ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 5, 23,
 38, 39, 41 e 66 della legge 24  dicembre  1993,  n.  537  (Interventi
 correttivi di finanza pubblica), dell'art. 3, commi 6, 8, 19, 23, 29,
 30, 37, 39, 47, 48, 41 e 66 della predetta legge 24 dicembre 1993, n.
 537  e dell'art. 22, comma 37, e dell'art. 25 della legge 23 dicembre
 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione  della  finanza  pubblica),
 promossi  con  ricorsi  della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
 della Regione Veneto e della Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia,
 notificati  il  26  e  il  27  gennaio  1994  e  il 28 gennaio 1995 e
 depositati in cancelleria il 2 e il 4 febbraio 1994 e il  1  febbraio
 1995  ed  iscritti rispettivamente ai nn. 5 e 11 del registro ricorsi
 1994 e al n. 2 del registro ricorsi 1995;
    Visti gli atti di costituzione del Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1995 il Giudice relatore
 Massimo Vari;
    Uditi  gli  Avvocati Renato Fusco e Sergio Panunzio per la Regione
 autonoma Friuli-Venezia Giulia e Guido Viola per la Regione Veneto  e
 l'Avvocato  dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio
 dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1. - Con ricorso notificato il 26 gennaio 1994 (Reg. ric.  n.  5
 del  1994)  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia Giulia ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3,  commi  5,  23,
 38,  39,  41  e  66  della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi
 correttivi di finanza pubblica).
    Secondo  la  ricorrente,  le  norme  impugnate,  ove   considerate
 applicabili  alla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  sarebbero lesive
 della  sfera  di  competenza  primaria  ad  essa   costituzionalmente
 assegnata,  in  materia di ordinamento degli uffici regionali e stato
 giuridico ed economico del personale, dall'art. 4,  numero  1,  dello
 Statuto  speciale  di autonomia approvato con legge costituzionale 31
 gennaio 1963, n. 1, in quanto non costituiscono norme fondamentali di
 riforma economico-sociale della Repubblica.
    In particolare, l'art. 3, comma 5, facendo obbligo alla Regione di
 provvedere alla verifica dei carichi di lavoro, sarebbe  "preordinato
 a  inammissibili controlli di merito", concretando una non consentita
 intromissione nella organizzazione degli uffici regionali;  il  comma
 23,  facendo  divieto  di assumere personale a tempo determinato e di
 stabilire prestazioni di lavoro autonomo per periodi superiori a  tre
 mesi,  impedirebbe  alla  Regione  di  provvedere  al  fabbisogno del
 personale, con menomazione della potesta' amministrativa  in  materia
 di  pubblico  impiego;  il  comma 38 e il comma 39, introducendo, con
 riguardo  al  congedo  straordinario,  limitazioni  autoritative  nei
 contenuti  del  rapporto  di impiego regionale, interverrebbero in un
 campo riservato alla Regione; il  comma  41,  stabilendo,  sempre  in
 materia  di  congedo  straordinario,  che  i  commi  37,  38  e 39 si
 applicano a tutte le amministrazioni pubbliche, ed il comma  66,  che
 qualifica  le  norme  della  legge, in materia di rapporti di lavoro,
 quali "norme  di  indirizzo"  per  le  regioni,  sarebbero  anch'essi
 illegittimi,  se interpretati nel senso di riferirsi anche al Friuli-
 Venezia Giulia.  La Regione conclude affermando di aver presentato il
 ricorso  "in  via  cautelativa",  ben potendo esso essere considerato
 inammissibile se le disposizioni - nessuna delle quali  puo',  a  suo
 avviso,  reputarsi  norma fondamentale di riforma economico-sociale -
 non si ritenessero applicabili alla Regione  ricorrente  (anche  alla
 luce  del dettato dell'art. 35 - recte: del comma 35 - della medesima
 legge n.  537 del 1993).
    1.2. -  Nel  giudizio  di  fronte  alla  Corte  costituzionale  e'
 intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  le
 questioni siano dichiarate inammissibili o infondate. In particolare,
 il comma 5, relativo ai carichi di lavoro, opererebbe come una  norma
 "di  indirizzo"  (ben  potendo  il  Parlamento, con legge, provvedere
 all'indirizzo e coordinamento), ne' potrebbe parlarsi di controlli di
 merito,  essendo  la  verifica  della  congruita'  delle  metodologie
 utilizzate  finalizzata  alla  omogeneizzazione  tecnica  dei  metodi
 adottati. Il comma 23 pone, insieme al comma 27, una regola  generale
 di  prevenzione del precariato; il comma 37 (con il comma 41) pone un
 tetto  ai  congedi  straordinari   retribuiti,   per   impedire   una
 disomogeneita'  tra  pubblici  dipendenti;  il comma 39, anch'esso in
 unione al comma 41, pone regole di generale  e  diretta  applicazione
 per  disincentivare  le  assenze brevi; esso non appare incompatibile
 con la legislazione regionale. Del comma 66 - si afferma - il ricorso
 chiede solo una interpretazione. Parimenti e' da dirsi per  il  comma
 35.
    1.3.  -  In  prossimita'  dell'udienza l'Avvocatura dello Stato ha
 presentato  una  memoria  rilevando  che,  in  materia   di   congedo
 straordinario,  e' sopravvenuta la norma interpretativa dell'art. 22,
 comma 26, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, non  impugnata  dalla
 Regione  Friuli-Venezia  Giulia.  Sarebbe pertanto cessata la materia
 del contendere in ordine ai commi 38, 39 e 41 dell'art. 3 della legge
 n. 537 del 1993. A  ritenere  il  contrario,  la  questione  dovrebbe
 essere  dichiarata  infondata.  La  materia  del  contendere  sarebbe
 cessata altresi' per quanto attiene al comma 5 del medesimo  art.  3,
 essendo  sopravvenuto  l'art.  22,  comma  18, della legge n. 724 del
 1994, che precisa la finalita' cui la verifica dei carichi di  lavoro
 e'  rivolta.  Riguardo al comma 66 dell'art. 3 della legge n. 537 del
 1993, esso appare assorbito dall'art. 22, comma 37,  della  legge  n.
 724 del 1994, per cui "parrebbe superflua una autonoma pronuncia".
