  l'impossibilita'  per
 l'amministrazione finanziaria di agire, in sede di riscossione, anche
 nei confronti della moglie si traduce nella  impossibilita'  concreta
 di  realizzare  la  pretesa  tributaria  e  quindi in una sostanziale
 violazione dell'art. 53, primo comma, della Costituzione, quanto meno
 relativamente  all'imposta  dovuta  con  riguardo  ai  redditi  della
 moglie.
    Si  e'  costituita  fuori  termine la parte privata, mentre non ha
 spiegato intervento l'Avvocatura Generale dello Stato.
                        Considerato in diritto
    1. - La  Corte  d'appello  di  Milano  dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 8, primo comma, della legge 2 dicembre 1975,
 n.  576  (Disposizioni  in  materia  di  imposte  sui redditi e sulle
 successioni), nella parte in cui - come interpretato dalla  Corte  di
 cassazione   -   esclude   che  i  ruoli  dell'imposta  complementare
 costituiscano titolo per la riscossione nei  confronti  della  moglie
 ove  l'imposta  stessa  sia  stata definita per condono dal marito ai
 sensi del decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660.
    Ad avviso del giudice a quo la norma impugnata contrasterebbe:
      con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto,  nella
 (ritenuta)   identica  ipotesi  di  accertamento  d'ufficio  divenuto
 definitivo, il ruolo dell'imposta complementare dovuta dal  marito  e
 comprensiva  dei  redditi  della  moglie  costituisce  titolo  per la
 riscossione nei confronti di quest'ultima;
      con l'art.  53,  primo  comma,  della  Costituzione,  in  quanto
 l'impossibilita'  dell'amministrazione finanziaria di agire anche nei
 confronti  della  moglie  non  consente  di  realizzare  la   pretesa
 tributaria.
    2. - La questione e' ammissibile, ma infondata nel merito.
    Circa  l'ammissibilita'  va  ricordato  il  costante  indirizzo di
 questa Corte, secondo il quale il giudice di rinvio  puo'  sollevare,
 come   avviene   nel  caso  di  specie,  dubbi  di  costituzionalita'
 concernenti l'interpretazione normativa risultante dal "principio  di
 diritto"  enunciato  dalla  Corte  di  cassazione,  dovendo  la norma
 ricevere ancora applicazione nella fase di rinvio.
    Va inoltre ricordato che si ha questione di mera  interpretazione,
 e  non  di  costituzionalita',  soltanto  nei  casi in cui il giudice
 rimettente  non  individua  profili  di  contrasto  con   determinati
 parametri  costituzionali o in quelli in cui, anche se formalmente li
 indica, in realta' chiede alla Corte di avallare determinate  ipotesi
 interpretative   senza  sostanzialmente  prospettare,  riguardo  alle
 interpretazioni assunte, dubbi di legittimita' costituzionale (v., da
 ultimo, sentenza n. 58 del 1995; ordinanza n. 274 del 1991;  sentenza
 n. 30 del 1990).
    3.  -  Nel  merito  e'  opportuno premettere che la moglie ha dato
 prova di essere personalmente separata dal marito dal 1970 e di  aver
 fatto  delle distinte dichiarazioni dei suoi redditi da detto anno in
 poi, condonando per questo  periodo  i  suoi  debiti  d'imposta.  Pur
 essendo  stati  notificati alla Adele Riva avvisi di mora relativi al
 decennio 1963-1973, ai fini del presente giudizio il problema  e'  se
 per  i debiti tributari relativi agli anni 1963-1969 - per i quali in
 regime di cumulo di tutti i redditi familiari era stato il  marito  a
 presentare  la  dichiarazione  e  poi  la  domanda di condono - possa
 l'amministrazione  finanziaria   agire   esecutivamente   anche   nei
 confronti della predetta moglie.
    La   disciplina  applicabile  a  questo  problema  e'  stata  gia'
 interpretata  dalla  Corte  di  cassazione   -   diversamente   dalle
 Commissioni  tributarie e dalla Corte d'appello - nel senso che detta
 azione esecutiva deve ritenersi preclusa; ma  il  giudice  di  rinvio
 ritiene  che  tale  interpretazione,  alla  quale  egli  e' tenuto ad
 uniformarsi,  sia  viziata  di  incostituzionalita'  per   violazione
 dell'art. 3 e dell'art. 53 della Costituzione.
    4.  -  La  Corte  d'appello considera preliminarmente che la norma
 impugnata - per le dichiarazioni presentate  dal  contribuente  nella
 vigenza  della disciplina sul cumulo dei redditi familiari - consente
 espressamente all'amministrazione finanziaria di agire esecutivamente
 anche nei confronti della moglie (riconoscendole peraltro la facolta'
 di proporre ricorso avverso il ruolo) "a seguito di  accertamenti  in
 rettifica  o d'ufficio del reddito complessivo comprensivo di redditi
 della moglie". Il giudice a quo ritiene  tuttavia  costituzionalmente
 illegittimo  che  analogo  trattamento  non  sia  stato  previsto per
 l'ipotesi in cui la definitivita' della pretesa  tributaria  discenda
 dall'accoglimento  della  domanda  di condono. Osserva in particolare
 che nell'uno e  nell'altro  caso  opera  il  regime  del  cumulo  dei
 redditi;  nell'uno e nell'altro caso, l' an e il quantum dell'imposta
 sono stati definitivamente accertati e determinati, dovendosi  ancora
 adempiere   l'obbligazione   tributaria,  e  rileva  come  sia  arduo
 individuare i motivi  che  possano  ragionevolmente  giustificare  la
 diversa regolamentazione dettata per le due ipotesi.
    5.  -  Questa  Corte  ritiene  al  contrario che sussistano motivi
 giustificatori  della   diversa   regolamentazione   delle   predette
 situazioni  messe  a  raffronto.  Ed  invero il citato art. 8, per le
 ipotesi in cui l'accertamento definitivo sia stato intestato al  solo
 marito,  consente  l'iscrizione  a  ruolo  e  l'esecuzione  anche nei
 confronti  della  moglie  (cosi'   estendendo   a   quest'ultima   la
 soggettivita'  passiva  di  imposta),  ma nel contempo ammette questo
 secondo   soggetto   ad   impugnare   il   ruolo    per    dimostrare
 l'illegittimita' totale o parziale della pretesa tributaria.
    Tale  sistema  non  e'  pero'  assimilabile a quello in cui vi sia
 stata domanda di condono fiscale accettata  dall'amministrazione;  in
 questa  diversa  ipotesi,  invero,  non  e'  piu'  consentita  alcuna
 contestazione del presupposto impositivo; per cui non puo' estendersi
 ad altri la soggettivita' passiva tributaria.
    L'istituto del condono, infatti, costituisce una forma atipica  di
 definizione  del  rapporto  tributario,  che  prescinde da un'analisi
 delle varie componenti dei redditi ed esaurisce  il  rapporto  stesso
 mediante  definizione  forfettaria  e immediata, nella prospettiva di
 recuperare risorse finanziarie e ridurre  il  contenzioso  e  non  in
 quella   dell'accertamento   dell'imponibile.   In   particolare,  la
 disciplina  del  decreto-legge  n.  660  del  1973  prevedeva   anche
 l'irrevocabilita'  (art.  10)  e  la  definitivita'  (art.  11) della
 dichiarazione di condono, realizzando cosi' un fenomeno di estinzione
 del  rapporto  originario  ed  il  sorgere  di  un  nuovo   rapporto,
 cristallizzato  fino  al  punto da escludere modifiche anche da parte
 dell'ufficio per casi che non fossero quelli dell'errore materiale  o
 della violazione delle disposizioni del decreto stesso di condono. In
 tale situazione l'unico soggetto passivamente obbligato restava colui
 che aveva presentato la dichiarazione dei redditi e che aveva chiesto
 il condono.
