IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al ruolo generale come sopra indicato, promossa con ricorso notificato in data 27 gennaio 1992, causa discussa alla udienza collegiale del giorno 16 febbraio 1994 da Roncaglioni Giuliana rappresentata e difesa dall'avv. Fabio Vimercati, come da mandato a margine del ricorso, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, ricorrente, contro fallimento E.C.M. s.r.l. in persona del curatore avv. Pasquale Corrado, contumace, convenuto. Sullo svolgimento del processo. Con ricorso notificato il 27 gennaio 1992, Roncaglioni Giuliana proponeva ricorso ex art. 98 legge fallimentare avverso il provvedimento con il quale il giudice delegato del fallimento E.C.M. s.r.l. aveva escluso il credito per difetto di prova sull'espletamento e sull'onerosita' dell'incarico; chiedeva quindi l'ammissione al passivo, in via privilegiata, per l'importo di L. 30.000.000. A supporto del ricorso deduceva che il credito era maturato per prestazioni di consulenza e collaborazione in materia contabile e bancaria, che in particolare aveva tenuto rapporti con gli istituti di credito e aveva redatto la "prima nota". Alla prima udienza compariva il curatore senza costituirsi. Dimessi documenti e dichiarata la contumacia della curatela, assunte le prove orali, la causa veniva trattenuta in decisione alla udienza collegiale del 16 febbraio 1994 sulle conclusioni delle parti quali riportate in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE Due sono le questioni che il Tribunale deve esaminare: a) l'esistenza del diritto alla corresponsione di un compenso per l'attivita' svolta; b) la qualificazione del rapporto e la sussistenza di una causa di prelazione. Quanto alla questione sub a), va osservato che le prove raccolte offrono sufficienti elementi per affermare che la sig.ra Roncaglioni abbia svolto attivita' nell'interesse della E.C.M. Il teste Luisa Pizzarelli ha dichiarato che la ricorrente si occupava direttamente (e da sola) dei rapporti con gli istituti di credito, in particolare redigendo la "prima nota". Il teste Angela Andriola ha confermato tali circostanze, precisando che la Roncaglioni espletava la propria attivita' fuori dai locali della societa', presso una consociata. La difesa della ricorrente ha prodotto i registri contenenti la "prima nota" dei rapporti bancari che recano la scritturazione della opponente. In tale contesto deve presumersi l'onerosita' dell'incarico, diversamente da quanto assunto nel provvedimento di esclusione dallo stato passivo. Per quanto attiene alla determinazione del compenso, il primo teste ha ricordato che - forse - il compenso era stato fissato in L. 2.500.000 mensili al lordo della r.a. Va segnalato che l'opponente ha chiesto l'insinuazione al passivo per una annualita' e quindi per l'importo di L. 30.000.000. Non vi e' alcuna prova di tale circostanza, ma l'onere probatorio di dimostrare il pagamento, ex art. 2697 c.c. incombeva sulla convenuta curatela, sicche' la somma puo' venire ammessa al passivo. Sulla qualificazione del rapporto. Per cio' che riguarda la questione sub b), il collegio avverte una discrasia fra il contenuto delle deposizioni testimoniali e il contenuto della procura gestoria del 28 maggio 1988 dalla quale sembrerebbe di capire che alla Roncaglioni erano stati affidati compiti affatto diversi e assai piu' importanti. Nondimeno va considerato che non essendo stata raccolta alcuna prova sul fatto che l'opponente abbia utilizzato la procura, devono reputarsi convincenti le risultanze della prova testimoniale. L'opponente ha chiesto l'ammissione del proprio credito in via privilegiata senza specificare la causa di prelazione ma lasciando trasparire che si dovrebbe applicare l'art. 2751-bis, n. 2, del c.c. Il collegio non ritiene di condividere siffatta prospettazione in quanto va escluso che l'attivita' svolta dalla Roncaglioni possa essere qualificata di natura intellettuale. Redigere la "prima nota" e' una attivita' compilativa dalla quale esula ogni intervento "intellettuale", cosi' come i rapporti con gli istituti di credito, per quanto e' emerso in istruttoria si sostanziavano in una serie di contatti di carattere operativo. Se si risolvesse la questione in questi termini, dovendo al contempo escludersi la ricorrenza di una prestazione di lavoro subordinato, mai invocata dall'opponente, alla Roncaglioni non spetterebbe altro che la collocazione del proprio credito al passivo chirografario. V'e' da chiedersi allora se la prestazione di lavoro autonomo (e non