ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
    Nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 32, settimo
 comma, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico
 delle norme in materia valutaria), promosso con ordinanza emessa il 1
 febbraio 1995 dal Pretore di Roma, nel procedimento  civile  vertente
 tra  Rizzuto  Francesco e il Ministero del tesoro, iscritta al n. 196
 del registro ordinanze 1995 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto  l'atto di costituzione di Rizzuto Francesco, nonche' l'atto
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1995 il Giudice relatore
 Cesare Ruperto;
    Uditi l'avv. Francesco Rizzuto, in  proprio,  e  l'Avvocato  dello
 Stato  Giovanni  P. de Figueiredo per il Presidente del Consiglio dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio di opposizione avverso l'ingiunzione
 emessa, a seguito d'infrazione valutaria, dal  Ministero  del  tesoro
 per diciotto miliardi di lire in data 15 febbraio 1990, il Pretore di
 Roma  -  dinanzi  al  quale il giudizio era stato riassunto a seguito
 della decisione della Corte di cassazione adita  con  regolamento  di
 competenza  -  con  ordinanza  emessa il 1 febbraio 1995 ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32, settimo comma,
 del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico  delle
 norme in materia valutaria): a) in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e
 97  della  Costituzione, nella parte in cui prevede la competenza del
 Pretore di Roma - luogo in cui ha sede l'Ufficio italiano dei cambi -
 per tutte le cause  di  opposizione  ad  ingiunzione  riguardanti  le
 infrazioni  valutarie; b) in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della
 Costituzione, nella parte in cui assoggetta tali controversie al rito
 previsto dall'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche
 al sistema penale).
    A  parere del giudice a quo la competenza del Pretore di Roma, che
 sarebbe gia' stata affermata dalla Corte di cassazione  con  sentenza
 17 giugno 1988, n. 4131 (nel senso della coincidenza tra luogo in cui
 l'illecito  e'  commesso e luogo dell'accertamento), come giudice del
 luogo in cui e' stata accertata  l'infrazione  dall'Ufficio  italiano
 dei  cambi, comporterebbe una violazione del principio d'eguaglianza,
 una  sottrazione  del  cittadino  al  suo   giudice   naturale,   una
 menomazione  del  suo  diritto  di  difesa,  nonche'  una lesione del
 principio di buon andamento della pubblica amministrazione (l'art. 97
 della  Costituzione  non   e'   peraltro   citato   nel   dispositivo
 dell'ordinanza  di  rimessione).  Infatti, per l'ingiunto, l'onere di
 dover proporre opposizione dinanzi al Pretore di  Roma  comporterebbe
 un  aggravio  di costi ed un disagio, anche considerando l'ammontare,
 spesso notevole delle somme oggetto della sanzione ed alla  luce  del
 principio,  piu'  volte affermato da questa Corte, per cui le deroghe
 alla  competenza  territoriale   devono   essere   sorrette   da   un
 apprezzabile interesse pubblico e non determinare una menomazione del
 diritto  di  difesa.  A parere del remittente potrebbero, nel caso in
 esame, essere utilizzati altri criteri, quale ad esempio il luogo  in
 cui  siano  state  svolte indagini dalla Guardia di finanza ovvero da
 altri organi deputati all'accertamento di tali infrazioni.
    Quanto  alla  seconda  questione,  rileva  il   Pretore   che   il
 procedimento   di   cui   all'art.   23   della  citata  legge  sulla
 depenalizzazione, se si adatta a sanzioni di scarso rilievo, non pare
 viceversa idoneo a garantire il diritto di difesa,  per  la  mancanza
 del  doppio  grado di giudizio in una materia spesso assai complessa.
 Solo l'appello infatti assicurerebbe, per il suo effetto  devolutivo,
 le  predette garanzie, la cui esclusione risulterebbe incomprensibile
 in subiecta materia, attesa la possibilita' di una notevole incidenza
 nel patrimonio dell'ingiunto e considerato che  il  doppio  grado  e'
 stato   previsto  da  ultimo  per  le  controversie  "di  ben  minore
 rilevanza" devolute al giudice di pace.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso
 per l'infondatezza di entrambi i  profili  della  questione.  Osserva
 l'Avvocatura che la norma impugnata prevede la competenza del Pretore
 del  luogo ove e' stata commessa l'infrazione e che l'affermazione di
 cui alla  sentenza  n.  4131  del  1988  della  Corte  di  cassazione
 concerneva  un  caso  in  cui  il  luogo  della  violazione  e quello
 dell'accertamento coincidevano.
