ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  53,  terzo
 comma,  del  d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in
 materia  di  accertamento  delle  imposte  sui  redditi),  introdotto
 dall'art.  19  della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per
 ampliare  le  basi  imponibili,  per  razionalizzare,  facilitare   e
 potenziare   l'attivita'   di   accertamento;   disposizioni  per  la
 rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle  imprese,  nonche'
 per  riformare  il  contenzioso  e  per  la definizione agevolata dei
 rapporti tributari pendenti; delega al  Presidente  della  Repubblica
 per  la  concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei
 centri di assistenza fiscale  e  del  conto  fiscale),  promosso  con
 ordinanza  emessa il 17 novembre 1994 dalla Commissione tributaria di
 primo grado di Verbania sul ricorso proposto da Zanola Claudio contro
 l'Ufficio del registro di Domodossola, iscritta al n. 25 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 31 maggio 1995 il Giudice
 relatore Riccardo Chieppa;
    Ritenuto che, nel corso del giudizio sul ricorso avverso un avviso
 di accertamento relativo a taluni immobili ai  fini  dell'imposta  di
 registro  e  dell'  imposta  sull'incremento  valore  degli  immobili
 (INVIM), la Commissione tributaria di primo grado  di  Verbania,  con
 ordinanza  del  17 novembre 1994 (R.O. n. 25 del 1995), ha sollevato,
 in riferimento  all'art.  108,  secondo  comma,  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 53, terzo comma,
 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall'art.  19  della
 legge  30  dicembre  1991,  n.  413,  il  quale  fissa  la sanzione -
 consistente in una pena  pecuniaria  da  lire  centomila  a  lire  un
 milione,  da  irrogare  con  decreto del Ministro delle finanze - per
 l'inosservanza dell'obbligo, posto dall'art. 36, quarto comma,  dello
 stesso  d.P.R. n. 600 del 1973, a carico degli organi giurisdizionali
 e amministrativi che, a causa o nell'esercizio delle  loro  funzioni,
 vengano   a   conoscenza  di  fatti  che  possono  configurarsi  come
 violazioni tributarie, di comunicarli direttamente al  comando  della
 Guardia  di  finanza  competente in relazione al luogo di rilevazione
 degli stessi;
      che,  ad  avviso  del  giudice  a quo, la possibilita', prevista
 dalla disposizione impugnata, che il Ministro delle  finanze  irroghi
 ai   giudici   tributari  una  sanzione  disciplinare  per  eventuali
 omissioni  collegate  all'esercizio  delle  loro  funzioni,   sarebbe
 incompatibile  con  l'indipendenza  dei  giudici  delle giurisdizioni
 speciali, sancita dall'art. 108, secondo comma, della Costituzione;
      che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio  dei
 ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che
 ha  preliminarmente  eccepito la inammissibilita' della questione per
 difetto di rilevanza nel giudizio  a  quo;  mentre,  nel  merito,  ha
 concluso per la infondatezza della questione;
    Considerato  che  la eccezione di inammissibilita' formulata dalla
 Avvocatura generale dello Stato merita  accoglimento,  in  quanto  la
 questione  e'  prospettata  in  via  meramente ipotetica, non essendo
 profilato un qualsiasi obbligo di specifica  comunicazione  di  fatti
 configurabili  come  illeciti  tributari,  ne'  tantomeno contestata,
 nella  fattispecie,  alcuna  violazione  ai  giudici   tributari   in
 relazione alla inosservanza di un tale obbligo;
      che  non possono indurre a diversa conclusione le considerazioni
 svolte  dal  collegio  remittente  in  ordine  alla  rilevanza  della
 questione  in  quanto  concernente  l'indipendenza  del  giudice:  la
 disposizione censurata, infatti,  non  incide  sul  rapporto  che  il
 giudice   e'  chiamato  a  decidere,  ne'  concerne  la  composizione
 dell'organo  giudicante.  Di  conseguenza,  essa  non  puo'   trovare
 applicazione  sotto  alcun  profilo  da  parte  dello  stesso giudice
 (ordinanze n. 594 del 1989 e n. 326 del 1987);
      che   la   questione   sollevata   va,   pertanto,    dichiarata
 manifestamente inammissibile;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale;