ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  73,  primo
 comma,  74,  primo  comma,  e  del combinato disposto degli artt. 60,
 primo comma, numero 6) e 63, lettera d), della legge 31 luglio  1954,
 n.  599  (Stato  dei  sottufficiali  dell'Esercito,  della  Marina  e
 dell'Aeronautica), promosso con ordinanza emessa il  14  aprile  1994
 dal  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il Veneto sul ricorso
 proposto da Gaetano D'Andrea contro  il  Ministero  della  difesa  ed
 altra,  iscritta  al  n. 796 del registro ordinanze 1994 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale,
 dell'anno 1995;
    Visto l'atto di costituzione di Gaetano D'Andrea;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1995 il Giudice  relatore
 Cesare Mirabelli;
    Udito l'avvocato Antonino Romeo per Gaetano D'Andrea;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  14  aprile 1994 nel corso di un
 giudizio promosso dal sottufficiale dell'Aeronautica militare Gaetano
 D'Andrea per ottenere l'annullamento del decreto del Ministero  della
 difesa  con il quale gli era stata comminata la sanzione disciplinare
 di  Stato  della  perdita  del  grado  per  rimozione,  il  Tribunale
 amministrativo regionale per il  Veneto  ha  sollevato  questioni  di
 legittimita'   costituzionale  concernenti:  a)  l'omessa  previsione
 dell'obbligo di nominare  un  difensore  d'ufficio  nel  procedimento
 disciplinare  e  l'impossibilita'  per  il  difensore  di intervenire
 dinanzi alla Commissione  di  disciplina  in  assenza  dell'incolpato
 (artt.  73,  primo  comma,  e  74, primo comma, della legge 31 luglio
 1954, n. 599, sullo "Stato  dei  sottufficiali  dell'Esercito,  della
 Marina  e  dell'Aeronautica");  b)  la  genericita'  della  norma che
 prevede i comportamenti sanzionati con  la  rimozione  e  conseguente
 perdita  del  grado,  norma  che risulta dal combinato disposto degli
 artt. 60, primo comma, numero 6) e 63, lettera d), della legge n. 599
 del 1954.
    2. - In  relazione  al  primo  ordine  di  questioni,  il  giudice
 rimettente  ritiene  che  le  disposizioni  denunciate, in quanto non
 prevedono l'obbligo della nomina del difensore  d'ufficio  (art.  73,
 primo  comma)  e nella parte in cui stabiliscono l'impossibilita' per
 il difensore eventualmente  designato  di  intervenire  dinanzi  alla
 Commissione  di  disciplina in assenza dell'incolpato (art. 74, primo
 comma), violino il diritto di difesa (art. 24, secondo  comma,  della
 Costituzione).   La  garanzia  di  effettivita'  del  contraddittorio
 sarebbe lesa sia se l'incolpato non  nomini  un  difensore,  sia  se,
 avendolo  nominato,  ma rimanendo assente dinanzi alla Commissione di
 disciplina, non possa essere difeso da chi lo assiste.
    Ad  avviso  del   giudice   rimettente   questa   regolamentazione
 determinerebbe  anche  un'irragionevole disparita' di trattamento tra
 chi sia incolpato  di  un  illecito  disciplinare  punibile  con  una
 sanzione di Stato e chi incorra in un illecito disciplinare passibile
 della  sanzione  di  corpo della consegna di rigore, giacche' solo in
 quest'ultimo caso il militare avrebbe diritto  all'assistenza  di  un
 difensore  d'ufficio,  secondo quanto prevedono le norme di principio
 sulla disciplina militare (art. 15, secondo  comma,  della  legge  11
 luglio 1978, n. 382).
    La   soluzione   del  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  e'
 considerata dal giudice rimettente pregiudiziale per la decisione del
 giudizio principale, in quanto il  procedimento  disciplinare  si  e'
 svolto   dinanzi   alla   Commissione   di   disciplina   in  assenza
 dell'incolpato e del difensore, il quale, se  nominato,  non  avrebbe
 potuto assistere il militare incolpato non comparso.