    Ma anche a voler ritenere una sovrapposizione del diritto  vivente
 al dato testuale della norma, l'Autorita' intervenuta sostiene che la
 garanzia   del  diritto  di  difesa,  oltre  a  potersi  diversamente
 modulare, non si spinge al punto di assicurare una  difesa  "comoda",
 specie  allorche'  tale  esigenza  debba  essere  contemperata con il
 principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
    Quanto infine alla mancanza di  un  doppio  grado  di  merito,  si
 osserva  come  tale  principio,  secondo  la giurisprudenza di questa
 Corte, non abbia rilevanza costituzionale.
    3. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituita la parte
 privata, chiedendo di difendersi personalmente in quanto patrocinante
 in Cassazione e aderendo alle motivazioni  di  cui  all'ordinanza  di
 remissione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il Pretore di Roma dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 32, settimo comma, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148,  sotto
 due  profili:  a)  in  riferimento  agli  artt.  3, 24, 25 e 97 della
 Costituzione, nella parte in cui la norma prevede la  competenza  del
 Pretore  di  Roma a conoscere dei giudizi di opposizione a violazione
 delle norme valutarie, in tale citta' avendo sede l'Ufficio  italiano
 dei  cambi,  preposto all'accertamento delle infrazioni stesse; b) in
 riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione,  la'  dove  la
 norma  assoggetta le controversie in argomento al procedimento di cui
 alla  legge  24   novembre   1981,   n.   689,   cosi'   sottraendole
 all'esperibilita' di un ulteriore gravame di merito.
    2. - La prima questione non e' fondata.
    2.1.  -  Il  primo comma dell'art. 32 del d.P.R. 31 marzo 1988, n.
 148, individua nel decreto del Ministro  del  tesoro,  emesso  previo
 parere  di  un'apposita  commissione consultiva, il provvedimento che
 determina la somma dovuta per le  violazioni  in  materia  valutaria,
 contestualmente  ingiungendone il pagamento e "precisandone modalita'
 e termini  secondo  quanto  previsto  dall'art.  18  della  legge  24
 novembre 1981, n. 689".
    L'impugnato  settimo  comma  specifica poi che contro tale decreto
 "puo' essere proposta opposizione davanti al pretore del luogo in cui
 e' stata commessa la  violazione,  ovvero,  quando  questa  e'  stata
 commessa  all'estero,  del  luogo  in  cui e' stata accertata"; per i
 termini ed il  procedimento  di  opposizione  e'  ivi  fatto  rinvio,
 rispettivamente,  agli  artt.  22  e 23 della citata legge n. 689 del
 1981.
    L'art. 1, terzo comma, della successiva legge 21 ottobre 1988,  n.
 455,   come   conseguenza  dell'abolitio  criminis  disposta  per  le
 violazioni valutarie, prevede poi che l'Autorita' giudiziaria dinanzi
 alla quale pendano procedimenti penali alla data d'entrata in  vigore
 della  legge,  se  non  deve  pronunciare  decreto di archiviazione o
 sentenza di proscioglimento, trasmetta gli atti all'Ufficio  italiano
 dei cambi ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative.
    2.2.  -  Il  giudizio a quo trae origine appunto dall'applicazione
 del  sistema  transitorio  da  ultimo  descritto,  e  le   violazioni
 contestate  riguardano  in  massima  parte illeciti valutari commessi
 all'estero. Il che spiega perche'  il  verbale  di  accertamento  sia
 stato  redatto  dall'Ufficio  italiano  dei  cambi,  nella  sua  sede
 istituzionale di Roma.