intellettuale) non sia ingiustificatamente trattata in modo piu' deteriore rispetto ad altre attivita' lavorative. Sulla prestazione di lavoro autonomo e sui privilegi di cui all'art. 2751-bis del c.c. Scorrendo l'elenco delle cause di prelazione ci si avvede che nessuna disposizione tutela, sotto il profilo del riconoscimento di un privilegio, il lavoro autonomo. Vi e' una norma, l'art. 2751-bis del c.c. che contempla le cause di prelazione che attengono ad obbligazioni sorte nell'ambito di prestazioni di natura esplicitamente o latamente lavorativa, ma nessuna di queste previsioni comprende il lavoro autonomo. E' noto che in materia di privilegi si ritiene applicabile il principio del divieto dell'interpretazione analogica sul presupposto della natura eccezionale della normativa che prevede le cause di prelazione rispetto al principio della par condicio creditorum. Questo indirizzo trova conferma in vari pronunciamenti delle corti di merito e di legittimita' (fra le piu' recenti, Cass. 30 marzo 1992, n. 3878; Cass. 27 febbraio 1990, n. 1510). Resta quindi all'interprete solo la facolta' di far uso dell'interpretazione estensiva che, peraltro, in questa materia e' di difficile configurazione attesa la analiticita' della legislazione. Se si pone attenzione alla norma di cui all'art. 2751-bis del c.c. e' intuitivo che una operazione ermeneutica di questo tipo non con- duce ad alcun risultato. Infatti il lavoratore autonomo, per la definizione che ne da il codice, non e' un lavoratore subordinato e ad esso non puo' essere assimilato (l'art. 2222 del c.c. dispone espressamente che l'opera o il servizio vengono svolti " .. senza vincolo di subordinazione"); non e' un professionista in quanto per l'espletamento della prestazione non e' prevista l'iscrizione in albi o elenchi appositi, ne' l'opera prestata ha natura intellettuale; non e' un agente in quanto l'attivita' che svolge non si realizza con la promozione di contratti per conto del proponente (art. 1742 del c.c.); non e' un coltivatore diretto in quanto presta la propria opera al di fuori del collegamento con un fondo agricolo; non e' un imprenditore artigiano (e tanto meno una cooperativa) in quanto svolge la propria opera o servizio con lavoro prevalentemente proprio, e senza quella dotazione di mezzi tipica dell'imprenditore. La griglia della norma di cui all'art. 2751-bis del c.c. presenta quindi maglie non sufficientemente serrate per comprendere tutti quei soggetti che maturano un credito nell'esplicazione di una attivita' direttamente o latamente lavorativa. Esiste, quindi, una zona grigia nel mondo del lavoro che non viene tutelata adeguatamente nel caso di insolvenza del committente. V'e' da chiedersi allora se tale differente trattamento possa essere giustificato, ovvero se la disparita' di disciplina sia tale da provocare il sospetto della illegittimita' costituzionale dell'art. 2751-bis del c.c. Ad avviso del Collegio non e' irragionevole che il lavoro autonomo sia trattato meno favorevolmente del lavoro subordinato, quanto meno per il fatto che nel secondo caso il dipendente e' soggetto al potere di supremazia del datore di lavoro, e' soggetto al potere disciplinare, e' esposto al rischio dell'insolvenza del datore di lavoro con connotazioni di maggior gravita' in quanto di regola esplica quell'attivita' in via esclusiva (sicche' se fallisce il datore di lavoro, il dipendente non puo' immediatamente procurarsi le fonti di sostentamento se non cercando una nuova collocazione sul mercato). Ma la disparita' di trattamento non e' irragionevole neppure se il confronto viene proposto con il lavoratore autonomo che presta un'opera di natura intellettuale. La piu' favorevole tutela di cui gode il prestatore d'opera intellettuale puo' essere giustificata dal fatto che per talune attivita' l'esercizio e' subordinato all'iscrizione in appositi albi o elenchi per i quali vi sono regole che ne disciplinano l'accesso; mentre per le attivita' intellettuali non protette la giustificazione della particolare tutela puo' essere vista nel fatto che la prestazione intellettuale presuppone comunque uno "studio applicativo" particolare evidentemente considerato meritevole di protezione. Per quanto riguarda la disparita' di trattamento con l'agente, la spiegazione puo' essere fornita se si ritiene (come fa la prevalenza della dottrina e della giurisprudenza di merito) che l'attribuzione del privilegio di cui al n. 3 dell'art. 2751-bis del c.c. sia diretta a colui che svolge l'attivita' di agente e non al rapporto di