    2.1.  - Con ricorso notificato il 27 gennaio 1994 (Reg. ric. n. 11
 del 1994), la Regione Veneto ha sollevato questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  117,  118  e 123 della
 Costituzione, dell'art. 3, commi 6, 8, 19, 23, 29, 30,  37,  39,  47,
 48,  51 e 66 della predetta legge 24 dicembre 1993, n. 537.  Sostiene
 la ricorrente che varie  norme  dell'art.  3  appaiono  lesive  della
 autonomia  regionale: il comma 6 che, congelando al 31 agosto 1993 le
 dotazioni organiche di tutte le amministrazioni pubbliche,  penalizza
 quelle  regioni  che,  come  il  Veneto,  hanno mantenuto un organico
 contenuto; il comma  8,  che,  salva  una  limitata  possibilita'  di
 coprire i posti resi disponibili per cessazioni, blocca le assunzioni
 fino al 31 dicembre 1996; il comma 23, che blocca anche le assunzioni
 di personale a tempo determinato, comprese quelle in sostituzione del
 personale in maternita'; il comma 19, che "sembrerebbe bloccare anche
 la spesa storica quale esistente al 31 agosto 1993"; i commi 29 e 30,
 che  obbligano  a segnalare i nominativi dei dipendenti fuori ruolo o
 comandati al Dipartimento della funzione pubblica, che ha  competenza
 ad  esaminare  i  motivi  dei  provvedimenti;  i  commi  37 e 39, che
 modificano la disciplina del  congedo  straordinario  dei  dipendenti
 statali,  con  disposizioni  sicuramente vincolanti per le regioni ai
 sensi del comma 41, ma di impossibile applicazione, tenuto conto  che
 i   contratti  nazionali  di  comparto  prevedono  la  individuazione
 analitica  dei  vari  tipi  di  congedo  straordinario,  nonche'  una
 disciplina   unitaria   dell'assenza  per  malattia  con  imputazione
 dell'assenza ad una categoria a se' stante; i commi 47, 48 e 51,  che
 abilitano  il  Dipartimento  per  la  funzione  pubblica a dichiarare
 l'eccedenza di dipendenti pubblici (anche regionali), a collocarli in
 disponibilita' o trasferirli; il comma 66, che prevede  che  soltanto
 la   disciplina   relativa   alla  materia  del  rapporto  di  lavoro
 costituisca  indirizzo  per  le  regioni,   con   cio'   considerando
 immediatamente vincolanti tutte le altre disposizioni.
    2.2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
 infondate.
    Sostiene  l'Avvocatura che il ricorso non reca motivi di doglianza
 specificamente riferiti ai parametri invocati e, al tempo stesso, che
 gli artt. 118 e 123 evocati non sarebbero pertinenti. Nel  merito  si
 osserva che: il comma 6, sopprimendo i posti vacanti alla data del 31
 agosto  1993,  pone una norma di principio, vincolante per la Regione
 che, pero', non  determina,  contrariamente  a  quanto  asserisce  la
 ricorrente,  una  impossibilita' di assunzioni e quindi una riduzione
 (rispetto  alla  situazione  al  31  agosto  1993)  del  numero   dei
 dipendenti;  il  comma 23, unitamente al 27, pone una regola generale
 di prevenzione del precariato, in  applicazione  dell'art.  97  della
 Costituzione;  il  comma 19 reca soltanto una precisazione che intro-
 duce elementi di elasticita' rispetto a quanto  stabilito  nei  commi
 precedenti,   non  essendovi  pertanto  un  interesse  della  Regione
 ricorrente all'annullamento; il comma 29  ed  il  primo  periodo  del
 comma 30, che contemplano una sorta di censimento delle situazioni di
 fuori  ruolo,  non  violano l'autonomia regionale; il secondo periodo
 del comma 30 non pare prevedere la revoca di atti regionali; il comma
 37 che, unitamente al comma 41, pone un tetto  per  tutti  i  congedi
 straordinari  retribuiti,  non appare incompatibile con la disciplina
 regionale (art. 74 della legge regionale n. 12 del  1991);  anche  il
 comma  39,  che  pone  una regola generale e di diretta applicazione,
 volta a disincentivare le assenze brevi, non e' incompatibile con  la
 legislazione  regionale  (art.  76  della  legge  regionale n. 12 del
 1991).  Le  censure  avverso  i  commi  47,   48   e   51   sarebbero
 inammissibili,  perche'  non  specificate  nel  ricorso, o, comunque,
 infondate, specie per quanto riguarda l'art. 48  che  reca  norme  di
 generale  e  diretta applicazione, mentre del comma 66 si chiederebbe
 soltanto una interpretazione.
    2.3.  -  Anche  la  Regione  Veneto  ha  presentato  una  memoria,
 ribadendo  l'ammissibilita'  delle  censure contenute nel ricorso. In
 particolare, il comma 6 dell'art. 3 della  legge  n.  537  del  1993,
 conterrebbe  non  una norma di principio, bensi' una disposizione "di
 natura  provvedimentale"  a  carattere  provvisorio   che   impedisce
 l'adeguamento  delle  dotazioni organiche, in relazione alle esigenze
 organizzative  e  funzionali;  illegittimo  sarebbe anche il comma 8,
 come pure il comma 23, che ignora la realta' organizzativa regionale,
 ponendo interi  settori,  come  l'istruzione  ed  il  turismo,  nella
 impossibilita'  di  funzionare;  il  comma  19,  si  ribadisce, viene
 impugnato in relazione al blocco della spesa che ivi si  dispone.  La
 memoria osserva, poi, quanto ai commi 29 e 30, da una parte, e 47, 48
 e 51, dall'altra, che essi illegittimamente inseriscono la Regione in
 una  struttura organizzativa e procedimentale dominata dall'Autorita'
 statale  con  poteri  sostitutivi  (comma  30)  nei  confronti  delle
 amministrazioni  regionali;  rilevando, altresi', per i commi 37 e 39
 l'incompatibilita' con il sistema del tutto diverso della  disciplina
 regionale  e  per il comma 66, il carattere immediatamente vincolante
 che ne consegue  in  ordine  alle  disposizioni  relative  ad  ambiti
 diversi dal lavoro autonomo e subordinato.
    2.4.  -  L'Avvocatura  dello  Stato,  nella  memoria presentata in
 prossimita'  dell'udienza,  rileva  "il  venir  meno  della  presente
 controversia quanto ai commi 37, 39 e 66 dell'art. 3", in conseguenza
 del  sopravvenire  della  legge  n. 724 del 1994, avverso la quale la
 Regione Veneto non ha proposto ricorso.
    3.1.- Con ricorso notificato il 28 gennaio 1995 (Reg.  ric.  n.  2
 del  1995)  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia Giulia ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art.  4,
 numero 1, dello Statuto speciale, dell'art. 22, comma 37, e dell'art.
