Ricorso della provincia autonoma di Bolzano, in persona del presidente della giunta provinciale p.t. dott. Luis Durnwalder, giusta deliberazione della giunta n. 3371 del 26 giugno 1995, rappresentata e difesa - in virtu' di procura speciale del 26 giugno 1995, rogata dal vice segretario generale della giunta avv. Giovanni Salghetti Drioli (rep. n. 17591) - dagli avv.ti proff.ri Sergio Panunzio e Roland Riz., e presso il primo di essi elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n. 3, contro la Presidenza del Consiglo dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, per la dichiarazione di incostituzionalita' del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220, recante "Attuazione degli artt. 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91 in materia di produzione agricola ed agro-alimentare con metodo biologico", nel suo complesso, e con particolare riferimento agli artt. 1, 2, 3, commi primo e terzo; 4, commi secondo, terzo e quarto; 5, comma primo; 6, commi secondo e terzo; 8, commi primo e quinto. F A T T O 1. - La provincia autonoma di Bolzano ha competenze legislative ed amministrative esclusive in materia di "agricoltura", ai sensi degli artt. 8, n. 21, e 16, primo comma, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (nonche' competenze concorrenti in materia di "commercio" ai sensi dell'art. 9, n. 3. Tali competenze sono nella piena disponibilita' della provincia, anche a seguito della emanazione delle relative norme d'attuazione dello statuto, contenute soprattutto nel d.P.R. 23 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione statuto della regione T.-A.A. in materia di minime proprieta' colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste); e poi anche dal d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione T.-A.A. ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del d.P.R 24 luglio 1977, n. 616). Merita anche di essere ricordato, in particolare che l'art. 6 del d.P.R. n. 526/1987 ha riconosciuto che spetta alla stessa provincia; nelle materie di competenza propria, "di provvedere all'attuazione dei regolamenti della comunita' economica europea, ove questi richiedono una normazione integrativa o un'attivita' amministrativa di esecuzione". La provincia autonoma di Bolzano ha ampiamente esercitato le suddette competenze, stabilendo una organica disciplina legislativa in materia di agricoltura. Una disciplina che spesso ha anche anticipato taluni interventi del legislatore nazionale e della stessa Comunita' economica europea. Quest'ultimo e' il caso, fra gli altri, della disciplina stabilita dalla legge provinciale 30 aprile 1991, n. 12, recante "Norme per la regolamentazione e promozione dell'agricoltura biologica e della produzione integrata". In particolare per quanto riguarda la "agricoltura biologica (consistente - secondo l'art. 1, secondo comma, della legge provinciale - nella "produzione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, per i quali sussiste la garanzia di essere stati ottenuti senza l'impiego di prodotti chimico-sintetici", la legge provinciale ha stabilito i requisiti e le tecniche agricolo-biologiche che debbono essere impiegati dalle aziende agricole di produzione o di trasformazione perche' esse possano considerarsi come aziende "biologiche" (artt. 2, 3 e 4); ha istituito una "Commissione provinciale per l'agricoltura biologica" che ha il compito di garantire la funzionalita' tecnico-scientifica ed operativa degli interventi previsti dalla legge (art. 5), e che in particolare ha il compito di stabilire le disposizioni sull'uso delle sostanze consentite (art. 3, secondo comma), di stabilire i prodotti agricoli per i quali puo' essere concesso il marchio di protezione, di decidere sulle iscrizioni e cancellazioni delle aziende biologiche in appositi albi, ecc. (art. 6); ha appunto istituito l'albo delle aziende agricole biologiche e quello delle aziende di trasformazione biologica, disciplinando i requisiti e le procedure di iscrizione (art. 7), e gli obblighi che incombono sulle aziende iscritte (art. 8); ha disciplinato il rilascio e l'utilizzo del marchio di protezione ("prodotto biologico controllato") che - a determinate condizioni e previ controlli - puo' essere utilizzato sui loro prodotti dalle aziende iscritte negli albi (art. 14); ha disposto finanziamenti ed incentivi di vario genere a favore dell'agricoltura biologica (art. 26). 