agenzia in se' (come parrebbe dalla lettura della norma), quindi a tutela di un soggetto che svolge il proprio lavoro in un "clima" di parasubordinazione (si veda sul punto la volonta' del legislatore di trattare l'agente alla stregua del lavoratore subordinato con riferimento alla tutela processuale purche' l'attivita' venga svolta con un contributo prevalentemente personale, art. 409, n. 3, del c.p.c.). Rispetto al coltivatore diretto, la ratio di un trattamento piu' deteriore puo' essere individuata nel rischio particolarissimo che colora l'impresa agricola che gia' fruisce di uno statuto piu' favorevole (la non assoggettabilita' al fallimento). Del tutto ingiustificata appare invece la disparita' di trattamento con il privilegio che assiste l'impresa artigiana. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2751-bis, n. 5, del c.c., nella parte in cui non prevede eguale tutela per ogni lavoratore autonomo. Il privilegio di cui all'art. 2751-bis, n. 5, del c.c., e' stato giustificato in quanto si e' ritenuto (per la prima volta con la Novella del 1975) che i crediti maturati dall'impresa artigiana per i servizi prestati e per la vendita dei manufatti rappresentassero la remunerazione del lavoro spiegato dall'imprenditore artigiano; si e' quindi assimilata la figura dell'artigiano a quella del prestatore di una attivita' lavorativa, sorvolando sul fatto che l'artigiano e', comunque, un imprenditore. Non e' qui il caso di ripetere (in quanto ininfluente) quanto sia dibattuto il problema della qualificazione dell'impresa artigiana, sia sul fronte del riconoscimento del privilegio, sia su quello dell'esonero dal fallimento. Ai fini che qui interessano bastera' ricordare che l'impresa artigiana (per effetto della legge n. 443/1985) ha visto nel tempo dilatare i propri limiti dimensionali al punto che non e' certo agevole una distinzione con la c.d. piccola industria. Nondimeno il legislatore non e' intervenuto per rivisitare la norma di cui all'art. 2751-bis, n. 5, del c.c., sicche' oggi vengono protetti crediti che pur riferibili ad attivita' di natura tipicamente lavorativa, sono imputati a soggetti che impiegano nel processo produttivo rilevanti capitali e ancor piu' significativi livelli occupazionali. Ma se questa scelta non puo' essere sindacata in quanto rientrante nella discrezionalita' del legislatore, puo' al contrario essere valutato il fatto che il legislatore abbia omesso di considerare il lavoro autonomo ai fini della attribuzione di una causa di prelazione. Il diverso regime protettivo appare irragionevole dal momento che si accorda una tutela piu' ampia al credito dell'imprenditore che trae la remunerazione del proprio lavoro dall'esercizio di una impresa rispetto al credito del prestatore d'opera (non intellettuale) che ricava le proprie fonti di reddito dall'esercizio di una attivita' prevalentemente personale (si pensi alle figure del pony express, delle modelle, degli accompagnatori turistici, ecc.). La ragione di un trattamento differenziato non puo' ricavarsi dalla tutela accordata dalla Costituzione solo ai primi (art. 45 della Cost.), dal momento che la fonte primaria tutela, ancor prima (art. 35 della Cost.) "il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni". Che la norma sia posta a tutela anche del lavoro autonomo e' stato in passato affermato proprio dal giudice delle leggi (Corte costituzionale 26 luglio 1984, n. 180). Il tribunale ritiene, quindi, che sia non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2751-bis, n. 5, del c.c. nella parte in cui non prevede che il privilegio sia riconosciuto a tutti i lavoratori autonomi per i crediti nascenti dall'opera o dai servizi prestati. I parametri costituzionali di confronto sono quindi l'art. 3 e l'art. 35 della Costituzione. Sulla rilevanza della questione. Che cosi' impostata la questione di costituzionalita' sia rilevante ai fini di decidere l'odierna controversia e' agevole desumerlo dal fatto che nella qualificazione del rapporto lavorativo svolto dall'opponente sono state escluse le altre figure ricomprese nell'art. 2751-bis del c.c. In buona sostanza, ove l'eccezione venisse disattesa dalla Corte, all'opponente non resterebbe che la collocazione del credito nel passivo chirografario, ove invece venisse accolta, competerebbe l'ammissione al passivo privilegiato. Sussistono, pertanto, le condizioni per sospendere il presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale cui vanno rimessi gli atti ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953.