    3.   -   In  ordine  alla  questione  concernente  la  fattispecie
 sanzionata disciplinarmente, il giudice  rimettente  ritiene  che  la
 formula   "per   violazione   del   giuramento  o  per  altri  motivi
 disciplinari", adottata per definire i casi nei quali e' prevista  la
 perdita  del  grado  (art. 60, primo comma, numero 6), della legge n.
 599 del 1954), sia estremamente generica, potendosi riferire a  tutte
 le   mancanze   previste  dal  codice  di  disciplina.  In  tal  modo
 l'incolpato non sarebbe posto in grado di conoscere preventivamente i
 comportamenti  puniti  con  la  sanzione  della   rimozione,   mentre
 all'Amministrazione sarebbe attribuita la piu' ampia discrezionalita'
 nello   stabilire   in  relazione  a  quali  illeciti  infliggere  la
 rimozione, che determina la cessazione dal servizio,  quando  per  le
 sanzioni  disciplinari  di  corpo  i  comportamenti  per i quali puo'
 essere inflitta la consegna di rigore devono essere  specificatamente
 previsti  dal regolamento di disciplina (art. 14, ultimo comma, della
 legge n. 382 del 1978).
    Il  giudice  rimettente  ritiene  che  questa  normativa  sia   in
 contrasto  con  il  principio  di  legalita' (art. 25, secondo comma,
 della  Costituzione),  in  mancanza  di  una  definizione  precisa  e
 riconoscibile  delle  fattispecie  sanzionate  con  la grave sanzione
 della rimozione,  e  violi  il  principio  di  imparzialita'  e  buon
 andamento    della    pubblica   amministrazione   (art.   97   della
 Costituzione), perche' il potere disciplinare  risulterebbe  dilatato
 in   misura   difficilmente  sindacabile  anche  in  sede  di  tutela
 giurisdizionale.
    Anche la soluzione di questo dubbio di legittimita' costituzionale
 e' considerata pregiudiziale rispetto  alla  decisione  del  giudizio
 principale,  in  quanto  al sottufficiale, gia' sanzionato penalmente
 per  diserzione,  e'  stata   addebitata,   con   una   contestazione
 equivalente  ad  una  generica trasgressione dei doveri d'ufficio, la
 violazione di  norme  del  regolamento  di  disciplina  militare  che
 riguardano  il  comportamento  contrario  al  giuramento prestato, al
 grado, al senso di responsabilita' ed al contegno del militare (artt.
 9, 10, 14 e 36 del d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545).
    4. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si  e'  costituita  la  parte
 privata,  chiedendo  che  le questioni di legittimita' costituzionale
 siano dichiarate fondate.
                        Considerato in diritto
    1. - I dubbi di legittimita' costituzionale investono,  sotto  due
 profili,  le norme sullo stato dei sottufficiali dell'Esercito, della
 Marina  e  dell'Aeronautica,  che  regolano   il   procedimento   per
 l'irrogazione   delle   sanzioni   disciplinari   di   Stato   e   la
 configurazione delle violazioni disciplinari punibili con la  perdita
 del grado per rimozione.
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale per il Veneto ritiene che
 siano in contrasto con i principi di ragionevolezza e di  eguaglianza
 (art. 3 della Costituzione), come pure con il diritto di difesa (art.
 24,   secondo  comma,  della  Costituzione),  la  mancata  previsione
 dell'obbligo  di  nominare  d'ufficio  un   difensore   che   assista
 l'incolpato dinanzi alla Commissione di disciplina, quando questi non
 lo  abbia  designato,  e  l'esclusione  dell'intervento del difensore
 dinanzi  alla  Commissione  stessa  quando  si  proceda  in   assenza
 dell'incolpato (artt. 73, primo comma, e 74, primo comma, della legge
 31  luglio  1954,  n.  599).  Il giudice rimettente sottolinea che la
 presenza di un difensore  e'  sempre  assicurata  dalle  norme  sulla
 disciplina   militare  nel  procedimento  previsto  per  irrogare  la
 sanzione disciplinare di corpo della consegna  di  rigore  (art.  15,
 secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382).
    Con  riferimento alla disciplina sostanziale, la genericita' della
 definizione della condotta ("per  violazione  del  giuramento  o  per
 altri motivi disciplinari") che puo' essere sanzionata con la perdita
 del  grado  per  rimozione  (artt.  60,  primo comma, numero 6) e 63,
 lettera d), della legge 31  luglio  1954,  n.  599)  e'  ritenuta  in
 contrasto sia con la garanzia di legalita' in relazione alle sanzioni
 punitive amministrative (art. 25, secondo comma, della Costituzione),
 sia   con   il   principio   di   imparzialita'   e   buon  andamento
 dell'amministrazione (art. 97 della Costituzione), alla quale sarebbe
 attribuito   un   potere   discrezionale   eccessivamente   ampio   e
 difficilmente sindacabile in sede di tutela giurisdizionale.
    2.   -   I   dubbi   di   legittimita'   costituzionale   relativi
 all'assistenza di un ufficiale difensore dinanzi alla Commissione  di
 disciplina sono solo in parte fondati.
    Il  primo  di essi riguarda l'art. 73, primo comma, della legge n.
 599 del 1954, nella parte in cui  stabilisce  che  "il  sottufficiale
 puo'  farsi  assistere  da  un  ufficiale  difensore, da lui scelto o
 designato dal presidente della Commissione di disciplina". Secondo il
 giudice rimettente questa disposizione non prevede che in  ogni  caso
 vi sia un difensore nel procedimento per l'irrogazione delle sanzioni
 di  Stato, come invece e' disposto dall'art. 15, secondo comma, delle
 norme di principio sulla disciplina militare (legge n. 382 del  1978)
 per  infliggere  la  sanzione disciplinare di corpo della consegna di
 rigore.
    Assumendo come parametro di scrutinio l'art. 3 della Costituzione,
 le  due  situazioni  sono  state  gia'  ritenute  dalla   Corte   non
 comparabili.  Difatti  l'assistenza  obbligatoria  di  un  difensore,
 prevista per la sanzione disciplinare  di  corpo  della  consegna  di
 rigore,  che puo' essere comminata per un massimo di quindici giorni,
 attiene al principio di liberta' personale,  garantito  dall'art.  13
 della  Costituzione, che la consegna di rigore coinvolge (sentenza n.
 17 del 1991). Inoltre la consegna di rigore e' inflitta, seguendo una
 procedura semplificata, direttamente dal comandante  di  corpo  o  di
 ente,  sentito  il  parere di una commissione consultiva nominata dal
 comandante stesso (artt. 66 e 67 del d.P.R. 18 luglio 1986, n.  545).
 E'  quindi  evidente  l'esigenza  che  siano altri a rappresentare le
 ragioni dell'incolpato  di  fronte  all'autorita'  che  determina  la
 sanzione  da  irrogare ed alla quale il militare e', e continuera' ad
 essere, sottoposto.
    L'adozione delle sanzioni  di  Stato  e'  circondata  da  maggiori
 garanzie, sia per la composizione della Commissione di disciplina, al
 cui  giudizio  e'  sottoposto  il sottufficiale (il quale ha anche la
 facolta'  di  ricusarne  un  componente),  sia  per  il  disegno  del
 procedimento,  non  dissimile  da quello previsto dallo statuto degli
 impiegati civili dello Stato (d.P.R.   10 gennaio 1957,  n.  3),  nel
 quale  pure non vi e' l'obbligo per l'impiegato di farsi assistere da
 un difensore (si veda, ancora, la sentenza n. 17 del 1991).
    In riferimento all'art. 24 della Costituzione, e' da rilevare  che
 il  diritto  di difesa non si estende, nel suo pieno contenuto, oltre
 la sfera  della  giurisdizione,  sino  a  coprire  ogni  procedimento
 contenzioso  di natura amministrativa, nel quale tuttavia deve essere
 salvaguardata una possibilita' di contraddittorio che  garantisca  un
 nucleo  essenziale  di  valori  inerenti ai diritti inviolabili della
 persona (sentenze n. 71 e n. 57 del 1995),  quando  possono  derivare
 per  essa  sanzioni  che  incidono su beni, quale il mantenimento del
 rapporto di servizio o di lavoro, che hanno rilievo costituzionale.