2. - Successivamente alla entrata in vigore della suddetta legge provinciale n. 12/1991, la CEE e' intervenuta in materia con il regolamento n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991, che ha dettato norme in ordine "al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari". Con tale regolamento la CEE - avendo fra l'altro considerato la sempre maggiore richiesta da parte dei consumatori di prodotti agricoli e derrate alimentari ottenuti con metodi biologici, il fatto che a seguito di cio' vengano immessi sul mercato prodotti recanti indicazioni che informano l'acquirente o lo inducono a ritenere che essi sono stati ottenuti con metodi biologici o senza l'impiego di prodotti chimici di sintesi, che alcuni Stati membri hanno gia introdotto disposizioni regolamentari e controlli concernenti l'utilizzazione di tali indicazioni, che e' necessario un quadro normativo comunitario in materia di produzione di etichettatura e di controllo anche per garantire la concorrenza, che debbono essere stabiliti nell'interesse dei produttori e degli acquirenti dei prodotti che recano indicazione concernenti il metodo di produzione biologico dei principi minimi che devono essere soddisfatti affinche' i prodotti possono essere presentati con tali indicazioni - ha stabilito cosa si debba intendere per metodo di produzione biologico (art. 6) e quali sono i prodotti cui il regolamento e' applicabile (artt. 1 e 2), ha disciplinato le condizioni e le modalita' delle etichettature e pubblicita' dei prodotti che facciano riferimento al metodo di produzione biologico (artt. 5 e 10), e, fra le altre cose, ha in particolare disciplinato i controlli sugli operatori che producono, preparano od importano da un paese terzo i prodotti agricoli biologici (artt. 8 e 9). A quest'ultimo riguardo il regolamento prevede in particolare la notifica delle suddette attivita' da parte degli operatori alle autorita' competenti ed agli organismi designati degli Stati membri (art. 8, n. 1 e 2); stabilisce che gli Stati membri debbono instaurare un sistema di controllo sugli operatori che deve essere gestita "da una o piu' autorita' di controllo designate e/o da organismi privati riconosciuti" (art. 9 n. 1); che tale sistema di controllo deve comprendere almeno le misure di controllo e precauzionali indicate nell'allegato terzo (art. 9 n. 3); e che per l'attuazione di un sistema di controllo affidato ad organismi privati gli Stati membri debbono designare un'autorita' incaricata del riconoscimento e della sorveglianza di tali organismi (art. 9, n. 4). Per quanto riguarda ancora in particolare gli artt. 8 e 9, sul sistema di controllo, l'art. 16, n. 2, del Regolamento stabiliva che "Gli Stati membri mettono in applicazione gli articoli 8 e 9 entro il termine di 9 mesi a decorrere dall'entrata in vigore del presente regolamento". 3. - Poiche' non spetta allo Stato, ma esclusivamente alla provincia autonoma di Bolzano, nelle materie di propria competenza, di provvedere all'attuazione dei regolamenti della CEE, nel caso questi abbisognino dell'emanazione di un'ulteriore normazione integrativa, o di un'attivita' amministrativa di esecuzione (secondo quanto espressamente stabilito dal citato art. 6 del d.P.R. n. 526/87), non puo' esservi dubbio sul fatto che spetta appunto alla Provincia (in quanto autorita' competente all'interno dell'ordinamento italiano) il compito di "mettere in applicazione", ai sensi dell'art. 16, secondo comma, del regolamento CEE n. 2092/91 le norme sul sistema di controllo contenute negli artt. 8 e 9 del medesimo regolamento. E' cio' che la provincia autonoma di Bolzano si e' gia' accinta a fare, in particolare mediante la predisposizione di un disegno di legge regionale recante nuove norme sulla agricoltura biologica, adeguate al regolamento CEE n. 2092/91, e dirette ad abrogare e sostituire parte della vigente legge provinciale n. 12/1991 (il testo del disegno di legge, che si