 25  della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica).  Sostiene la ricorrente che le  disposizioni
 impugnate - la prima delle quali stabilisce il carattere di indirizzo
 per  le  regioni  delle norme riguardanti la gestione del rapporto di
 lavoro,  mentre  la  seconda  limita  la  possibilita'  di  conferire
 incarichi  di  consulenza, collaborazione, studio e ricerca - se e in
 quanto  ritenute  applicabili  alla  Regione  Friuli-Venezia   Giulia
 violerebbero  la  competenza primaria in materia di ordinamento degli
 uffici e di stato giuridico ed economico del  personale,  tanto  piu'
 che  la  Regione  ha  disciplinato in modo diverso, con sue leggi, la
 materia. Rilevato che nell'intero Capo III della  legge  n.  724  del
 1994   sono   utilizzate   generiche   formulazioni,  tutte  comunque
 riferentesi a  "pubbliche  amministrazioni",  secondo  la  ricorrente
 risulta decisivo stabilire se la definizione relativa, contenuta gia'
 nell'art.  1, comma 2, del decreto legislativo n. 29 del 1993, assuma
 rilievo di carattere generale riferito  a  tutte  le  amministrazioni
 (indipendentemente  dal  contesto  in  cui  e'  inserito),  ovvero se
 comprenda  o  meno  le  medesime  regioni  speciali.  Le  regioni  ad
 autonomia  differenziata non dovrebbero, infatti, essere comprese nel
 novero delle amministrazioni pubbliche di cui all'art.  1,  comma  2,
 del  decreto legislativo n. 29 del 1993, visto anche il richiamo alla
 salvaguardia della loro autonomia contenuto nella legge delega n. 421
 del 1992. Ne' potra' giammai  ritenersi  che  costituiscono  principi
 riformatori inderogabili le varie disposizioni contenute nel Capo III
 della  medesima legge n.  724 del 1994, che dovrebbero concretare non
 meglio qualificate "norme di indirizzo", sia  perche'  si  tratta  di
 materie   attribuite  alla  esclusiva  competenza  legislativa  della
 Regione Friuli-Venezia Giulia, sia perche' le varie  norme  di  detta
 legge  non  possono  essere considerate norme fondamentali di riforma
 economico-sociale, come tali capaci di  vincolare  anche  le  regioni
 speciali.
    3.2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    3.3. -  Nell'imminenza  dell'udienza,  la  Regione  Friuli-Venezia
 Giulia  ha presentato una memoria, ribadendo che, se l'art. 22, comma
 37, della legge n. 724 del  1994  dovesse  essere  interpretato  come
 riferito  anche  alle regioni speciali, sarebbe incostituzionale - in
 riferimento agli artt. 4, numero 1, e 8 dello Statuto speciale -  per
 invasione  di  una  competenza  regionale  esclusiva. Le disposizioni
 riguardanti la gestione del rapporto di lavoro, definite come  "norme
 di  indirizzo",  sono, infatti, quelle contenute nei precedenti commi
 dell'art. 22, che recano una disciplina di minuto dettaglio  che  non
 e'  riconducibile  alle  "norme fondamentali delle riforme economico-
 sociali". Ricordata la giurisprudenza della Corte  sulla  nozione  di
 norme  fondamentali  di  riforma economico-sociale, riaffermata nelle
 recenti sentenze nn. 354 e 355  del  1994,  la  memoria  osserva  che
 diverso  sarebbe  stato se la disposizione censurata avesse stabilito
 che i soli principi ricavabili dalle norme  riguardanti  la  gestione
 del  rapporto  di  lavoro vincolano la Regione. La autoqualificazione
 delle norme quali "norme di indirizzo", anziche'  norme  di  riforma,
 non  appare rilevante: soltanto se si trattasse di norme fondamentali
 di  riforma  esse,  infatti,  sarebbero  in  grado  di  limitare   la
 competenza  legislativa  ed anche amministrativa esclusiva, in quanto
 il potere statale di indirizzo costituisce, secondo la giurisprudenza
 della Corte (sentenza n. 39 del  1971),  il  corrispondente  di  tale
 limite  (e  di  quello  dei  principi) per l'autonomia amministrativa
 regionale.  L'art.25 della legge n. 724 del 1994 non  dovrebbe,  poi,
 essere  applicabile  alla  Regione  ricorrente,  in quanto questa non
 dovrebbe  considerarsi  ricompresa,   come   gia'   detto,   tra   le
 "amministrazioni  pubbliche"  di cui all'art. 1, comma 2, del decreto
 legislativo n. 29 del 1993. In caso contrario,  l'articolo  in  esame
 dovrebbe  essere  dichiarato incostituzionale, in quanto le norme ivi
 contenute non hanno il carattere di  norme  fondamentali  di  riforma
 economico-sociale.
    3.4.  -  Anche l'Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria,
 nella quale, con riferimento all'art. 25 della legge n. 724 del 1994,
 si sostiene che  la  questione  sarebbe  infondata,  in  quanto  tale
 articolo  -  il  quale  mira  "a  garantire  la  piena  ed  effettiva
 trasparenza  e  imparzialita'  dell'azione  amministrativa"   -   non
 riguarda  la  materia  del  personale  dipendente  della  regione, ma
 singoli  pensionati  che  in  passato  hanno  fatto  parte  di   tale
 personale,   ne'  incide  sull'ordinamento  degli  uffici  regionali,
 connettendosi bensi'  alla  materia  previdenziale,  che  non  e'  di
 competenza regionale.  Circa l'art. 22, comma 37, la memoria sostiene
 che   il   ricorso  dovrebbe  essere  dichiarato  inammissibile,  per
 indeterminatezza della materia del contendere, perche' non si precisa
 se si intenda impugnare anche gli altri commi dell'art. 22, ovvero se
 la doglianza e' da ritenere circoscritta al solo comma 37, come norma
 a se' stante. Pertanto, solo in via  ipotetica,  vanno  esaminate  le
 disposizioni   dell'art.   22,   dalle   quali   risulta   che  molte
 costituiscono norme di  riforma  (commi  da  1  a  5  sull'orario  di
 servizio),  mentre  altre  non  si  applicano alla Regione ricorrente
 (commi da 6 a 14, per il disposto del comma 37,  secondo  periodo,  e
 del  comma 11; commi da 15 a 19). Rilevato che nel comma 18 si rinvia
 all'art.  6,  comma 1, del decreto legislativo n. 29 del 1993, ove si
 menzionano  le  amministrazioni  dello  Stato  anche  ad  ordinamento
 autonomo,  la  memoria  osserva che seguono una serie di disposizioni
 (congedo straordinario, aspettativa, equo indennizzo) aventi lo scopo
 di contenere la spesa pubblica e omogeneizzare i detti  istituti  (ad
 esempio  il comma 26). Vi sarebbero, poi, alcuni commi (ad esempio il
 33) che non riguardano le regioni. Il comma 34, di  portata  limitata
 nel  tempo, riguarda i limiti soggettivi di efficacia delle sentenze,
 materia riservata allo Stato. Ribadito che la Regione non ha  dedotto
 specifiche  invasivita',  si  osserva  che  il  comma 37 riconosce le
 autonomie, in quanto si  riferisce  espressamente  all'"ambito  della
 propria  autonomia  e capacita' di spesa", affermando altresi' che le
 norme sul rapporto di lavoro "costituiscono norme di indirizzo"  (con
 cio' attenuando la diretta applicabilita' delle norme statali).