    Il contraddittorio e  la  possibilita'  di  difesa  non  implicano
 l'obbligatorieta'  dell'assistenza  di  un  difensore,  anche  se  il
 legislatore  potrebbe  opportunamente,  nella  sua  discrezionalita',
 prevederla, seguendo un modello di piu' elevata garanzia.
    Del  resto,  le norme esplicative per l'adozione dei provvedimenti
 disciplinari di Stato nei procedimenti a  carico  dei  sottufficiali,
 emanate,  in  applicazione  della legge n. 599 del 1954, dal Ministro
 per la difesa con decreto del  15  settembre  1955,  interpretano  ed
 intendono   attuare   nella  prassi  amministrativa  la  prescrizione
 dell'art.  73  della  legge  nel  senso  che  il   presidente   della
 Commissione  di  disciplina  "provvede  ad interpellare il giudicando
 perche' dichiari per iscritto, ed entro dieci giorni, se e  da  quale
 ufficiale  in  servizio  intenda essere assistito" e che, "qualora il
 giudicando non abbia rinunciato al diritto di farsi assistere ma  non
 abbia  scelto  il  proprio  difensore, questo e' designato d'ufficio"
 ((Paragrafo) 6 della sezione II del capo IV). E' dunque previsto  che
 sia  assicurata  un'assistenza  difensiva,  rinunciabile solo in modo
 esplicito dall'interessato, anche in caso di inerzia di quest'ultimo.
    La questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  73,  primo
 comma,  della  legge  n.  599  del  1954  non e' pertanto fondata, in
 relazione ad entrambi i parametri di valutazione indicati dal giudice
 rimettente.
    3. - Fondato e' invece il dubbio  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 74, primo comma, della stessa legge, nella parte in cui non
 consente  al  difensore,  nominato  dall'interessato  o designato dal
 presidente della Commissione di disciplina,  di  intervenire  dinanzi
 alla  Commissione stessa quando il sottufficiale nei cui confronti si
 procede rimanga assente.
    La  questione  deve  essere  esaminata  nel  merito  anche  se  il
 sottufficiale, convocato dalla Commissione e non presentatosi, non ha
 provveduto  a  nominare  un  ufficiale  difensore.  La mancanza della
 nomina, difatti, non esclude la rilevanza della  questione,  giacche'
 tale  omissione  si  inserisce  in  un contesto normativo che avrebbe
 determinato l'inutilita' della nomina o della designazione  d'ufficio
 di  un  ufficiale  difensore. Questi, in base alla norma sottoposta a
 verifica di costituzionalita', non sarebbe potuto intervenire dinanzi
 alla Commissione di disciplina, essendo rimasto assente l'incolpato.
    Il  divieto  di  esplicare  un  mandato   difensivo   in   assenza
 dell'incolpato  si palesa del tutto irrazionale. Ammessa, difatti, la
 facolta'  di  farsi  assistere  da   un   difensore,   l'effettivita'
 dell'attivita'  difensiva  non puo' essere condizionata alla condotta
 dell'incolpato  nel  procedimento.  Questi  puo'  legittimamente  non
 comparire  dinanzi  alla  Commissione  di  disciplina secondo una sua
 libera scelta, preferendo affidare a chi  lo  assiste  l'enunciazione
 delle  ragioni a giustificazione della propria condotta ed a sostegno
 della propria posizione,  senza  che  ne  derivi  una  ingiustificata
 compressione delle attivita' difensive.
    Deve  essere,  quindi,  dichiarata l'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 74, primo comma, ultimo periodo, della  legge  n.  599  del
 1954, limitatamente alla parola "non", che immediatamente precede "e'
 ammesso ad intervenire".
    4.  - Gli artt. 60, primo comma, numero 6) e 63, lettera d), della
 legge n. 599 del 1954 comprendono tra  le  sanzioni  disciplinari  di
 stato la perdita del grado per rimozione; stabiliscono inoltre, quale
 causa  di  rimozione,  la  violazione  del  giuramento o altri motivi
 disciplinari, previo giudizio della Commissione di disciplina.
    Il giudice rimettente  sottolinea  la  genericita'  della  formula
 usata  dal  legislatore  e ritiene violato il principio di legalita',
 per l'assenza  di  una  definizione  precisa  e  riconoscibile  della
 fattispecie  sanzionata.  Invoca,  quali  parametri  del  giudizio di
 legittimita' costituzionale, gli artt. 25, secondo comma, e 97  della
 Costituzione.