    6. - Inoltre, il legislatore, intervenuto con la legge 12 novembre
 1976,  n.  751  a  dettare "norme per la determinazione e riscossione
 delle  imposte  sui  redditi  dei  coniugi  per  gli  anni   1974   e
 precedenti",  mentre  ha consentito (art. 4, primo comma) a "ciascuno
 dei coniugi di chiedere, con effetto anche per l'altro  coniuge,  che
 l'imposta   sia   applicata  separatamente  sulla  base  di  apposita
 dichiarazione  all'ufficio  dell'imposte  al  quale   doveva   essere
 presentata la dichiarazione unica", ha - nel terzo comma dello stesso
 articolo  -  escluso  tale  facolta' (e quindi escluso la conseguente
 tassazione separata) in tre  casi:  "quando  il  reddito  complessivo
 netto  e'  stato  determinato  sinteticamente,  ovvero  con decreto o
 sentenza passata in giudicato, o quando e' stato  definito  ai  sensi
 del  decreto-legge  5  novembre  1973,  n.  660" (e cioe' per condono
 fiscale).
    La ratio che accomuna queste  tre  ipotesi  e'  ravvisabile  nella
 impossibilita'  o  nella  estrema  difficolta'  per l'amministrazione
 tributaria di operare una distinzione  nell'ambito  dell'accertamento
 compiuto  attraverso  il  criterio  sintetico,  o  di  modificare  la
 titolarita' del rapporto risultante da un  giudicato  o  dal  condono
 fiscale chiesto da un determinato soggetto.
    Se,  quindi,  questa  peculiare  forma di esaurimento del rapporto
 tributario non e'  assimilabile  alla  sua  normale  definizione,  la
 disciplina  relativa,  concernendo  situazioni  disomogenee, non puo'
 essere censurata ex art. 3 della Costituzione.
    7. - L'ordinanza di rimessione denunzia anche  la  violazione  del
 principio  della  capacita'  contributiva previsto dall'art. 53 della
 Costituzione in quanto, pur essendo Adele Riva titolare della maggior
 parte dei redditi cui si riferisce  l'imposta  in  contestazione,  la
 stessa   non   risponde   del   pagamento  dei  tributi,  nemmeno  se
 l'amministrazione finanziaria non riesca a riscuoterli dal marito che
 risulta non possidente.
    La censura non puo'  essere  accolta  per  la  considerazione  che
 discende  da quanto precedentemente osservato: e cioe' che la moglie,
 nel sistema anteriore  al  decumulo  dei  redditi  familiari  (ed  in
 mancanza  di  una possibile distinzione successiva), non era soggetto
 coobbligato del debito d'imposta, ma di  questo  rispondeva  solo  il
 marito,  considerato  dalla  legge  unico  soggetto  passivo anche in
 ordine a tutti i beni, pur calcolati  in  sede  di  accertamento  nel
 sistema di cumulo dei redditi.
    Nel  vigore di detto sistema, invero, la Corte di cassazione aveva
 costantemente ritenuto che la moglie, i cui redditi venivano cumulati
 con  quelli  del  marito  al  fine   dell'accertamento   dell'imposta
 complementare,  non  era  coobbligata nel debito del marito e non era
 assoggettabile ad esecuzione esattoriale,  nemmeno  limitatamente  ai
 beni   producenti   i   redditi   oggetto   del   cumulo.  Ne  deriva
 l'inconferenza del richiamo all'art. 53 della  Costituzione,  che  si
 riferisce   alla   capacita'   contributiva   dei   soggetti  passivi
 dell'imposta ma non di quelli che tale  titolarita'  non  posseggono.
 Ne'  rileva  -  ai  fini  dello  stesso  art.  53  - che la capacita'
 contributiva del marito non corrisponda piu' a quella della famiglia,
 essendo stato affermato da questa Corte (sentenza. n.  45  del  1964)
 che   "per   capacita'   contributiva   s'intende   l'idoneita'   del
 contribuente a corrispondere la prestazione coattivamente imposta,  e
 tale  idoneita'  deve  porsi  in  relazione, non gia' con la concreta
 capacita' di ciascun contribuente ma  col  presupposto  al  quale  la
 prestazione  stessa  e'  collegata  e  con  gli  elementi  essenziali
 dell'obbligazione tributaria".