    Infine,  si sostiene che spetta allo Stato, in nome dell'interesse
 nazionale, porre le regole per il contenimento della spesa  pubblica,
 anche  nel  settore  del pubblico impiego: il comma 37 si colloca nel
 quadro di una vasta riforma economico-sociale che  richiede  l'azione
 del legislatore nazionale.
                        Considerato in diritto
    1.  -  I  tre  ricorsi  in  epigrafe, due dei quali proposti dalla
 Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e uno  dalla  Regione  Veneto,
 investono  varie disposizioni contenute nella legge 24 dicembre 1993,
 n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica) e nella  legge  23
 dicembre  1994,  n.  724  (Misure  di razionalizzazione della finanza
 pubblica).
    Tali interventi legislativi si collocano in un quadro generale  di
 riforma  del  pubblico impiego il cui punto di avvio e' rappresentato
 dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.  29,  che  -  emanato  in
 attuazione  della delega contenuta nell'art. 2 della legge n. 421 del
 1992  -  mira  ad  una  nuova  disciplina  organica   della   materia
 dell'organizzazione degli uffici e dei rapporti di lavoro nell'ambito
 delle  amministrazioni  pubbliche, al fine di accrescere l'efficienza
 delle   amministrazioni   stesse   "in   relazione   a   quella   dei
 corrispondenti  uffici  e  servizi  dei Paesi della Comunita' europea
 anche  mediante  il  coordinato  sviluppo  di   sistemi   informativi
 pubblici",   di   "razionalizzare   il  costo  del  lavoro  pubblico,
 contenendo  la  spesa  complessiva  per  il  personale,  diretta   ed
 indiretta,  entro  i  vincoli  della finanza pubblica" e di integrare
 gradualmente la disciplina del lavoro pubblico con quella del  lavoro
 privato.
    2.  - Poiche' i ricorsi sollevano questioni in parte analoghe e in
 parte connesse, essi possono essere riuniti, per venir decisi con una
 unica sentenza.
    3. - Con  il  primo  ricorso,  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia
 impugna  l'art.  3,  commi  5,  23,  38,  39,  41 e 66 della legge 24
 dicembre 1993, n. 537, per contrasto con l'art. 4,  numero  1,  dello
 Statuto  speciale  di autonomia approvato con legge costituzionale 31
 gennaio 1963, n. 1.
    Il secondo ricorso, proposto invece dalla Regione Veneto,  censura
 il   medesimo   art.   3  della  legge  24  dicembre  1993,  n.  537,
 relativamente ai commi 6, 8, 19, 23, 29, 30, 37, 39, 47, 48, 51 e 66,
 ritenuti  in  contrasto  con  gli  artt.  117,  118   e   123   della
 Costituzione.    Infine,  con  il  terzo  ricorso, la Regione Friuli-
 Venezia  Giulia denuncia l'art. 22, comma 37, e l'art. 25 della legge
 23 dicembre 1994, n. 724, per contrasto con l'art. 4, numero 1, dello
 Statuto  speciale,  in  quanto  interverrebbero  in  una  materia  di
 competenza esclusiva della Regione e dalla medesima gia' diversamente
 disciplinata.
    4.  -  Le  questioni,  se  si  esclude la doglianza avanzata dalla
 Regione Friuli-Venezia Giulia avverso il comma 5  dell'art.  3  della
 legge  n.  537 del 1993, non sono fondate.  Per procedere ad un esame
 ordinato delle varie questioni sollevate, la Corte ritiene di muovere
 da quelle che investono gli aspetti piu'  generali  della  disciplina
 contenuta  nell'art.  3  della legge 24 dicembre 1993, n. 537, vale a
 dire quelle concernenti il  comma  66  -  censurato  da  entrambe  le
 Regioni  ricorrenti  - secondo il quale le disposizioni in materia di
 rapporti di lavoro  dipendente  ed  autonomo  contenute  nella  legge
 costituiscono  norme  di  indirizzo per le regioni, che provvedono in
 materia nell'ambito  della  propria  autonomia  e  nei  limiti  della
 propria  capacita' di spesa.  La Regione Friuli-Venezia Giulia assume
 che la norma, ove interpretata nel senso  di  essere  anche  ad  essa
 applicabile,   imporrebbe   comportamenti   ed   adempimenti   lesivi
 dell'autonomia regionale, in violazione  dell'art.  4  dello  Statuto
 speciale  che  ricomprende  nella competenza legislativa esclusiva la
 materia "ordinamento degli  uffici  e  degli  enti  dipendenti  dalla
 Regione  e  stato  giuridico  ed  economico  del  personale  ad  essi
 addetto".  A sua volta, la Regione Veneto assume che la  disposizione
 medesima,  riferendosi  soltanto alla materia del rapporto di lavoro,
 implicherebbe il carattere immediatamente vincolante per  le  regioni
 di  tutte  le  altre  disposizioni contenute nella legge.  Eccepisce,
 peraltro,  l'Avvocatura  che  il  precetto  censurato  sarebbe  ormai
 assorbito dal piu' ampio contesto dell'art. 22, comma 37, della legge
 n724 del 1994, il quale stabilisce, da un canto, che "le disposizioni
 riguardanti la gestione del rapporto di lavoro costituiscono norme di
 indirizzo  per  le  regioni  che provvedono nell'ambito della propria
 autonomia e capacita' di spesa" e consente, dall'altro, alle  regioni
 stesse  di  avvalersi  della disciplina sulle assunzioni prevista per
 gli enti locali non in dissesto.
    Al  riguardo,  l'Avvocatura,  mentre,  con  riferimento  al  primo
 ricorso,   assume,   per   effetto   di  tale  jus  superveniens,  la
 superfluita' di "una autonoma pronunzia"  sulla  questione  sollevata
 dalla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  con riferimento al
 secondo ricorso assume "il venir meno" della controversia, non avendo
 la Regione Veneto impugnato l'ultima  disposizione.    La  Corte  non
 ritiene  di poter condividere queste prospettazioni, anche in ragione
 del diverso ambito di operativita' temporale delle due norme poste  a
 raffronto,  tale,  segnatamente,  per quanto attiene al ricorso della
 Regione Veneto, da escludere l'ipotizzata  cessazione  della  materia
 del  contendere,  ove si consideri che le disposizioni della legge n.
 724 del 1994, si applicano,  secondo  il  disposto  dell'art.  47,  a
 decorrere  dal  1  gennaio  1995,  restando  percio'  integro, per il
 periodo antecedente, l'interesse a ricorrere.   Nel  merito,  non  e'
 fondata,  anzitutto,  la  doglianza  avanzata  dalla  Regione Friuli-
 Venezia Giulia, in quanto la norma denunciata, ad  una  sua  corretta
 lettura,  non  appare  suscettibile di produrre quegli effetti lesivi
 che la Regione paventa.  Infatti, la norma censurata, nel definire le
 disposizioni in materia di lavoro dipendente  ed  autonomo  contenute
 nella  legge  come  norme  di  indirizzo,  non  e'  atta di per se' a
 conferire a dette  norme  carattere  vincolante  per  le  regioni,  a
 prescindere  dai  principi e dalle regole che presiedono ai reciproci
 assetti di competenza fra detti enti e lo Stato.