depositera', e' attualmente all'esame della giunta provinciale). E' pero' accaduto che, sulla Gazzetta Ufficiale del 5 luglio u.s. sia stato pubblicato il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220, emanato in base all'art. 42 della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (legge comunitaria 1993), recante delega al Governo per l'attuazione delle disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91. Tale decreto legislativo contiene una analitica disciplina del controllo sulle attivita' di produzione agricola ed agro-alimentare con metodo biologico, nonche' degli organismi ad esso preposti e del controllo sui medesimi. Si tratta di una disciplina assai minuziosa, volta a disciplinare anche nei dettagli ogni aspetto della materia. Una disciplina che, per cio' che soprattutto rileva ai fini del presente atto, e' inequivocabilmente rivolta anche alle province autonome di Trento e Bolzano (che infatti sono espressamente richiamate in numerose disposizioni: per es. artt. 2, secondo comma; 4, secondo e terzo comma; 5, primo comma; 6, primo comma; ecc.); e si pone anche come disciplina legislativa direttamente applicabile all'interno degli ordinamenti provinciali (dunque con caratteri divergenti rispetto anche allo schema dei rapporti fra legislazione statale e provinciale stabilito dalle norme d'attuazione contenute nell'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266). Ma tale decreto legislativo, nel suo complesso e con riferimento alle disposizioni indicate in epigrafe e che passeremo ora ad esaminare, e' gravemente lesivo delle competenze costituzionalmente spettanti alla provincia autonoma di Bolzano, che pertanto lo impugna per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Violazione delle competenze costituzionali della provincia autonoma di Bolzano di cui agli artt. 8, n. 21, 9 n. 3, 16, primo comma, dello statuto speciale Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e relative norme d'attuazione (spec. d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279, art. 6 d.P.R. 19 novembre 1987,n. 526, ed art. 2 decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266). Violazione del principio di leale collaborazione. Il decreto legislativo impugnato e' complessivamente lesivo delle competenze provinciali indicate in epigrafe perche' il suo impianto complessivo e' inficiato da un vizio di fondo. Poiche' spetta alla provincia provvedere all'attuazione dei regolamenti comunitari nelle materie di competenza propria (art. 6 d.P.R. n. 526/1987), lo spazio per un intervento dello Stato in materia e estremamente ridotto, e comunque non puo' validamente fuoriuscire dai seguenti binari. Se (come sembra essere) la disciplina del regolamento comunitario e' sufficientemente dettagliata, si' da non abbisognare di una ulteriore disciplina legislativa interna, allora spetta alla provincia ricorrente provvedere all'attivita' amministrativa di esecuzione, e lo Stato potra' legittimamente intervenire solo mediante atti di indirizzo e coordinamento (purche' questi siano adottati nelle forme ed in presenza dei presupposti prescritti per tali atti: si richiama al riguardo la precedente sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 278/1993). Oppure, nel caso in cui la disciplina stabilita dal regolamento comunitario richieda per qualche aspetto una ulteriore normazione di diritto interno (da parte delle autorita' competenti secondo l'ordinamento degli Stati membri), egualmente spetterebbe alla provincia ricorrente il compito di provvedere a legiferare in materia, ed in tal caso lo Stato (in base al richiamato art. 2 del decreto legislativo n. 266/92) potrebbe stabilire solo i "principi e norme costituenti limiti indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto speciale", cui successivamente la legislazione provinciale dovra' essere "adeguata". Ma nel caso in questione lo Stato ha agito diversamente. Esso non ha emanato un atto di indirizzo e coordinamento, ne' si e' limitato a stabilire una disciplina legislativa di principio per indirizzare, nei limiti richiesti dalla disciplina comunitaria, la successiva legislazione provinciale. Ha invece dettato esso stesso una analitica ed esaustiva disciplina legislativa della materia, direttamente applicabile anche nell'ordinamento della provincia ricorrente e togliendo praticamente ogni spazio di intervento ulteriore per la legge provinciale. Sotto il profilo ora esaminato, il decreto legislativo impugnato e dunque nel suo complesso lesivo delle competenze provinciali, e quindi incostituzionale nella parte in cui pretenda di essere applicabile anche alla provincia ricorrente. 