    La  prima  di  queste  disposizioni  costituzionali  stabilisce un
 principio  di  necessaria  e  previa  definizione  legislativa  degli
 illeciti, attribuendo forza di vincolo costituzionale ad un principio
 che  caratterizza  il  diritto  penale; ma non puo' trovare immediata
 estensione ad ogni campo di  illecito,  dovendo  l'art.  25,  secondo
 comma,   della   Costituzione   essere   interpretato  in  necessario
 collegamento con  il  primo  comma  dello  stesso  articolo,  che  si
 riferisce  alla  materia  penale  e non copre quindi la materia degli
 illeciti disciplinari (sentenza n. 100 del 1981; ordinanza n. 541 del
 1988).
    Tuttavia il principio che  e'  alla  base  di  tale  disposizione,
 diretto a garantire la persona da arbitrarie sanzioni suscettibili di
 incidere  su  valori  costituzionalmente tutelati, se non consente la
 trasposizione della penetrante esigenza di protezione  propria  della
 sfera  penale  -  che,  toccando  la  liberta'  personale,  impone la
 puntuale e completa definizione dei  comportamenti  vietati  e  delle
 relative  sanzioni  -,  richiede  che  anche  nell'esercizio di altri
 poteri   autoritativi,   quali   quelli   propri    della    pubblica
 amministrazione in materia disciplinare, i comportamenti suscettibili
 di  sanzione  siano  definiti  in  base alla legge. Puo' permanere un
 ambito  di  elasticita'  nella  puntuale   configurazione   e   nella
 determinazione  delle condotte sanzionabili, ma e' sempre necessario,
 anche   in   coerenza   con    il    principio    di    imparzialita'
 dell'amministrazione,  che esse siano riferibili a principi enunciati
 da disposizioni legislative o enucleabili dai valori che ispirano nel
 loro complesso le regole di comportamento che caratterizzano la scala
 di doveri propri della funzione esercitata.
    Per quanto riguarda la perdita del grado per  rimozione,  prevista
 per  i sottufficiali dalla disposizione denunciata, il riferimento ai
 "motivi disciplinari" indicati dall'art. 60, primo comma, numero  6),
 della  legge  n.  599  del  1954  si  integra con l'indicazione della
 responsabilita'   per   "atti   incompatibili   con   lo   stato   di
 sottufficiale",  richiesta  dall'art.  67  della  stessa legge per la
 sottoposizione a Commissione di disciplina. Pur se  e'  da  auspicare
 una  piu'  stringente definizione legislativa, che adegui le garanzie
 per le sanzioni di stato al livello di definizione degli illeciti ora
 delineato dalle norme di principio sulla disciplina  militare  (legge
 n.  382 del 1978) e dal regolamento di disciplina militare (d.P.R. n.
 545  del  1986),  le  disposizioni  denunciate,  il   cui   contenuto
 descrittivo  dei  comportamenti  sanzionabili  si  combina con quanto
 previsto dall'art. 67 della legge n. 599 del 1954, non attingono alla
 rottura del principio  di  legalita'  e  non  determinano  violazione
 dell'imparzialita'   dell'amministrazione.   Gli   atti   di  cui  il
 sottufficiale si  sia  reso  responsabile  -  nel  caso  oggetto  del
 giudizio  principale la diserzione - devono essere "incompatibili con
 il suo stato", tali cioe' da non garantire l'adempimento  dei  propri
 doveri  e  da  non  consentire  il  permanere del rapporto. Si impone
 quindi,  nel  giudizio  della  Commissione  di   disciplina   e   nel
 provvedimento   che   accerta   la   consistenza  dell'addebito,  una
 motivazione tanto piu' rigorosa ed esauriente, quanto meno  specifica
 e' la formula che descrive i comportamenti sanzionati, di modo che si
 possa  esercitare  quel  piu' penetrante sindacato di legittimita' da
 parte del giudice, gia' affermato dalla giurisprudenza amministrativa
 proprio con riferimento ai provvedimenti disciplinari per i militari.