    Di cio' viene conferma sia  dalla  salvaguardia,  contenuta  nella
 disposizione  denunciata,  dell'autonomia  e della capacita' di spesa
 delle regioni, sia dagli ulteriori elementi che sul piano sistematico
 possono trarsi da altre disposizioni, quali il comma 35 dello  stesso
 art. 3, secondo il quale "restano salve le competenze delle regioni a
 statuto  speciale  in  materia,  che  provvedono alle finalita' della
 presente legge secondo le disposizioni dei rispettivi statuti e delle
 relative norme  di  attuazione".    In  definitiva,  le  disposizioni
 dell'art.  3  potranno  risultare  legittimamente  vincolanti  per il
 Friuli-Venezia  Giulia  se  ed  in  quanto  rispondano   ai   criteri
 sostanziali elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in subjecta
 materia  e,  piu'  in particolare, in quanto siano riconducibili alla
 categoria delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, alla
 stregua di criteri che, al di la' delle  autoqualificazioni,  abbiano
 riguardo  alla profonda innovativita' del contenuto normativo, tenuto
 conto anche  delle  motivazioni  e  delle  finalita'  perseguite  dal
 legislatore; all'incidenza su settori di essenziale importanza per la
 vita  della  comunita'  intera;  alla  caratterizzazione  come norme-
 principio o disciplina di istituti giuridici  che  rispondano  ad  un
 interesse  unitario  (sentenze  n.  1033 del 1988 e n. 296 del 1993).
 Quanto alla censura avanzata dalla Regione Veneto, la stessa  e'  del
 pari  infondata, non potendosi condividere, sul piano ermeneutico, la
 prospettazione della ricorrente, troppo drastica ed esorbitante, vale
 a dire che la definizione delle disposizioni considerate  come  norme
 di  indirizzo  comporterebbe,  automaticamente, una qualificazione di
 tutte le altre come norme immediatamente vincolanti.
    5.  -  Tanto  premesso  e  passando  ad  esaminare  le   questioni
 specificamente  sollevate  nei  confronti  delle  altre  disposizioni
 dell'art. 3 della legge n. 537 del 1993,  la  Regione  Friuli-Venezia
 Giulia  denuncia  il  comma 5, norma la quale stabilisce, da un lato,
 che le pubbliche amministrazioni di cui  all'art.  1,  comma  2,  del
 decreto  legislativo  3  febbraio 1993, n. 29, provvedono entro il 31
 dicembre 1994 e, successivamente, con cadenza biennale, alla verifica
 dei carichi di lavoro, affidando, dall'altro, al  Dipartimento  della
 funzione  pubblica,  la  verifica  della congruita' delle metodologie
 utilizzate.    Secondo  la  ricorrente,  la  disposizione  in  parola
 obbligherebbe  le  regioni  a  verifiche preordinate ad inammissibili
 controlli di merito, realizzando  una  non  consentita  intromissione
 nella  organizzazione  degli  uffici regionali.   Come rilevato anche
 dall'Avvocatura  dello  Stato,  e'  successivamente  intervenuto   in
 argomento  l'art.  22  della  legge 23 dicembre 1994, n. 724, che, al
 comma 18, richiamando, tra l'altro, l'art. 6, comma  1,  del  decreto
 legislativo  3  febbraio  1993,  n.  29,  riferisce  tale verifica di
 congruita'  svolta  dal  Dipartimento  della  funzione  pubblica   ad
 amministrazioni  fra  le  quali  non  rientrano le regioni, non senza
 precisare che le metodologie  adottate  dalle  altre  amministrazioni
 "sono   approvate  con  deliberazione  dei  competenti  organi  delle
 amministrazioni  stesse  che  ne  attestano  nel  medesimo  atto   la
 congruita'".  Trattasi, invero, di una disposizione che, se fa cadere
 il  sospetto  di  legittimita'  sollevato  dalla  ricorrente,  per la
 soluzione  indubbiamente piu' rispettosa delle autonomie regionali in
 essa accolta, non consente tuttavia, contrariamente a  quanto  deduce
 la  resistente  Presidenza  del  Consiglio, di dichiarare, neanche su
 questo punto, cessata la materia del contendere,  sempre  in  ragione
 della data dalla quale, come gia' detto, si applicano le disposizioni
 della legge n. 724 del 1994.
    Nel  merito,  la  questione va esaminata sotto un duplice profilo:
 quello della facolta', per il legislatore  statale,  di  dettare  una
 disciplina  generale  in  materia  di  verifica dei carichi di lavoro
 valida per  tutte  le  pubbliche  amministrazioni,  ivi  comprese  le
 regioni,  e  quello,  piu'  specifico,  dei  limiti  entro i quali e'
 consentito, a detto legislatore, disporre controlli sulle metodologie
 utilizzate, senza ledere la  sfera  di  autonomia  costituzionalmente
 spettante  alle  regioni  stesse  ed  in specie a quelle ad autonomia
 speciale.  Sotto il primo profilo, e'  da  osservare  come  normative
 quali  quelle  sulla  verifica  dei  carichi di lavoro siano volte ad
 obiettivi  di  razionalizzazione  e  riorganizzazione  dei   pubblici
 apparati, come conferma il comma 15 del gia' richiamato art. 22 della
 legge  23  dicembre  1994, n. 724, il quale finalizza, infatti, detta
 verifica   alla   definizione    delle    dotazioni    organiche    e
 all'individuazione    delle    procedure,    con   razionalizzazione,
 semplificazione e  riduzione  delle  procedure  medesime.  In  questo
 senso,  una  disposizione  che  imponga siffatte rilevazioni puo' ben
 rientrare nel concetto di norma di riforma economico-sociale, secondo
 la  nozione  accolta  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte,   non
 potendosi escludere l'estensione di tale qualifica a norme diverse da
 quelle contenenti i principi fondamentali della riforma, purche' leg-
 ate a queste ultime da un rapporto di coessenzialita' o di necessaria
 integrazione  (sentenza  n.    1033 del 1988, gia' citata).  Elementi
 interpretativi, in tal senso, possono, sotto il profilo  sistematico,
 essere  tratti  anche dall'art. 2 della legge n. 421 del 1992, ove si
 consideri,  da  un  canto,  il  rilievo  che  questa,  fra  i   punti
 qualificanti  della riforma, conferisce ai sistemi di controllo sugli
 obiettivi e sui costi dell'azione  amministrativa,  controlli  tra  i
 quali  indubbiamente  si  colloca  anche  la  verifica dei carichi di
 lavoro; e ove si tenga conto, dall'altro, che i  principi  desumibili
 dal  predetto  art. 2 della legge costituiscono, per l'appunto, norme
 fondamentali di riforma economico-sociale, per le regioni  a  statuto
 speciale. Per quanto attiene al secondo profilo, la Corte osserva che
 una normativa che affidi, in generale, al Dipartimento della funzione
 pubblica  la  verifica  della congruita' delle metodologie non appare
 rispettosa della autonomia degli enti,  traducendosi  sostanzialmente
 in  una  anomala forma di controllo sull'attivita' degli stessi. E di
 cio' e' riprova proprio la modifica della quale il legislatore si  e'
 dato  carico con la legge n. 724 del 1994.  Poiche', come gia' detto,
 permane la materia del  contendere  per  il  periodo  anteriore  alla
 entrata in vigore di quest'ultima legge, la disposizione impugnata va
 dichiarata  costituzionalmente  illegittima,  nella parte in cui, sia
 pure per un limitato lasso temporale, affida  al  Dipartimento  della
 funzione   pubblica  la  verifica  di  congruita'  delle  metodologie
 utilizzate per determinare i carichi di lavoro, anche  nei  confronti
 delle regioni.