1.2. - Il decreto legislativo impugnato e' pero' lesivo delle competenze provinciali anche sotto un ulteriore profilo, piu' strettamente collegato al modo in cui esso ha disciplinato la materia, ed allo specifico contenuto di sue singole disposizioni. Il decreto impugnato, infatti, e informato a principi di assoluto centralismo: attribuisce in pratica esclusivamente al Ministero delle risorse agricole ogni potere rilevante in materia, relegando la provincia in un ruolo assolutamente secondario e subordinato; un ruolo comunque incompatibile con il fatto che nella materia in questione la provincia e' titolare di una competenza addirittura esclusiva. A questo punto, dunque, occorre passare ad esaminare analiticamente quelle disposizioni del decreto legislativo in questione che risultano essere piu' gravemente lesive delle competenze della provincia ricorrente, e che con il presente atto vengono quindi singolarmente impugnate. In tal senso la prima disposizione che viene in evidenza e che si impugna, e' quella contenuta nell'art. 1. L'art. 1 del decreto legislativo impugnato individua nel Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali l'unica autorita' italiana preposta al controllo, oltre che al coordinamento, delle attivita' amministrative e tecnicoscientifiche inerenti l'applicazione del regolamento CEE n. 2092/91. Il controllo sulle attivita' in questione inerisce certamente alle funzioni amministrative esclusive appartenenti alla provincia. L'avocazione al Ministero della generalita' dei poteri e delle responsabilita' in ordine al controllo e' dunque certamente lesivo delle competenze provinciali. Ne' tale avocazione potrebbe ritenersi imposta o giustificata dalla disciplina comunitaria. Questa, come sempre in tali casi, non puo' che rinviare all'ordine delle competenze quale e' costituzionalmente stabilito all'interno dell'ordinamento degli Stati membri. Ed infatti l'art. 9, n. 1, del regolamento CEE n. 2092/91 espressamente stabilisce che i singoli Stati "instaurano un sistema di controllo gestito da una o piu' autorita' di controllo designate e/o da organismi privati riconosciuti ..". Con una formula, dunque, che consente di tenere conto dei diversi regimi di competenze vigenti all'interno degli ordinamenti degli Stati membri; e che nel caso dell'Italia, dunque, consente che il controllo sia gestito da una pluralita' di autorita' di controllo, fra cui appunto non possono mancare le province autonome di Trento e di Bolzano, essendo queste titolari in materia di competenze esclusive. 1.3. - Artt. 2 e 3, commi primo e terzo. Per motivi di ordine logico e di chiarezza espositiva conviene partire dall'art. 3 del decreto legislativo impugnato. L'art. 3 attribuisce in esclusiva al Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali il potere di autorizzare gli organismi (privati) che intendono svolgere il controllo sulle attivita' della produzione agricola, della preparazione e dell'importazione di prodotti ottenuti secondo il metodo biologico. Le relative istanze debbono essere presentate solo al Ministro (art. 3, primo comma), e solo ad esso spetta di provvedere su di esse (art. 3, terzo comma), previo parere di un altro organo dello Stato: il Comitato di valutazione degli organismi di controllo ex art. 2. A sua volta l'art. 2 del decreto legislativo n. 220/95 istituisce e disciplina appunto il "Comitato di valutazione degli organismi di controllo ", cui in particolare e' affidato in esclusiva il compito di esprimere pareri in merito all'adozione dei provvedimenti di autorizzazione degli organismi di controllo ex art. 3. Tale comitato e' uno organo statale, i cui 9 membri sono tutti nominati dal Ministro delle risorse agricole, e sono in