ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) promosso con ordinanza emessa il 26 settembre 1994 dal Pretore di Brescia nel procedimento penale a carico di Carrato Massimo, iscritta al n. 71 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1995; Udito nella camera di consiglio del 28 giugno 1995 il Giudice relatore Renato Granata; Ritenuto che nel corso del procedimento penale a carico di Carrato Massimo, imputato del reato di emissione di assegno bancario senza provvista, il Pretore di Brescia con ordinanza del 26 settembre 1994 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale in via incidentale dell'art. 11 della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) con riferimento all'art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede, quale condizione di improcedibilita' (o come causa estintiva) per i reati afferenti agli assegni, anche la remissione del debito; che - rileva il Pretore remittente - soltanto il pagamento dell'assegno e degli accessori determina l'improseguibilita' o improcedibilita' dell'azione penale, non anche la rimessione del debito alla quale non puo' estendersi in via analogica la medesima disciplina; che tale esclusione e' pero' irragionevole ( ex art. 3 Cost.) atteso che attraverso la remissione (totale o parziale che sia) viene meno l'interesse del creditore all'adempimento (nell'ipotesi in cui tale atto intervenga prima che il credito divenga esigibile) ovvero viene meno il danno conseguente all'inadempimento (nell'ipotesi in cui la remissione intervenga successivamente); che tale assimilabilita' della remissione del debito al pagamento comporta che, al fine della improseguibilita' o improcedibilita' dell'azione penale per il reato di emissione di assegno senza provvista, la disciplina non puo' che essere la stessa. Considerato che - come questa Corte ha gia' ritenuto (sent. n. 203 del 1993) e come risulta altresi' affermato nella giurisprudenza della Corte di cassazione - la circolazione degli assegni bancari e' presidiata da tutela penale in ragione della loro funzione di strumento di pagamento e non gia' di strumento di credito, sicche' il bene giuridico tutelato e' costituito dall'affidamento che la collettivita' fa nell'assegno come mezzo solutorio per l'adempimento delle obbligazioni pecuniarie; che la successiva remissione del debito puo' valere semmai solo a ripristinare gli interessi patrimoniali, ma non elide l'intervenuta lesione della fede pubblica; che viceversa l'eccezionale ipotesi di improcedibilita' dell'azione penale, introdotta dagli artt. 8 ed 11 della legge n. 386 del 1990 per perseguire una finalita' deflattiva di processi penali relativi a fatti che non destano particolare allarme sociale, nel caso di pagamento non solo dell'assegno ma anche degli accessori (interessi, penale e spese di protesto), conserva comunque - proprio in ragione di tale complessivo (piu' oneroso) pagamento - una funzione disincentivante dell'impiego dell'assegno come strumento di credito, funzione che invece sarebbe del tutto frustrata se anche la mera remissione del debito sortisse il medesimo effetto di paralisi dell'azione penale; che pertanto e' pienamente giustificata la disciplina differenziata delle due situazioni poste in comparazione, sicche' la censura di costituzionalita' allegata dal giudice rimettente si appalesa manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.