    6.  -  Dalla  Regione  Veneto vengono denunciate, altresi', talune
 disposizioni della legge censurata volte  ad  addurre  restrizioni  e
 limitazioni  in materia di costituzione di nuovi rapporti di impiego.
 Trattasi in particolare del comma 6, secondo il  quale  le  dotazioni
 organiche  delle  amministrazioni pubbliche, menzionate al precedente
 comma 5, sono provvisoriamente rideterminate in misura pari ai  posti
 coperti  al 31 agosto 1993, nonche' ai posti per i quali, alla stessa
 data, risulti in corso di espletamento un  concorso  o  pubblicato  o
 autorizzato  un  bando  di concorso, negli inquadramenti giuridici ed
 economici in atto, oppure siano avviate  le  procedure  di  selezione
 tramite   le   liste  di  collocamento.    Nell'ambito  della  stessa
 disciplina restrittiva si colloca anche il comma 8, secondo il  quale
 fino al 31 dicembre 1996 le amministrazioni pubbliche di cui al comma
 5  possono  provvedere,  previa  verifica dei carichi di lavoro, alla
 copertura dei posti resi disponibili per cessazioni, mediante ricorso
 a procedure di mobilita', nella misura del 5 per cento degli  stessi,
 nonche'  a  nuove  assunzioni  entro il limite di un ulteriore 10 per
 cento delle cessazioni, ove sia accertato il relativo fabbisogno.
    Le questioni non sono fondate.
    Infatti i vincoli  in  parola  vengono  posti  in  via  del  tutto
 transitoria,  in  vista  di  un  riassetto  generale  che  presuppone
 l'individuazione delle effettive  esigenze,  attraverso  la  prevista
 verifica  dei  carichi  di  lavoro,  e tende a valorizzare l'istituto
 della mobilita', onde puo' dirsi che trovano la loro  giustificazione
 nei  fini  stessi della riforma dell'impiego pubblico, basata proprio
 sulla riorganizzazione  e  razionalizzazione  degli  apparati  e  sul
 controllo  della  spesa connessa al personale, nonche' sull'interesse
 nazionale alla sua riuscita.
    7. - Forma, inoltre, oggetto di impugnativa da parte della Regione
 Veneto il comma 19 (poi modificato dall'art. 3 del  decreto-legge  27
 agosto  1994,  n.  515, convertito, con modificazioni, nella legge 28
 ottobre 1994, n. 596), secondo il quale le  disposizioni  di  cui  ai
 commi  da  5 a 18 si applicano, ferma rimanendo la spesa complessiva,
 alla somma degli organici e dei ruoli dell'intera  amministrazione  o
 servizio  considerati,  indipendentemente  dalla  qualifica  o  dalla
 funzione nella quale si verifica la cessazione dal servizio.  Secondo
 la  ricorrente,  la  disposizione  sarebbe  lesiva  delle  competenze
 regionali  per  il  fatto  di  bloccare  la  spesa storica al livello
 esistente al 31 agosto 1993.  In realta', la doglianza risulta basata
 su un erroneo  presupposto  interpretativo,  giacche',  come  osserva
 anche  l'Avvocatura  dello  Stato,  la  disposizione  appare volta ad
 introdurre  piuttosto  elementi  di  elasticita'   nella   disciplina
 limitativa  stabilita  nei commi precedenti in materia di rapporti di
 impiego, vincolando la Regione stessa al rispetto rigoroso di un solo
 elemento e cioe' quello del livello della spesa.  Pur  potendosi,  in
 linea di principio, rilevare che il contenimento della spesa pubblica
 non  e' finalita' estranea alla stessa riforma avviata dalla legge n.
 421 del 1992 e dal decreto legislativo n. 29 del 1993, v'e'  comunque
 da  osservare  che  l'intento  precipuo  della  disposizione non pare
 quello  di  imporre  alle  regioni  il  blocco  della  spesa,  quanto
 piuttosto quello di consentire, a parita' di spesa globale, modifiche
 degli  assetti  interni  concernenti  gli organici e i ruoli, tali da
 lasciare, nel contempo, immutata la "somma" dei medesimi.
    8.  -  Entrambe le Regioni ricorrenti impugnano, poi, il comma 23,
 che fa divieto  di  assumere  personale  a  tempo  determinato  e  di
 stabilire rapporti di lavoro autonomo per prestazioni superiori a tre
 mesi.    Anche  tale  disposizione  trova  la  sua collocazione negli
 obiettivi fondamentali della riforma, solo ove  si  consideri,  cosi'
 come  deduce  l'Avvocatura  dello  Stato,  la  rilevanza che la norma
 stessa, se intesa come regola generale, puo' avere con riguardo ad un
 aspetto di non  poco  conto  nella  riorganizzazione  della  pubblica
 amministrazione,  e cioe' la prevenzione di fenomeni anomali quali il
 precariato, contribuendo, cosi', a quel buon andamento che presuppone
 anche la stabilita' dei rapporti di lavoro.
    9. - La sola Regione Veneto  impugna,  poi,  le  disposizioni  dei
 commi 29 e 30.
    La  prima  norma  prevede  l'obbligo di comunicare, entro tre mesi
 dalla data di entrata in vigore della legge,  al  Dipartimento  della
 funzione  pubblica  e al Ministero del tesoro l'elenco nominativo dei
 dipendenti collocati fuori ruolo, comandati o distaccati, nonche' dei
 dipendenti  di  altre  amministrazioni  utilizzati  in  posizione  di
 comando o distacco.