prevalenza (sei su nove) funzionari ministeriali (art. 2, secondo comma), e di cui presidente e segretario sono nominati tra i rappresentanti del Ministero delle risorse agricole. Regioni e province autonome hanno in tale comitato una voce assai limitata: il terzo comma dell'art. 2 prevede infatti che l'organo e integrato di volta in volta con un rappresentante della regione o provincia autonoma in cui il richiedente l'autorizzazione ha dichiarato di essere presente con proprie strutture. Anche tale disciplina, per il suo carattere rigidamente accentratore, risulta lesiva delle competenze esclusive spettanti in materia alla provincia ricorrente, fra cui e' compreso anche il potere di autorizzare gli organismi privati di controllo che intendono operare nel suo territorio. Si osservi che l'accentramento di tale potere nelle sole mani del Ministero delle risorse agricole non puo' ritenersi necessitato o giustificato dal fatto che (ai sensi dell'art. 3, terzo comma) gli organismi autorizzati possono esercitare la propria attivita' su tutto il territorio nazionale. Infatti anche quest'ultima e' una scelta fatta dal legislatore delegato che non trova alcun fondamento nella disciplina comunitaria. Nulla impediva di riconoscere agli organismi una competenza territorialmente limitata ad una regione o provincia autonoma (comunque non estesa all'intero territorio nazionale) e cosi' lasciare alla provincia ricorrente il potere di autorizzare gli organismi operanti nel suo territorio. La lesione della competenza della provincia ricorrente non puo' neppure ritenersi esclusa per il fatto che un suo rappresentante partecipa al Comitato ex art. 2 quando si tratta di esprimere pareri su richieste di autorizzazione che la interessano (o per il fatto che tre dei nove membri del Comitato sono designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e province autonome, di cui all'art. 4 del decreto legislativo 16 dicembre 1989, n. 418). Anzi, a tale proposito la disciplina in questione appare incostituzionale anche sotto un ulteriore profilo: quella della violazione del principio di leale collaborazione che comunque presiede ai rapporti fra Stato e provincia autonoma nelle materie in cui vi sia concorso delle competenze e responsabilita' dei due enti. Tale principio risulta infatti violato, in primo luogo, perche' il Comitato fornisce un semplice parere non vincolante, restando integralmente al Ministero il potere di decidere sulla richiesta di autorizzazione. Se anche si trattasse di un parere della provincia cio' non basterebbe ad evitare la lesione della sua competenza esclusiva in materia (secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte: sent. n. 517/87). Ma nel caso in questione il parere non e' della provincia, ma di un organo collegiale dello Stato nel quale la provincia ha una limitatissima rappresentanza. Ne risulta percio' violato anche il principio di leale collaborazione (il che non sarebbe se, per esempio, fosse stata prevista una intesa fra Stato e provincia), e comunque confermata la incostituzionalita' della disciplina stabilita (oltre che dall'art. 2) anche dall'art. 3 del decreto legislativo impugnato. 1.4. - Art. 4, commi secondo, terzo e quarto. L'art. 4 contiene la disciplina della vigilanza sugli organismi di controllo, una disciplina che mantiene quelle caratteristiche di esasperato accentramento gia' viste in relazione agli artt. 2 e 3. Il secondo comma dell'art. 4 afferma che la vigilanza "e' esercitata dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali e dalle regioni e province autonome per le strutture ricadenti nel territorio di propria competenza". In realta', anche qui il ruolo delle regioni e province autonome piu' nominale che reale, ed il potere di vigilanza, nella sua sostanza, resta ben saldo nelle sole mani del Ministero. Infatti, l'unica misura sanzionatoria prevista nei confronti degli organismi di controllo vigilati e' la revoca dell'autorizzazione (commi tre, quattro e cinque dell'art. 4), ma il potere di disporre la revoca e' attribuito dal decreto delegato impugnato solo al Ministro, anche qui sentito il parere del Comitato di valutazione ex art. 2 (art. 4, sesto