ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  385,  terzo
 comma,  del codice penale, promossi con due ordinanze emesse entrambe
 l'11 ottobre 1994 dal Pretore  di  Catania  nei  procedimenti  penali
 rispettivamente   a   carico  di  Maimone  Baronello  Antonino  e  di
 Spampinato Roberto, iscritte ai nn. 70 e 77  del  registro  ordinanze
 1995  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7 ed
 8, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 14 giugno 1995 il Giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
    Ritenuto che il Pretore di Catania, con due ordinanze di  identico
 contenuto  emesse  entrambe  l'11  ottobre  1994,  ha  sollevato,  in
 riferimento agli artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,
 questioni  di legittimita' costituzionale dell'art. 385, terzo comma,
 del codice penale, nella parte  in  cui  -  richiamando  la  sanzione
 relativa  all'evasione  dal carcere anche per chi essendo in stato di
 arresto nella propria abitazione o in altro luogo se ne  allontana  -
 prevede una pena minima edittale di sei mesi di reclusione;
      che il giudice rimettente fa presente che la Corte ha dichiarato
 manifestamente   inammissibile,   in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione,   analogo   dubbio   di   legittimita'   costituzionale
 concernente  la  stessa  disposizione normativa (ordinanza n. 425 del
 1988), ma sollecita una  nuova  valutazione  che  tenga  conto  della
 successiva   giurisprudenza  costituzionale,  secondo  la  quale,  se
 appartiene  alla  discrezionalita'  del  legislatore  determinare  la
 quantita' e qualita' della sanzione penale, rientra tra i compiti del
 giudice  delle  leggi  verificare  che  l'uso  della discrezionalita'
 legislativa in materia di trattamento  punitivo  rispetti  il  limite
 della  ragionevolezza,  che  esige  che  la pena sia proporzionata al
 disvalore del  fatto  illecito  commesso,  in  modo  che  il  sistema
 sanzionatorio  adempia ad un tempo alla funzione di difesa sociale ed
 a quella di tutela delle posizioni individuali (sentenza n.  341  del
 1994);
      che  ad  avviso  del giudice rimettente l'art. 385, terzo comma,
 del codice penale  equiparerebbe  nella  sanzione  fatti  di  diversa
 gravita',  giacche'  l'evasione  dal  carcere  postulerebbe la fuga o
 l'allontanamento definitivo,  mentre  l'allontanamento  dell'imputato
 dal  luogo degli arresti domiciliari raramente rivestirebbe carattere
 di definitivita', sicche'  l'identita'  di  previsione  sanzionatoria
 sarebbe  irragionevole  e  comporterebbe  una palese sproporzione del
 sacrificio   della   liberta'   personale   rispetto   al   disvalore
 dell'illecito,  tale da vanificare il fine rieducativo della pena, in
 contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
      che in entrambi i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
 inammissibili e comunque infondate;
    Considerato  che  i due giudizi, prospettando questioni identiche,
 relative alla stessa  disposizione  legislativa,  vanno  riuniti  per
 essere decisi congiuntamente;
      che  le  ordinanze  di  rimessione  tendono  ad  una  disciplina
 sanzionatoria dell'allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari
 diversa da quella prevista per  l'evasione  e  di  minor  rigore  nel
 minimo edittale;
      che   la   configurazione   di   fattispecie   criminose   e  la
 determinazione della  quantita'  e  qualita'  della  sanzione  penale
 appartengono alla discrezionalita' del legislatore, e non spetta alla
 Corte  intervenire  e  modificare  le  scelte punitive effettuate dal
 legislatore, a meno che sia evidente e  del  tutto  irragionevole  la
 sproporzione  tra  sanzione  e  disvalore  concreto  del  fatto,  non
 sorretta dalla minima giustificazione  (sentenza  n.  341  del  1994;
 ordinanza n. 520 del 1991);
      che  la  scelta  compiuta  dal legislatore nella definizione del
 reato e nella previsione di una eguale sanzione minima per il delitto
 di evasione dal luogo degli  arresti  domiciliari  e  per  quello  di
 evasione  dal  carcere  non  e'  palesemente irragionevole, apparendo
 fondata sulla valutazione di condotte egualmente lesive del dovere di
 rispettare  analoghi   provvedimenti   restrittivi   della   liberta'
 personale,   tanto   piu'   che   l'osservanza   del  dovere  di  non
 allontanarsi, nel caso  degli  arresti  domiciliari,  e'  in  maggior
 misura   affidata   al   responsabile  comportamento  di  chi  vi  e'
 sottoposto;
      che,   pertanto,   le   questioni   devono   essere   dichiarate
 manifestamente infondate;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.