    La  seconda  disposizione  stabilisce  che  il  Dipartimento della
 funzione pubblica, di intesa con il Ministero  del  Tesoro  e  con  i
 Ministeri   interessati,  esamina  i  motivi  dei  provvedimenti  che
 comportano la sospensione delle prestazioni presso  l'amministrazione
 di appartenenza, con la conseguenza che, ove siano cessate le ragioni
 di interesse pubblico per le quali i provvedimenti furono adottati, i
 provvedimenti sono revocati dal Ministro interessato, su proposta del
 Ministro  per  la  funzione pubblica, di concerto con il Ministro del
 tesoro.  Le questioni non sono fondate, dovendosi considerare, quanto
 al  comma  29,  che  tale  norma  impone  un  semplice   obbligo   di
 comunicazione  che,  proprio per la sua natura meramente informativa,
 non  lede  l'autonomia  regionale,   inserendosi   nell'esigenza   di
 realizzare  un  quadro  di  conoscenza  generale della situazione del
 pubblico impiego, nell'ambito degli obiettivi della  riforma.  Quanto
 al  potere di revoca previsto nel successivo comma 30, lo stesso tipo
 di procedimento ipotizzato porta a riferire la disposizione alle sole
 amministrazioni dello Stato.
    10. - Infondate sono anche le questioni  che,  sia  dalla  Regione
 Friuli-Venezia  Giulia  che  dalla  Regione  Veneto, vengono poste in
 ordine alla disciplina del congedo straordinario. In particolare,  la
 Regione  Friuli-Venezia  Giulia  solleva  questioni  di  legittimita'
 costituzionale dei commi 38,  39  e  41,  mentre  la  Regione  Veneto
 impugna  i  commi  37  e 39.   Le disposizioni in parola, con il fine
 implicito di combattere anche i fenomeni di assenteismo  verificatisi
 in  questi  anni  nelle  amministrazioni pubbliche, ridisciplinano la
 materia del  congedo  ordinario  e  straordinario,  in  un'ottica  di
 maggior  rigore,  modificando,  tra  l'altro,  le norme contenute nel
 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.  Si prevede, in particolare, il  limite
 massimo  che  il  congedo  straordinario  puo'  raggiungere nel corso
 dell'anno (comma 37), con esclusione,  peraltro  dei  tre  giorni  di
 permesso  mensili di cui all'art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio
 1992, n. 104 (comma 38), e si disciplina,  altresi',  il  trattamento
 economico spettante sia per il primo giorno di congedo straordinario,
 sia,  piu'  in  generale,  per  il  periodo  di  congedo  ordinario e
 straordinario (comma 39).   Si dispone, infine,  (comma  41)  che  le
 disposizioni  di  cui  ai  precedenti  commi si applichino a tutte le
 amministrazioni,  ancorche'  i  rispettivi  ordinamenti  non facciano
 rinvio al testo unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957,  n.  3  e
 successive modificazioni.  Secondo la Regione Friuli-Venezia Giulia i
 commi  38  e 39 porrebbero limitazioni autoritative dei contenuti del
 rapporto di impiego, intervenendo in un campo riservato alla Regione,
 in violazione dell'art. 4, numero 1, dello  Statuto  speciale,  norma
 che  sarebbe  del  pari  violata  dal  comma  41,  ove questo venisse
 interpretato nel senso di riferirsi anche alla Regione Friuli-Venezia
 Giulia.  A sua volta, la Regione Veneto censura i commi 37 e 39  che,
 modificando  la  disciplina  del congedo straordinario dei dipendenti
 statali, con disposizioni sicuramente vincolanti per  le  regioni  ai
 sensi  del  comma 41, risulterebbero di impossibile applicazione alle
 regioni (tenuto conto che i contratti nazionali di comparto prevedono
 la individuazione analitica dei vari tipi di  congedo  straordinario,
 nonche'  una  disciplina  unitaria  dell'assenza  per  malattia), con
 conseguente violazione degli artt. 117, 118 e 123 della Costituzione.
    11. - Anche a proposito di dette disposizioni, l'Avvocatura  dello
 Stato  eccepisce  l'avvenuta cessazione della materia del contendere,
 in quanto le Regioni non avrebbero impugnato  l'art.  22,  comma  26,
 della  legge  n. 724 del 1994, norma secondo la quale il comma 41 del
 predetto art. 3 della legge n. 537 del 1993 si interpreta  nel  senso
 che  devono  ritenersi  implicitamente abrogate o modificate tutte le
 disposizioni normative che disciplinano, per i  dipendenti  di  ruolo
 delle  amministrazioni  pubbliche  di  cui  all'art.  1, comma 2, del
 decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni
 ed integrazioni, in modo difforme il congedo straordinario o istituti
 analoghi comunque denominati.  L'eccezione va disattesa, giacche'  la
 norma  sopravvenuta  -  a parte quanto gia' in precedenza si e' avuto
 modo di osservare circa la data dell'entrata in vigore della legge n.
 724 del 1994  -  ha  una  funzione  meramente  chiarificatrice  delle
 disposizioni  precedenti,  con le quali si salda in un unico contesto
 normativo, si' da non comportare ne' il venir meno dalle stesse,  ne'
 la  novazione della fonte di disciplina della materia.  Nel merito le
 questioni non sono fondate, in quanto le disposizioni censurate hanno
 il fine di ricondurre a principi generali e comuni una materia invero
 delicata  e  controversa,  e  tale   comunque   da   incidere   sulla
 produttivita'  e  sui costi della pubblica amministrazione. Le stesse
 si  collocano,  percio',  nell'ambito  degli  obiettivi  generali  di
 accrescimento dell'efficienza delle amministrazioni e di contenimento
 della  spesa,  propri  della  riforma avviata con la legge n. 421 del
 1992, configurandosi pertanto  come  norme  fondamentali  di  riforma
 economico-sociale.  Del resto la stessa Corte non ha mancato, gia' da
 tempo, di sottolineare la utilita' di una disciplina generale volta a
 definire  una  corrispondenza  abbastanza  precisa  tra  i principali
 istituti dell'impiego pubblico, al fine di realizzare,  nel  rispetto
 delle autonomie regionali e provinciali, quel contenuto essenziale di
 eguaglianza che e' richiesto dall'assetto unitario della Repubblica e
 dal principio di buon andamento (sentenza n. 219 del 1984).