comma). Alle regioni e province autonome e' riconosciuto (oltre alla gia' esaminata partecipazione al Comitato) solo un potere di "proposta" al Ministro della revoca dell'autorizzazione (proposta, ovviamente, non vincolante e che non preclude la possibilita' che il Ministro proceda autonomamente, pure in mancanza di una proposta). E' chiaro, dunque, come la disciplina dell'art. 4 abbia attribuito un ruolo assolutamente preponderato al Ministro anche per cio' che concerne la vigilanza ed il potere di revoca delle autorizzazioni, relegando la provincia ricorrente in un ruolo del tutto secondario (l'eventuale proposta di revoca), assolutamente insufficiente ad evitare la lesione delle sue competenze esclusive in materia, che ovviamente ricomprendono anche la vigilanza sugli organismi di controllo operanti nel suo territorio. Anche qui, inoltre, si deve lamentare pure la violazione del principio di leale collaborazione, il cui rispetto avrebbe comportato che almeno il decreto delegato stabilisse anche per l'esercizio del potere ministeriale di revoca il raggiungimento di una previa intesa con la provincia ricorrente. 1.5. - Art. 5, primo comma. Anche l'art. 5 manifesta quel carattere di eccessivo accentramento che caratterizza tutta la disciplina del decreto delegato impugnato. Tale articolo (al primo comma) stabilisce infatti che gli organismi di controllo debbono trasmettere annualmente sia al Ministero che alle regioni e province autonome interessate il "piano" sulla base del quale intendono fare i controlli previsti dalle norme comunitarie. Esso, pero', riconosce solo al Ministro (sia pure d'intesa con la regione o provincia autonoma interessata) in potere di formulare in ordine al piano "rilievi ed osservazioni" che sono vincolanti nei confronti dell'organismo di controllo, il quale infatti - come dice la disposizione impugnata - dovra' tenere conto "delle modifiche eventualmente apportate su richiesta del Ministero". Il fatto che, dunque, solo il Ministero (e non anche la provincia ricorrente che vanta in materia una competenza esclusiva) possa richiedere ed imporre modifiche al piano costituisce una evidente lesione delle competenze provinciali e determina la incostituzionalita', per questa parte, della disciplina contenuta nell'art. 4 del decreto legislativo impugnato. 1.6. - Art. 6, secondo e terzo comma. In base al secondo comma dell'art. 6 gli operatori che svolgono attivita' di importazione (ed in base al terzo comma nel caso di importazioni relative a prodotti provenienti da paesi terzi non in regime di equivalenza) sono tenuti ad inviare la notifica di tale attivita' solo al Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali (copia della notifica e' trasmessa anche all'organismo di controllo autorizzato cui l'operatore fa riferimento). Anche tale disciplina e' lesiva delle competenze provinciali, ed incostituzionale, perche' stabilisce che la notifica venga fatta al Ministro, anziche' alla provincia autonoma di Bolzano (quando si tratti di importatori che operano nel suo territorio). Comunque la disposizione impugnata avrebbe dovuto almeno prevedere che la notifica andasse fatta anche alla Provincia ricorrente. 1.7. - Art. 8, commi primo, secondo, terzo, quarto e quinto. L'art. 8 del decreto legislativo impugnato stabilisce, al primo comma, che le regioni e le province autonome debbono stabilire degli elenchi di operatori dell'agricoltura biologica, distinti in tre sezioni: "produttori agricoli", "preparatori" e "raccoglitori dei prodotti spontanei". Nei commi successivi l'art. 8 stabilisce una minuziosa disciplina di tali elenchi e sezioni, dell'accesso agli elenchi ed impone alle regioni e province autonome di trasmettere annualmente al Ministero gli elenchi stessi ed i relativi aggiornamenti. La disciplina legislativa sulla organizzazione degli elenchi in questione rientra, evidentemente, nella competenza esclusiva della Provincia ricorrente. Gia' la vigente legge provinciale n. 12/1991 aveva istituito e disciplinato l'albo delle "aziende agricole biologiche" e l'albo delle "aziende di trasformazione biologica" (art. 7 ss.); ed il disegno di legge provinciale gia' citato, in corso di