   E' dunque la concomitante operativita' delle due regole  -  dettate
 per  il meccanismo a regime e per la fase intertemporale - che radica
 la competenza del Pretore di Roma a conoscere dell'opposizione, e non
 gia' un'inesistente  modifica  del  forum  commissi  delicti  che  il
 giudice   a  quo  attribuisce  alla  giurisprudenza  della  Corte  di
 cassazione.
    Al riguardo  va  osservato  che,  secondo  la  prospettazione,  al
 criterio  generale che determina la competenza de qua con riferimento
 al luogo in cui  l'illecito  e'  commesso,  la  Corte  di  cassazione
 avrebbe  sostituito il diverso principio del luogo dell'accertamento.
 Quand'invece e' vero il contrario, nel senso che  la  violazione  non
 puo'  ritenersi  commessa  se  non  nel  tempo e nel luogo risultanti
 dall'accertamento,  posto  che  la  legge  non   attribuisce   alcuna
 rilevanza   al  luogo  in  cui  e'  iniziata  la  consumazione  della
 violazione prima che essa sia accertata da parte degli organi a  cio'
 preposti.  Sicche',  in particolare, le prove degli illeciti valutari
 possono essere raccolte in piu' localita' o, addirittura, emergere da
 un complesso di considerazioni logiche estranee ad ogni  concetto  di
 localizzabilita'  sul  territorio. Pertanto assume decisivo valore il
 luogo in cui elementi di origine svariata e  segmenti  d'indagine  di
 diversa  matrice  sono  stati  raccolti  e coordinati da un'autorita'
 fornita, a riguardo, di particolarissime competenze ed  attribuzioni.
 L'Ufficio  italiano dei cambi, ex art. 25 del d.P.R. n. 148 del 1988,
 si caratterizza infatti per le penetranti prerogative di controllo  e
 verifica,  esercitabili  non  solo  nei  confronti  degl'istituti  di
 credito ma anche  verso  altri  soggetti,  ed  altresi'  mediante  il
 servizio  di  vigilanza  della Banca d'Italia, la Guardia di finanza,
 l'Istituto nazionale per il commercio con l'estero.
    2.3. - La complessita' strutturale di alcuni  illeciti  giustifica
 la  competenza  del detto ufficio; e inoltre la speciale vocazione ad
 accertare le fattispecie perfezionatesi all'estero rende  a  fortiori
 ragione  della  localizzazione,  presso  quest'ultimo, della relativa
 attivita'  di  accertamento.  La  deroga  al  criterio  generale   di
 determinazione  della  competenza territoriale che la norma impugnata
 pone e', dunque,  ampiamente  giustificata  dalla  prevalenza  di  un
 interesse   pubblico   a   reprimere  tali  illeciti,  anche  per  la
 pericolosita' che tecniche sofisticate e  disponibilita'  di  ingenti
 mezzi finanziari frequentemente esprimono.
    Anzi,  puo'  dirsi che le esigenze di certezza nell'individuazione
 del giudice  competente  fanno  apparire  pressoche'  necessitata  la
 scelta  operata  dal  legislatore. La quale, all'evidenza, mentre non
 determina irragionevole disparita' di  trattamento  e  non  ostacola,
 direttamente o indirettamente, il diritto di difesa, neppure viola il
 principio   di  precostituzione  del  giudice  naturale,  di  cui  al
 contrario rappresenta un efficace modo d'attuazione. Mentre  poi  non
 e'  dato cogliere la configurabilita', nella specie, d'una lesione al
 principio di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97
 della Costituzione, cui  si  fa  cenno  -  peraltro  assai  fugace  -
 nell'ordinanza di rimessione.
    3. - La seconda questione e' manifestamente inammissibile.
    Il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  concernente l'omessa
 previsione normativa di un secondo grado di giudizio non  e'  infatti
 rilevante  ove  sollevato  nel  primo grado, poiche' si risolve nella
 prematura richiesta di  una  pronuncia  introduttiva  d'un  mezzo  di
 gravame,  destinata  a non avere efficacia alcuna nel procedimento in
 corso dinanzi al giudice a quo (v. ordinanze n. 337 del 1994 e n. 394
 del 1987).