    12.  -  Altra questione sollevata dalla Regione Veneto concerne la
 disciplina della mobilita' del personale,  materia  alla  quale  sono
 dedicati  i  commi  47,  48 e 51, che abilitano il Dipartimento della
 funzione pubblica a dichiarare l'eccedenza  di  dipendenti  pubblici,
 collocandoli   in   disponibilita'   o   trasferendoli  presso  altre
 amministrazioni.  Poiche' la Regione Veneto sostiene che  la  lesione
 delle  sue  competenze  deriverebbe dall'inserimento in una struttura
 organizzativa e procedimentale dominata  dall'Autorita'  statale,  va
 rammentato   che,  proprio  in  materia  di  mobilita'  dei  pubblici
 dipendenti, questa Corte (sentenze n. 359 del 1993 e n. 407 del 1989)
 ha  piu'  volte  ritenuto  giustificate,  in  nome  degli   interessi
 nazionali  unitari,  le limitazioni che le relative disposizioni sono
 suscettibili di apportare all'autonomia regionale, non senza porre in
 risalto, pero', l'esigenza di un momento partecipativo delle  regioni
 stesse,  quantomeno  nella  forma della consultazione.  Tuttavia, nel
 caso in esame, la tesi sostenuta  dalla  Regione,  di  un  predominio
 procedimentale  dell'Autorita'  statale,  in realta' parrebbe trovare
 smentita gia' nella stessa struttura delle norme che, proprio per  il
 tipo  di  sequenza procedimentale ipotizzata e per il ruolo assegnato
 nell'ambito della stessa al  Dipartimento  della  funzione  pubblica,
 sembrerebbero  di  per  se'  non  idonee  a  ricomprendere nella loro
 operativita' le regioni. A  conferma  di  cio'  sta,  del  resto,  il
 regolamento  che  successivamente e' intervenuto in materia (d.P.C.m.
 16 settembre 1994, n. 716), per la disciplina che lo  stesso  riserva
 alle  regioni,  la'  dove (art. 4) dispone che queste aderiscono alla
 mobilita' di livello nazionale, se, anche per  conto  dei  rispettivi
 enti strumentali e dipendenti, decidono di effettuare al Dipartimento
 della funzione pubblica la comunicazione dei posti disponibili ovvero
 dei  dipendenti in esubero. E questo anche perche', sempre secondo la
 disposizione in parola, il contenuto delle predette comunicazioni  e'
 definito,  su  iniziativa delle regioni interessate, mediante preven-
 tive intese stipulate con il Dipartimento  della  funzione  pubblica.
 13.  -  Resta,  a  questo  punto, da esaminare il secondo dei ricorsi
 proposti (Reg. ric. n. 2 del 1995)  dalla  Regione  autonoma  Friuli-
 Venezia  Giulia,  con  il  quale,  sempre in riferimento al parametro
 rappresentato dall'art. 4, numero 1, dello  Statuto  speciale,  viene
 sollevata  questione  di  legittimita' degli artt. 22, comma 37, e 25
 della legge 23 dicembre 1994, n.  724  (Misure  di  razionalizzazione
 della  finanza  pubblica).   La prima disposizione stabilisce che "le
 disposizioni  riguardanti  la  gestione  del   rapporto   di   lavoro
 costituiscono  norme  di  indirizzo  per  le  regioni  che provvedono
 nell'ambito della  propria  autonomia  e  capacita'  di  spesa",  con
 l'ulteriore precisazione che le regioni stesse "si avvalgono altresi'
 della disciplina sulle assunzioni prevista per gli enti locali non in
 dissesto". Il secondo articolo prevede, al primo comma, un divieto di
 conferimento  di  incarichi  di  consulenza, collaborazione, studio e
 ricerca al personale che sia cessato volontariamente dal servizio pur
 non avendo il requisito per il pensionamento di vecchiaia, bensi'  il
 requisito contributivo per l'ottenimento della pensione anticipata di
 anzianita';  disponendo,  peraltro,  al  comma  2,  la conferma degli
 incarichi esistenti all'entrata in vigore della legge, con  l'obbligo
 (comma  3) della comunicazione di essi alla Presidenza del Consiglio,
 Dipartimento della funzione pubblica.
    14. - Va, anzitutto, quanto alla questione concernente il comma 37
 dell'art. 22, disattesa l'eccezione di  inammissibilita'  prospettata
 dall'Avvocatura,  per  il fatto che il ricorso non specificherebbe se
 l'impugnazione e' rivolta verso detto  comma  37  come  norma  a  se'
 stante,  ovvero  coinvolga  anche  gli altri commi dell'art. 22.   Si
 osserva, al riguardo, che il ricorso,  pur  accennando,  nella  parte
 motiva,  alle  altre  disposizioni contenute nel menzionato art.  22,
 non  sembra voler formulare puntuali censure, quanto piuttosto, anche
 in ragione della genericita' dei riferimenti,  richiamare,  nell'iter
 argomentativo  seguito,  le  altre  disposizioni  soltanto a sostegno
 della dedotta illegittimita' del comma 37. Sicche', per come e' stata
 prospettata, la  censura  puo'  intendersi  riferita  a  quest'ultima
 disposizione  in  se',  in ragione degli effetti lesivi derivanti dal
 suo carattere di norma intesa a qualificare altri precetti come norme
 di indirizzo.
    15. - Nel merito le questioni sono entrambe non fondate.
    Quanto alla prima, possono qui ripetersi  le  considerazioni  gia'
 svolte  per  l'analoga  disposizione  del  comma 66 dell'art. 3 della
 legge n. 537 del 1993, vale a dire che la norma impugnata non e' atta
 a produrre quell'effetto di vincolo che la Regione  paventa,  proprio
 per  la qualificazione, in essa contenuta, delle norme sulla gestione
 del rapporto di lavoro come norme di indirizzo e per  il  riferimento
 all'"autonomia  e  capacita' di spesa" delle regioni, ferma restando,
 oltretutto, la  possibilita'  per  queste  di  avvalersi  della  meno
 rigorosa disciplina delle assunzioni prevista per gli enti locali non
 in  dissesto.    Quanto  alla  seconda disposizione, la stessa ha per
 oggetto un divieto limitato all'ente di provenienza o  comunque  alle
 altre amministrazioni con le quali l'interessato ha avuto rapporti di
 lavoro   o  di  impiego  nei  cinque  anni  precedenti  quello  della
 cessazione dal servizio. La disposizione stessa tende ad arginare  il
 fenomeno  di  dimissioni  accompagnate da incarichi ad ex dipendenti,
 si' da garantire, come esplicitamente enunciato  nel  comma  1  della
 norma  stessa,  la  piena ed effettiva trasparenza e la imparzialita'
 dell'azione amministrativa. Per i suoi caratteri e le  sue  finalita'
 la  disposizione  rientra, percio', nelle norme di riforma economico-
 sociale, in coerenza del resto con il quadro  generale  di  riassetto
 che  nasce  dalla legge n. 421 del 1992 che, nell'ambito dei generali
 obiettivi perseguiti, annovera, infatti, (art. 2, comma 1, lettera b)
 anche una nuova disciplina degli incarichi  ai  dipendenti  pubblici,
 nella  consapevolezza, evidentemente, che le finalita' della riforma,
 al  di  la'  degli  istituti  gia'  esaminati,  non  possono   essere
 assicurate  se  non attraverso il coinvolgimento di tutti gli aspetti
 dell'organizzazione amministrativa.