approvazione, prevede anch'esso (art. 7 ss.) una nuova disciplina dell'albo provinciale delle aziende biologiche, conforme al regolamento CEE n. 2092/91, articolato in tre distinte sezioni: "aziende agricole in conversione biologica", "aziende agricole biologiche", ed "aziende di trasformazione biologica" (oltre che la diversa articolazione dell'albo vi sono anche ulteriori differenze fra la disciplina del disegno di legge provinciale e quella impugnata). Trattandosi, dunque, di materia di esclusiva competenza provinciale l'art. 8 non puo' imporre alla provincia di istituire ed organizzare gli elenchi secondo un modello che lo stesso art. 8 stabilisce in modo rigido e dettagliato. Un modello che non corrisponde ad alcuna norma del regolamento comunitario, che possa valere e giustificare tale imposizione. La disciplina dell'art. 8 ed il vincolo che con essa si vorrebbe imporre alla potesta' legislativa provinciale non sono neppure giustificati dal fatto che il successivo art. 9 istituisce l'elenco nazionale degli operatori dell'agricoltura biologica, del quale fanno parte anche gli operatori iscritti negli elenchi regionali e provinciali. Infatti l'istituzione di un elenco nazionale (di competenza dello Stato) non comporta certo che lo Stato acquisti la competenza a disciplinare anche gli elenchi regionali e provinciali. Lo Stato puo' benissimo prevedere la iscrizione anche nell'elenco nazionale degli operatori iscritti nell'elenco della Provincia ricorrente, ma spetta solo a quest'ultima di disciplinare l'elenco provinciale (ed essendo questo pubblico non si giustifica neppure, a ben vedere, quel particolare obbligo di comunicazione annuale dell'elenco stabilito dal quarto comma dell'art. 8). 2. - Violazione delle competenze provinciali di cui alle norme statutarie e d'attuazione gia' indicate, anche in relazione al mancato rispetto dell'art. 76 della Costituzione. Violazione del principio di leale collaborazione. L'art. 42 della citata legge 22 febbraio 1994, n. 146, nel delegare al Governo il potere di emanare le norme per dare attuazione agli artt. 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91, aveva stabilito al secondo comma, lettera a), fra i principi e criteri direttivi vincolanti per il Governo ai sensi dell'art. 76 Cost., quello della "individuazione dell'autorita' di controllo, d'intesa con le regioni, per le attivita' amministrative e tecnico scientifiche inerenti l'applicazione dei regolamenti comunitari". In relazione a cio' si deve dedurre un ulteriore profilo di incostituzionalita' dell'art. 1 del decreto legislativo impugnato. L'art. 1 del decreto legislativo n. 220/1995, come gia' si e' visto, ha stabilito che il Ministero delle risorse agricole e' l'unica autorita' preposta al controllo delle attivita' relative alla applicazione della disciplina comunitaria in materia di agricoltura biologica: con cio' violando le competenze spettanti in tale materia alla Provincia ricorrente. Ma la legge di delega aveva stabilito al riguardo un criterio direttivo costituzionalmente vincolante per il Governo: l'individuazione delle autorita' di controllo andava comunque fatta dal Governo d'intesa con le regioni, e quindi (se il Governo ritiene che il decreto delegato riguarda anche le province autonome) d'intesa anche con la provincia ricorrente. Ma tale intesa non c'e' stata, ne' e' stata richiesta dal Governo. Pertanto le competenze della provincia ricorrente risultano violante anche per il mancato rispetto dei principi e criteri direttivi della delega e dell'art. 76 Cost. Si puo' peraltro aggiungere che, se anche non fosse stata richiesta dalla legge di delegazione, l'intesa sarebbe stata necessaria gia' in base al solo principio di leale collaborazione. Posto che la provincia ricorrente ha competenze esclusive in materia, lo Stato non poteva designare un'unica autorita' di controllo di livello nazionale (escludendo autorita' di controllo a livello lo- cale: regionale e provinciale) se non ricercando previamente una intesa con la provincia, il che non e' avvenuto. Pertanto, l'art. 1 del decreto legislativo impugnato e', anche sotto questo profilo, lesivo delle competenze provinciali ed incostituzionale.